CAP CIX Riccardo e chiodo scaccia chiodo

Riccardo

Mio zio mi passa la valigia con gli obiettivi e il cavalletto, - Ecco qua! Puoi pure portare l'attrezzatura in auto, abbiamo finito! -

La coppia di futuri sposini ringrazia per gli scatti e lascia nelle sue mani un paio di banconote da cento.

- Vi farò avere presto le foto - alza una mano lui, in segno di ringraziamento - siete stati perfetti! -

I due sorridono e fanno un cenno di saluto verso di me, che fingo di non vedere e procedo dritto verso l'auto. Poso la valigia pesante sul sedile posteriore e mi accomodo al posto del passeggero.Questo pomeriggio è stato lungo e noioso, ma non potevo sottrarmene.

Aiutare mio zio nel lavoro è come ricambiare i favori che lui compie tacitamente giorno dopo giorno per me. Tuttavia aver passato le prime ore della domenica pomeriggio a fare fotografie per una promessa di matrimonio sul lungo Tevere, è uno stress indicibile.

Lascio andare la mano fuori dal finestrino e aspetto che zio salga alla guida.

L'auto parte con cautela, immettendosi sulla strada principale.

Improvvisamente qualcosa attira la mia attenzione. Qualcosa che proviene dal viale, qualcosa o meglio qualcuno che lascia letteralmente i miei polmoni senza fiato.

Mi sporgo dal vetro abbassato per vedere meglio.

Forse si tratta solo di una visione della mia mente malata, oppure di un gioco di luci o di ombre.Apro e chiudo gli occhi e il cuore subisce un duro colpo sordo.

La ragazza che avanza di fronte a me non è affatto una produzione della mia fantasia. Il piumino avvitato e pesante, i capelli scuri al vento e le " Converse" con i brillantini.

Il respiro si ferma e lo stomaco si stringe in una morsa.

E' lei.
E' Arianna.
Non ci sono dubbi.

Ma il fatto totalmente disarmante è che non è da sola. Sta passeggiando con quello stupido individuo con il codino.

E cosa alquanto insensata e terrificante, lo sta facendo mano nella mano.

Un groppo si ferma a livello del pomo d'Adamo, mentre in testa frullano un milione, un miliardo di reazioni e sensazioni.

Scendere da questa diavolo di auto e tagliare di netto la mano a quel pezzente, riprendere ciò che mi apparteneva fino a pochi giorni fa e mandare al diavolo insensati giuramenti e paure.

L'auto svolta ed io mi allungo per scorgere meglio la coppia fermarsi a sedere su una panchina a parlare e sorridere.

Resto imbambolato e non riesco nè a smettere di guardare, nè ad agire, nè a fare niente altro se non stringere i denti e soffocare il dolore.

Il dolore di vedere la cosa più preziosa che la vita ha avuto il buon gusto di farmi conoscere, gioire con un' altra persona; stare a guardare la cosa più importante mai avuta, dimenticarsi di me.

Quando l'auto si immerge nel traffico, allontanandosi dal viale, lascio andare la testa sul sedile e chiudo gli occhi.

Il cuore non smette di martellare e insieme a lui, pure la testa.

Due picconi che vanno a ritmo con la mia tristezza crescente.

Zio farfuglia qualcosa a proposito della fila che si sta venendo a formare di fronte ed io prego solo di arrivare a casa il prima possibile.

L'immagine di Arianna e il suo damerino mi perseguita per l'intera giornata.

Se il cuore fosse visibile potrei avvertire nitidamente i rivoli di sangue solcare la pelle.

Invece il malessere è sordo e pressante. Una trappola mortale. Un veleno subdolo e nascosto.

Vago per camera, mi getto sul letto, mi alzo, accendo e spengo la televisione, faccio un paio di sollevamenti con il bilanciere, ma niente riesce a placare l'inquietudine.

Niente cancella dalla testa quelle dita intrecciate, quelle labbra increspate e quegli occhi lontani da me.

Prendo l'ultima sigaretta del pacchetto e la ficco in bocca con rabbia.

Aspiro e butto fuori.

L'amarezza maggiore non è il fatto che Arianna possa essere felice.

Per quello posso dire di essere quasi sereno.

Dopo tutti i fatti che sono successi sapere che lei è riuscita a ritrovare il sorriso mi consola.

La cosa che mi spiazza drammaticamente è che lo abbia scovato in così poco tempo e con una persona che non è affatto adatta a lei.

Quel coglione le aveva puntato gli occhi addosso già da tempo.

Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe riuscito a mettere le mani nel giocattolino sperato.

Dannazione!

Fa così male saperli insieme.

Cosa staranno facendo in questo momento? Saranno ancora mano nella mano, oppure si staranno baciando?

La mente al solo pensiero si annebbia e prende a fumare.
Vedo verde. Nero e rosso.
Un misto di colori che se continuano a viaggiare liberamente, mi porteranno alla pazzia.

Non posso permettere alla follia di impossessarsi del mio corpo.

Io voglio e devo agire in anticipo.

Così afferro il cellulare e inoltro la chiamata a Leo. Forse lui può aiutarmi a sbollire e forse sa anche qualcosa in più riguardo a quello che ho appena visto.

Il cellulare squilla a vuoto per un'infinità di volte senza alcuna risposta.
Spengo la cicca sul piano della scrivania e sbatto il pugno sul tavolo.
Tiro indietro i capelli e rimetto il telefono in tasca.
Fisso oltre il vetro della finestra.

Il cielo tende a oscurarsi. Sono da poco passate le diciotto e già si sta facendo buio.

Ho bisogno di aria.
Ho bisogno di parlare con un amico.
Ho bisogno di qualcuno.

Qualcuno che non mi dica che merito di stare in questo dannato stato, qualcuno che non mi faccia paternali o morali.

So che sono stato io a lasciare Arianna nella merda più totale, ma so anche che l'ho fatto per sopravvivere al dolore.

Un dolore che continua a perseguitarmi, nonostante tutto e tutti.
Un dolore che nessuno può confortare.
Nessuno forse, eccetto lei.
L'unica persona probabilmente in grado di consolarmi.
L'unica vera amica abile di capirmi.
Di colpo sembra che tutti i problemi, le angosce, i mali si incanalino in una direzione unica e solitaria.

Corro fuori dalla stanza, afferro il piumino al volo e grido allo zio di non aspettarmi per cena.
Salgo sulla Honda e porto il motore al massimo.

Passo a destra e a sinistra al traffico della domenica sera, non impiego molto ad arrivare ai Castelli Romani.

Quando imbocco la via che porta all'Istituto il mio respiro si strozza dentro al casco.

Fa strano essere ancora qua.

Fa strano tornare a cercare la salvezza nel posto stesso che me l'ha rubata per tutti questi anni. Parcheggio e salgo le scale di corsa.

I corridoi e il loro odore di disinfettante, i muri appena scrostati e le scritte sono immagini indelebili e lontane. Guardo dritto e raggiungo il dormitorio femminile.

Mi fiondo sulla porta che ha rappresentato la mia unica sopravvivenza per anni e prendo a bussare energicamente.

La maniglia gira e l'uscio si apre.

Una ragazza dai capelli rossi, alzati in una specie di crocchia improvvisata, fa capolino titubante.

Poso una mano sullo stipite e cerco di rallentare il fiatone.

La giovane aggrotta le sopracciglia e mi guarda confusa.

Resto spiazzato, - Cercavo Elisa - faccio un passo indietro, - forse ho sbagliato camera -

Lei si appoggia alla porta, - Non hai sbagliato - dice, - Elisa se n'è andata proprio questa mattina -

Spalanco gli occhi, - Andata? Dove? -

- A Milano, in affidamento! - La voce di questa ragazza è piatta e monotona, come se fosse la cosa più semplice e banale del mondo.

- Affidamento? - mi sento rispondere, - non è possibile, mi aveva detto che sarebbe stato a gennaio! -

La tipa alza e abbassa le spalle, - La famiglia che l'ha accolta pare abbia sborzato dei soldi per anticipare i tempi -

La notizia mi coglie alla sprovvista e non è affatto ciò che volevo sentirmi dire in questo momento.

Ho perso Arianna.

Ho perso Elisa e non sono neanche riuscito a salutarla.

- Ho bisogno di rintracciarla - cerco gli occhi della ragazza che assumono un aspetto sempre più familiare, come se li avessi già visti da qualche parte, come se non fossero affatto nuovi per me.

- Se vuoi posso darti il recapito che mi ha lasciato, però vieni dentro, se le suore ti vedono in giro nei corridoi femminili, rischio una punizione! -

Faccio un passo avanti e lascio che la rossa chiuda la porta alle nostre spalle. Mi guardo intorno. La stanza appare deserta e impersonale. Il letto che apparteneva alla mia confidente è fasciato da una orrenda coperta marrone. I poster alle pareti scomparsi e il grande pupazzo a terra volatilizzato per sempre. Un enorme vuoto si apre dentro il mio cuore.

- Ecco qua, questo è il massimo che posso fare per te! - dice la ragazza porgendomi un bigliettino.

Mi ricuoto, prendo il contatto tra le mani e mi soffermo a osservare la bocca di questa sconosciuta. Improvvisamente le sue labbra mi riportano al Luna Park notturno, alle giostre e al mio inseguimento di Matteo e Marie.

Resto imbambolato e scruto il suo viso fino a catturare ogni singola lentiggine presente intorno al naso, - Io ti ho già vista - sussurro, - tu sei la ragazza che mi ha vomitato sulle scarpe al parco giochi! -

Lei smette di sorridere e sgrana gli occhi, sorpresa e imbarazzata, - Hai ragione - farfuglia, - io...io...- agita le braccia in aria, - mi dispiace, è stato un incidente quello! La mia cocciutaggine! Ho voluto per forza salire sulle montagne russe! - mette in piedi un monologo per giustificarsi, - sono fuggita dal mio ragazzo e dal gruppo e ho fatto di testa mia, sono stata una stupida, avrei dovuto immaginarlo che il mio stomaco troppo debole non avrebbe retto...-

- Ehi! non preoccuparti, ho già dimenticato quell'episodio -la tranquillizzo, - e comunque io sono Riccardo - allungo un braccio, - molto piacere! -

- Samanta -

La sua mano è calda e morbida e si sofferma oltre il dovuto contro la mia.

- Allora sei tu - toglie la molletta dai capelli e fa in modo che scendano scomposti sulle spalle - Elisa parlava sempre di un certo Riccardo - rivela, - immagino che per lei dovessi essere molto importante, probabilmente ancora più del suo fidanzato, Danilo...-

Deglutisco e infilo le mani dentro le tasche, - Anche per me lei è stata una presenza fondamentale qua dentro, insieme abbiamo affrontato molti giorni bui! -

Samanta annuisce e va a sedersi sul letto, - In effetti non è facile vivere qui dentro - fa segno di accomodarmi al suo fianco, - sono approdata dalla Sicilia poco più di un mesa fa, mi hanno trasferita da un istituto all'altro come un pacco postale - sfrega le mani l'una all'altra, - però riconosco che ho avuto fortuna ad avere una compagna di stanza come Elisa, lei è stata sempre buona con me e adesso che se n'è andata, mi manca già! -

Mi apposto in fondo al letto e piego in quattro il bigliettino che stringo tra le mani, prima di infilarlo in tasca.

- Credo che Elisa sia stata l'unica parvenza di amicizia mai avuta - prosegue, - nella vita non ho incontrato molto fortuna, non ho mai conosciuto i miei genitori, mi hanno abbandonata da piccola - fissa a terra, - sono la ragazza senza radici e senza legami, sono la ragazza che nessuno vuole! -

Mi soffermo sul suo profilo, leggermente imbronciato e contratto, - Anche io sono il ragazzo che nessuno vuole! - La mia è una semplice e pura constatazione.

Un sussurro strozzato e bugiardo.

Un soffio di sfogo e condivisione.

Lei alza gli occhi sui miei e io sostengo il suo sguardo. Una leggera scintilla passa dalle mie alle sue pupille e il cuore affonda.

Samanta non è Elisa, non è Arianna, non è assolutamente niente di niente, ma è qui.

E' triste, desolata, afflitta.

E soprattutto sola.

Come me, forse più.

Mi avvicino a lei, che non si muove assolutamente.

Improvvisamente paio ripiombare ai lontani tempi della lista, quelli dove una ragazza era un oggetto di conquista, quelli dove l'unica vera cosa importante era sopravvivere e non soccombere. I tempi nei quali un nome veniva scritto e inciso dietro l'altro, solo per rimpinguare il bisognoso orgoglio.

La mano si allunga sui suoi capelli, a spostare le ciocche mosse e corpose.

Le parole non servono, bastano gli sguardi e il calore infuso da un corpo all'altro.Con una lentezza disarmante Samanta chiude gli occhi e si lascia sfiorare la guancia. E tutta la dolcezza che impiego nel gesto, si trasforma in vero e proprio delirio.

In testa il viso di Arianna si sovrappone a quello della ragazza abbandonata al mio tocco e il cuore si stringe fino a divenire un piccolo limone strizzato.

Scaccio i ricordi, scaccio gli occhi neri di Arianna e mi tuffo nel triste e sconsolato presente.

Samanta e la sua pelle chiara.
Samanta e le sue lentiggini.
I capelli rossi e la tristezza.
Allungo il braccio attorno al suo collo e avvicino il mio viso al suo.

Le nostre bocche si scontrano, si incontrano e si fondono, in un bacio dalle note dolci e malinconiche. Una musica che cerca di soffocare la noia, il passato e il presente.

Una musica che non mi piace, ma è l'unica che sono in grado di suonare.

Il sapore sconosciuto di Samanta si mescola con il mio.

Mi protendo verso di lei e faccio in modo che si stenda con la schiena sul letto. Le nostre lingue smettono di muoversi e le labbra si allontanano.

I respiri restano vicini e sostenuti.

Gli occhi incollati gli uni agli altri.

Le sfumature verdi e castane delle sue iridi mi distraggono dalla visione di Arianna e Isac.

Mi portano lontano, mi annebbiano la mente.

- Cosa stiamo facendo ? - La voce della piccola donna sotto di me è solo un sussurro.

Scorro le mani sui suoi polsi e li afferro ben stretti. Non voglio che sfugga, non voglio che questa perfetta simile e sconosciuta, si dilegui da me, - Ci stiamo consolando, tu ed io, i ragazzi che nessuno vuole, quelli che nessuno capisce -

Lei fa forza sui gomiti e tenta di alzarsi, - non posso -.

- Cosa non puoi? - premo con più forza le dita nella sua carne, - baciarmi? - Le sfioro di nuovo le labbra, - o fare sesso con me? - mordo sordamente il suo labbro.

Lei emette un sospiro e allenta le braccia, riportandosi di nuovo supina, - Ho un ragazzo e non l'ho mai tradito -

Sorrido amaramente e stringo gli occhi, - C'è sempre una prima volta -

Posso sentire il suo cuore pompare veloce, così come il respiro accelerare al massimo - Tra poco ci sarà la cena e le suore verranno a chiamarmi, ti vedranno, ci vedranno! -

Sposto un ciuffo dagli occhi, muovendo appena la testa di lato, - Nessuno si accorgerà di niente - rispondo deciso - sono cresciuto in questo posto e conosco ogni singolo nascondiglio come le mie tasche! -

Samanta guarda verso la porta e poi torna a me, - E poi non so neanche chi sei! Sei piombato qui dal nulla, potresti essere un pazzo, un maniaco, un delinguente! -

- Oppure il principe azzurro che è venuto a bussare alla tua porta - la secco, - quello che porterà via un po' della solitudine che cova nel tuo cuore! -

I suoi occhi si incollano ai miei e la bocca si sporge a cercare la mia.

Ho fatto centro.
Ho toccato i tasti giusti.
Quelli che ciascuna donna vuole che si premano.
Lentamente le nostre labbra si sfiorano ancora e ancora.

Nessun sentimento, nessun coinvolgimento, solo tanta voglia di non essere solo.
Di non essere soli.

- Vieni - mi sollevo, mantenendole stretto uno dei due polsi la trascino fuori dalla stanza, - ti porto in un posto dove nessuno potrà mai trovarci! -

Lei si lascia guidare, senza accennare più al fidanzato, alle suore o alla paura di essere scoperta. La conduco al piano superiore e infine su una scala stretta e sgangherata che porta al terrazzo dell'edificio.

Siamo in alto, molto in alto. Fa freddo, ma la vista è mozzafiato.

Si domina il paesaggio, le case, i comignoli che sfumano e i fari delle auto.

Samanta si appoggia alla ringhiera e guarda sotto, - Non sono mai salita fino a quassù! Non sapevo neanche l'esistenza di questa terrazza! -

La mente percorre gli anni, uno ad uno.

Ho portato qui la maggior parte delle ragazze con le quali ho avuto una storia, anche solo di una notte. Una storia nascosta e ormai finita.

Ma Samanta non sa niente di me e del mio passato e non credo che possa neanche esserne interessata.

Lei ha bisogno di un appoggio.

Io ho bisogno di una distrazione.

Chiodo schiaccia chiodo.

Spero che non sia solo un proverbio, ma una vera e propria realtà.

- Roma è stupenda - riconosco, - e vista da qui è ancora migliore - mi accosto a lei e poso una mano sul suo zigomo, girandole la testa.

- Chi ti ha mandato, Riccardo? - Le sue parole si fermano nell'aria, - chi?-

Avvicino ancora una volta il viso al suo e la bacio, - Il destino, è stato lui! -

I nostri corpi si avvinghiano l'uno all'altro fino a cadere sul pavimento stesi e desiderosi.

Le mie mani sul suo corpo cercano quello che non troveranno mai e la mia bocca sul suo collo prova a colmare i vuoti di una vita deserta.

Vuoti che rimarranno tali, se non ancora di più.

Non facciamo l'amore, non facciamo sesso.

Facciamo entrambi ed entrambi si prendono gioco di noi.

Poco tempo dopo, ci troviamo stesi l'uno di fianco all'altro, la gonna di lei tirata sù, i miei pantaloni abbassati, come unici testimoni di quello che è successo veramente.

Samanta non mi fa battere a mille il cuore, ma infonde calma e semplicità.

La sua fragilità mi ricorda Arianna.
La sua disponibità potrà farmela dimenticare.
Forse.

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