CAP. CIII Matteo e il giorno dell' arrivederci
Matteo
Voglio creare silenzio intorno.
Voglio dimenticare che sono nel parcheggio di un ospedale, alla periferia della città, insieme alla dottoressa Arnold e a Riccardo, per un arrivederci che mai vorrei dare.
Voglio pensare che ci sono solo io.
Io e Marie.
- Ti telefonerò ogni giorno - prendo le sue piccole mani nelle mie, - ogni sera mi addormenterò pensando a te e al tuo ritorno! -
La bocca di Marie si distende in un sorriso, ma è solo una controfigura, perchè in realtà il mento trema e preannuncia un pianto prossimo all'esplosione.
Non riesco a togliere gli occhi dal suo viso.
Desidero immagazzinare dentro la testa ogni singolo millimetro della sua pelle, per riafferrarlo poi un giorno, quando lei sarà distante e io ne avrò un bisogno così urgente, da non poterne fare a meno. Le lascio andare le mani e poso l' indice sulla sua fronte, - Ricordi la promessa? - scorro con il dito sul suo naso e poi sulle sue labbra, - dare il massimo per guarire – sussurro, - io so che tu puoi farcela! –
- Ce la metterò tutta – annuisce, - tu però ricordati la tua di promessa! - mi rimprovera.
Alzo lo sguardo verso il cielo, che risulta appena coperto dalle nuvole e penso che per lei potrei fare tutto, perfino mantenere il fioretto giurato! - Vedrò di mettercela tutta! Ti dò la mia parola! -
Delle lacrime sottili cominciano a rigarle le guance, finendo sul dorso della mia mano.
Non posso muovermi, sono come improvvisamente imbalsamato davanti agli occhi verdi più tristi e fiduciosi del mondo. L'unica cosa che riesco a fare è seguire alla lettera i voleri del mio cuore, - Ti amo, stellina - sussurro, avvicinandomi con estrema lentezza alle sue labbra.
Lei si lascia baciare dolcemente per poi posare i palmi sul mio viso, - Anche io -
E in quelle due parole vi è un mondo.
Il nostro.
La sua malattia adesso mi appare come un nemico indebolito. Finché i nostri cuori batterano all'unisono e i nostri respiri avranno lo stesso ritmo, ogni battaglia sarà più facile da superare.
Andremo avanti e avanti, fino a vincere la guerra intera.
Le mie braccia si slanciano attorno al suo collo, avvolgendolo. Respiro tra i suoi capelli e il profumo di limone e bambina invade ogni mio senso, - Passeranno questi giorni - le dico vicino all'orecchio, - passeranno prima di quanto tu possa immaginare! –
Cerco di farmi forte, ma più i secondi scorrono e più il magone che porto dentro sale fino alla gola.
Marie è un ramo sottile in balia del vento, un petalo di rosa tra le mie braccia. Sto bene accanto a lei e non chiederei mai di staccarmi dal calore del suo corpicino, peccato però che qualcuno non la pensi esattamente come me. Infatti una mano alle mie spalle mi spinge indietro, allontanandomi bruscamente.
- Okay! I saluti sono stati fatti! - La voce di Riccardo rompe fastidiosa la bolla di isolamento che mi sono creato, - adesso spostati che è il mio turno! -.
Gli occhi di Marie non si sganciano dai miei mentre suo fratello le gira il viso verso il suo, - Datti da fare per tornare in forma – dice, - come vedi qui ci sono due uomini che ti aspettano! - si volta appena verso di me e sorride.
Rimango leggermente frastornato dai modi bruschi iniziali, dalla frase e dall'espressione facciale a seguire.
Ha detto sul serio che gli uomini che la aspettano sono due?
E mi sbaglio o ha sorriso?
Immagino di sì, dal momento che il mio udito è regolare e non sto affatto sognando. A quanto pare si riferisce a me e a lui.
Istintivamente soffermo gli occhi su quelli di Riccardo. Potrei giurarci l'anima che sono lucidi.
Sicuramente è un gioco di ombre oppure colpa della luce offuscata, poiché è impossibile pensare che un ragazzo tanto scontroso e irruento sia anche solo in grado di provare a commuoversi.
La dottoressa Arnold pigia sul clacson un paio di volte, fregandosene di trovarsi nell'area di un ospedale, - Coraggio Marie! - vocia dal finestrino, - sali sù! Altrimenti perderemo l'aereo! -
La ragazza si volta verso l'auto parcheggiata e poi torna a noi. Passa le mani sul viso per togliere gli ultimi residui di dolore, infine afferra la maniglia del trolley.
Dalla sua bocca non esce più altra parola.
Ne' un arrivederci, nè un a presto.
Solo un ultimo sguardo per dimostrare la sua sicurezza, prima al fratello e poi a me.
Alzo appena la mano e stringo i denti.
Non posso e non voglio mostrarmi debole, anche se il peso è ormai al limite della sopportazione.
Se fossi da solo mi butterei sul divano e soffocherei le lacrime dentro ad un cuscino di piume, ma qui, di fronte a tutti, e soprattutto a Marie, non posso fare altro che tenere tutto sepolto in fondo al cuore.
Le immagini della mia ragazza che si sposta verso l'auto con la valigia passano a rallentatore, come una ripresa in moviola.
I suoi capelli fini e leggeri, le mani che tirano dentro il bagaglio, gli occhi incollati al vetro chiuso, che pian piano se ne vanno sempre più lontano. E' un distaccamento doloroso e straziante.
Quando l'auto esce dal parcheggio, tutta la tenzione accumulata si ritrova a fare i conti con la solitudine.
Deglutisco, cercando di far scendere il groppo alla gola, ma non ci riesco.
E' ingombrante e fa un male pazzesco.
Marie tornerà, so che tornerà, ma adesso non posso sentire altro se non la sua tremenda mancanza.
Le gambe cedono e in un istante tutte le lacrime che ho trattenuto fino a questo momento, si liberano in modo assurdo e devastante.
Le mie ginocchia incontrano l'asfalto, la testa si nasconde dentro le mani.
La vergogna non esiste più perchè il dolore è davvero troppo schiacciante.
Il calore di una mano permette ai miei sensi di tornare al presente.
Tolgo i palmi compressi contro la faccia e mi giro.
Riccardo è in piedi con una mano sulla mia spalla, - Alzati, ti offro da bere! -
Mi lascio guidare verso il bar dell'ospedale, senza dire una parola.
Se solo provassi a parlare, immagino che il cuore si romperebbe a metà.
- Puoi anche smettere di frignare come una femminuccia - si accende una sigaretta, - le lacrime non faranno tornare indietro mia sorella! -
Alzo le spalle e gioco con la linguetta della lattina.
- Credi che anche io sia felice di questa partenza? – I suoi occhi puntano contro i miei, - non lo sono, è chiaro, tuttavia mi sono convinto che è la soluzione migliore! -
Abbasso lo sguardo sul tavolo, - So che è la cosa più giusta, ma dentro sto a pezzi - asciugo gli zigomi bagnati con una delle salviettine del locale, - e credo di avere anche io il diritto di potermi sfogare – ribatto, - se mi hai portato fin qui per farmi un'inutile morale, meglio se me ne vado - faccio per alzarmi, - non ho bisogno della paternale di nessuno! Figuriamoci della tua! -
- No aspetta – mi blocca.
Sollevo un sopracciglio e scuoto la testa.
Riccardo mi fissa strano, - Tu e Marie non siete male insieme - prende la cicca tra le labbra.
- Cosa? -
Lui butta fuori una nuvola nera, - Non vorrai che lo ripeta un'altra volta, spero! - punta un dito contro.
I nostri occhi si sostengono ed è di nuovo lui a parlare, - Vi ho seguiti l'altra sera, hai avuto un'idea molto carina, Marie ha sempre adorato i Luna Park! -
- Tu, cosa ? - scatto in piedi così rapidamente che per poco le nostre bibite cadono dritte sul pavimento.
Sono scioccato, non posso credere che Riccardo ci abbia pedinati fino al parco divertimenti.
- Ehi calmati! Ho il diritto di seguire mia sorella dove mi pare e piace! - fa il gesto di sederm, - non ho commesso nessun tipo di reato! -
- Tu sei fuori di testa ! - lascio che il mio corpo scivoli sulla sedia, totalmente incapace di trovare aggettivi adatti per identificare il ragazzo di fronte a me.
- No! Tu sei quello fuori di testa! - schiaccia la cicca sul posacenere, - perchè hai fatto fare un tatuaggio a Marie? -
Sento il respiro mancare, - tu, tu, come fai a saperlo? – balbetto, - non dirmi che...- lo guardo così storto che quasi mi faccio spavento da solo, - che ci hai seguiti fino a quel punto? -
Riccardo guarda la parete di fronte, improvvisamente attratto da un vecchio telefono a gettoni.
- Non hai fatto questo, vero? - mi sporgo sul piano del tavolo con i gomiti puntati.
- Sì,l'ho fatto! –torna a guardarmi, - vi sono venuto appresso per tutta la sera se proprio vuoi saperlo, ho visto il premio di peluche, i giri sulle giostre e il bacio appassionato sulla ruota panoramica! - La sua voce si sofferma sull'aggettivo appassionato, dando segno di una immancabile ironia.
Resto a bocca aperta, - Mi stai facendo paura! – riconosco, - cosa sei? Un maniaco, uno stalker, un...-
- Un fratello maggiore arrabbiato! – dice, - perchè hai permesso ad un'ingenua ragazzina di rovinarsi la pelle per tutta la vita? -
- In realtà siamo in due ad essercela rovinata - tengo a precisare, - abbiamo fatto lo stesso tatuaggio, - mi sollevo i pantaloni e faccio vedere la benda sulla gamba.
Riccardo spalanca gli occhi, neanche fossi un appestato o un lebbroso.
- Quando accuserò la mancanza di Marie basterà passare le dita sull'inchiostro per sentirla vicina! -
- Stupidaggini! – si accende un'altra sigaretta, - tu, caro Matteo, potresti essere anche un tipo in gamba, se solo ti impegnassi, peccato che commetti sempre un sacco di merdate! -
Mi viene da ridere, nonostante non ne abbia alcuna voglia, - Merdate? – sbuffo, - hai un bel coraggio tu! - scatto di nuovo in piedi, - cosa vogliamo dire delle tue di merdate allora? -
Lui stringe gli occhi, credo voglia uccidermi con la sola forza del pensiero, - Io non ho mai fatto niente che possa essere nocivo per qualcuno – sbotta, - mentre tu...- punta la sigaretta contro il mio viso, - tu hai portato Arianna a fumare dello schifo di erba e Marie a segnarsi la pelle per sempre, come puoi chiamare tutto ciò se non grandissime, enormi, gigantesche merdate? -
Sento crescere dentro una rabbia incontrollata, - Marie ha un cervello e un cuore! Ha deciso da sola di fare ciò che ha fatto e per quanto riguarda Arianna, tu non sei degno neanche di nominare il suo nome per il male che le hai inferto e che continui a causarle tutt'oggi! - quasi grido, - il tuo compito sarebbe quello di stare vicino a quella ragazza, non sta affatto passando un bel periodo, dovresti saperlo, dal momento che sei implicato in prima persona, invece, ti comporti come un codardo, un vigliacco! Hai paura dei tuoi stessi sentimenti e della tua stessa vita! - prendo fiato e passo una mano tra i ricci ribelli, - sei qui a difendere Marie da pericoli che non esistono, invece di essere da Arianna a confortarla dai dispiaceri fin troppo presenti! -.
Riccardo spegne il mozzicone vicino all'altro e si alza in piedi, - Arianna è figlia della persona che ha rovinato la mia vita! Arianna ha il sangue malato di quell'uomo ed io non voglio averci più niente a che fare!- I suoi pugni si stringono.
Li seguo con la coda dell'occhio, pronto ad afferrargli il braccio con una agile mossa di karate, in caso di bisogno. Ma le mani di Riccardo non si muovono, a differenza della testa, che si china insieme allo sguardo.
E di colpo accade una cosa che non mi sarei mai aspettato poter vedere.
Qualcosa che assomiglia ad una goccia trasparente cade sul tavolino.
Una lacrima.
Ed io realizzo.
Riccardo si è messo a piangere.
Interdetto e congelato sul posto come un burattino senza guida, osservo la scena.
La schiena del ragazzo di fronte a me si muove in sussulti regolari e la voce esce rauca ma decisa, - Stai vicino a lei - alza nuovamente gli occhi, - sei uno stronzo, ma sei l'unico stronzo che può evitare di farla affondare! – Le sue mani si rilassano, asciugando il viso, - promettimelo! -
Apro e chiudo le labbra, cercando di capire quale sia la cosa migliore da fare e da dire.
E' una situazione assurda. L'odio e la richiesta di aiuto che si alternano nel cuore di Riccardo sono lontani ,da qualsiasi tipo di schema mentale.
- Credo che Arianna abbia bisogno di te - cerco di farlo ragionare.
- Dannazione! – sbraita, - non ti ho chiesto di chi può avere bisogno, ma solo di promettermi che non la lascerai da sola! - La sua mano finisce sul dorso della mia, - Per favore – mi supplica, - mi dispiace, so che lei non ha nessuna colpa, ma io non riesco più a guardarla negli occhi! –
Il suono della sua voce è qualcosa di disperato e angosciante allo stesso tempo, e io non posso fare altro che acconsentire, - Arianna è mia amica ed io farò il possibile per tenerla a galla -
Riccardo abbandona il tocco su di me e i nostri sguardi si sganciano.
Poi si volta ed esce dal bar.
Tutto questo in una rapidità disarmante.
Come se, correndo via, potesse sfuggire all'odio, al dolore e soprattutto all'amore. Probabilmente lui non sa che quelle tre sono bestie così argute, che continueranno a seguirlo ovunque lui sia e ovunque lui vada.
NIENTE DA PERDERE
Faccio scorrere lentamenente il dito sulla pelle del mio amico, - E' stupendo - non riesco a distogliere lo sguardo dalle due emme intrecciate e legate insieme per sempre.
Matteo riabbassa l'orlo dei jeans, comprendosi il polpaccio, - Quello di Marie è identico, solo più piccolo – dice, - qui a livello del polso - rivolge la mano verso l'alto, indicandone il punto preciso.
- Ti ha fatto molto male? -
Lui ci pensa su e poi alza le spalle, - Un po' – annuisce, - ma comunque un dolore sopportabilissimo -
- I tuoi genitori non hanno fatto storie? - salgo il cappuccio della felpa sulla testa per proteggermi dal vento che ha iniziato a soffiare.
- I miei neanche lo sanno! -
Spalanco gli occhi, - Non glielo hai detto? E come hai potuto senza un'autorizzazione? -
Si scompiglia i capelli e rivolge lo sguardo verso l'alto, - Ho portato Marie al Luna Park per il nostro primo appuntamento e lì abbiamo avuto modo di commettere il reato! – scherza, - questo tatuaggio è simbolo del nostro amore e lo rimarrà per sempre, qualsiasi cosa accada! -
- E' stato bello da parte tua rinunciare all'idea di tattoo giapponese che avevi intenzione di fare da tempo, per quel degno capolavoro d'amore – convengo, - un gesto da vero uomo! -
Lui sospira e io volgo lo sguardo verso la stessa fetta di cielo.
- Hai risentito Marie? – chiedo, - sai se il viaggio le è andato bene? -
- Mi ha chiamato ieri sera! Il volo alla grande e il centro sembra essere piuttosto accogliente! - Le sue labbra lasciarsi andare in un sorriso velato di tristezza
- Perfetto - butto là.
- Già - poggia la schiena sul gradino sovrastante e distende le gambe in quello inferiore.
L'ora di pausa è appena iniziata e il cortile si sta riempiendo di studenti desiderosi di una fresca boccata d'ossigeno. Il tempo non è dei migliori.
Il freddo è pungente, ma del resto è normale nella seconda quindicina di novembre.
- E Riccardo c'era ieri mattina ? - La mia voce esce incontrollata, - per salutare la sorella, intendo! -
Matteo pare immobilizzarsi, - Sì, ovvio - balbetta.
Sposto lo sguardo sul suo viso, - Come ti è sembrato? - cerco di indagare, - so che era triste per la partenza, ma...ha fatto qualcuna delle sue scenate oppure ti ha chiesto qualcosa di me? -
- No – dice velocemente, - é stato piuttosto tranquillo e non mi si è avvicinato proprio! -
Sospiro – Okay! - poso anche io la schiena sul gradino, rilasciando le spalle, - scusami, la mia domanda era semplicemente insensata, insomma voi due non vi parlate neanche, non so davvero come mi sia passata per la testa! - premo una mano sulla fronte, - il fatto è che ultimamente mi appiglio davvero a ogni cosa! So bene che sto sbagliando, ma Riccardo con la sua indifferenza ha anteposto un muro così alto da non vedere più nessun tipo di futuro! -
Matteo avvolge un braccio attorno al mio collo e lascia che posi la testa sulla sua spalla, - Vieni qui! – dice, - Non posso chiudere una ferita d'amore, però posso provare a curarla - mi fa scendere il cappuccio e passa una mano sui miei capelli, - e fare in modo che giorno dopo giorno si formi una cicatrice tanto spessa da non fare più male! -
Queste parole sono molto generose e insieme al profumo dei suoi abiti riescono a rilassarmi. Respiro a pieni polmoni e rimango incollata con la tempia al piumino di Matteo per un tempo che sembra infinito.
Poi i miei occhi sono attratti da un paio di "Converse" rosse.
Lentamente alzo lo sguardo a incontrare la causa del mio tormento.
Riccardo è in piedi, davanti al portone d'ingresso pochi metri distante e ci sta osservando. Il cuore perde un colpo e poi si mette a battere così veloce da temere che possa prendere direttamente il volo.
Non riesco a distogliere l'attenzione dalla sua figura tanto bella e dannata.
Matteo guarda nella mia stessa direzione – Ehi! - mi scuote, - tutto, ok?-
- Io credo che devo andare da lui...- sollevo la testa dalla sua spalla, - adesso! -
Riccardo non si muove, sembra una statua di cera. L'unica cosa in azione è il braccio destro che porta alla bocca la sigaretta e poi torna in basso.
- No! - Matteo scatta a sedere in posizione eretta, - quel ragazzo ti ha detto che non vuole più una relazione, avvicinarti di nuovo a lui sono certo che porterebbe solo altro dolore! -
- Devo farlo! Non posso accettare che sia lui a decidere per entrambi! - balzo in piedi e scendo la gradinata di cemento che si erge nel mezzo al cortile.
Matteo chiama il mio nome un paio di volte, ma io fingo di non ascoltarlo e, a passo spedito, mi dirigo verso il mio obiettivo.
L'indifferenza mi ha ferita, mi ha logorato l'anima e io ho bisogno di riprovarci. Ho necessità di un contatto, di una parola, di un semplice tocco.
Prendo tutto il coraggio rimasto e butto via qualsiasi tipo di freno inibitorio.
Ormai tanto niente ha più senso, né il mio orgoglio e né l'autostima rimasta.
Sono determinata e decisa, ma soprattutto, non ho più niente da perdere.
Riccardo appena si accorge che sto avanzando nella sua traiettoria, si gira di scatto, pronto per rientrare nell'edificio.
Lo chiamo, ma la mia voce si perde nel frastuono emesso dagli studenti, e allora ci riprovo e ci riprovo ancora, fin quando non riesco ad afferarlo per la manica della camicia, - Noi due dobbiamo parlare! -
- Non abbiamo niente da dirci, Arianna, ci siamo detti già tutto - cerca di liberarsi dalla presa, - lasciami andare! - scuote il braccio.
- Va bene - chiudo le dita sulla stoffa pesante e lo tiro verso di me, - se non dobbiamo proferire parola allora useremo le nostre labbra per baciaci e basta! - scivolo la mano sulla sua spalla e faccio perno per sollevarmi.
Lui resta stupito e frastornato e io ne approfitto per gettarmi bruscamente con il viso contro il suo, per fare sì che le nostre bocche si incollino come ventose l'una all'altra.
Il tocco con le sue labbra umide e carnose mi riporta ai primi giorni, quelli stupendi, quelli dei brividi sulla schiena e la pelle d'oca sulle braccia. Affondo le dita sui suoi capelli e spingo maggiormente la testa dando vigore al bacio. Introduco la lingua, cercando e intrecciando la sua. Voglio sentire il sapore dolce e amaro, quello inconfondibile di miele e maschio, fino in fondo, dritto dentro alla mia anima.
Con una irruenza mai vista spingo il petto di Riccardo indietro, facendo scontrare la sua schiena contro la parete e trasformando il semplice contatto in un immenso vortice di passione.
Le mie mani si spostano dal collo alle spalle e di nuovo ai capelli con una frenesia disarmante.
Non vorrei porre mai fine a tutto questo.
È semplicemente ciò che ho sempre desiderato.
Respiro vitale e canto eterno.
E' il mio unico vero paradiso.
Un paradiso illusorio e maniacale, che purtroppo finisce ancor prima di iniziare.
Riccardo apre gli occhi e il suo corpo si ribella contro al mio. Quella che fino a un secondo prima era estrema passione, si trasforma in totale rabbia. Le nostre bocche si separano bruscamente e il mio corpo viene spostato di lato con una potenza mai vista con le spalle alla parete.
- Perchè lo hai fatto? - Lo sguardo di Riccardo si stringe contro il mio, - perchè mi hai baciato?
Placo i battiti e lo fisso dritto negli occhi. L'oceano verde contiene ombre più chiare e più scure, come onde che sbattono malvage contro gli scogli.
Poi senza pensare troppo ai miei gesti, mi spingo di nuovo verso le sue labbra, - So che lo volevi e lo vuoi ancora quanto me - ci riprovo, imperterrita e bisognosa.
Riccardo scatta indietro, quasi avvessi del fuoco al posto della bocca, - Cosa ne sai di quello che voglio? – Le sue dita allacciano i miei polsi, - non sai niente! - mi strattona, - niente !!! -
- Sì che lo so! - incamero una buona dose di aria e ossigeno, - tutto l'amore che dicevi di avere per me non può esserti passato così, da un momento all'altro! - punto il fondo delle sue pupille scure, - non per qualcosa che appartiene alla mia famiglia! - quasi urlo, - io non sono la mia famiglia! -
La presa attorno ai polsi comincia a farsi dolorosa, - Perchè sei così attaccato al passato? Perché non facciamo tornare tutto come prima? - La mia supplica diviene una nenia straziante, - lasciati andare! – Il mio cuore batte così forte, che posso sentirlo pulsare fino alle tempie! - se chiudi gli occhi e butti tutto dietro le spalle puoi farcela! - tento di convincerlo, - possiamo farcela! -
Il torace di Riccardo si alza e si abbassa.
Prendo tutto il fiato che ho in gola per liberare un grido strozzato, - Riccardo io ti amo! -
I suoi occhi scintillano.
La bocca si socchiude e la stretta si allenta.
Deglutisco e aspetto la sua mossa.
Non so quello che mi sta passando per la testa, forse confessare così i miei sentimenti è atroce e sbagliato, ma non c'è via d'uscita.
Il cuore non mente e il corpo, la voce, la testa possono solo seguirlo.
Gli occhi di Riccardo lentamente tornano a scurirsi, le sue mani si staccano dai miei polsi, lasciandoli intormentiti.
Con una dolcezza infinita adagia le dita sulle mie guance e i nostri sguardi si incrociano, sempre più vicini.
Ho la gola secca e il respiro corto. I pollici di Riccardo sui miei zigomi sono l'unico vero appiglio in grado di tenermi al mondo.
- Ti amo - ripeto a un filo dalla sua bocca.
Riccardo trema, - io, io...non ce la faccio...-
In un solo istante l'attesa si trasforma in puro sconforto.
Ho messo in campo i miei soldati migliori, lo schieramento più forte e robusto, ma non sono riuscita a vincere la sfida.
Riccardo abbassa lo sguardo a terra e fa dei passi indietro.
Dapprima lenti e poi sempre più veloci.
In pochi secondi oltrepassa il cortile, mischiandosi alla folla e sparendo per sempre dalla mia vista.
Mi ritrovo da sola.
Nella mia cappa intormentita in mezzo al frastuono. Mi sento precipitare dentro un baratro, un abisso che mi chiama nella sua gola profonda. Appoggio la schiena al muro e scivolo a terra.
Non sono in grado nè di piangere, nè di reagire. Sono completamente pietrificata, mente e cuore staccati dal corpo e da tutto il resto. Una bambola di pezza usata e gettata via per giochi nuovi e migliori.
Le persone che ridono e parlano e si muovono nel cortile sono solo delle ombre inanimate.
Le voci, le risa, i suoni si confondono in un'unico cerchio di caos.
Un fruscio mi riporta al presente, le scarpe da ginnastica di Matteo si fermano davanti a me e la sua mano mi solleva, tirandomi in un abbraccio. Mi culla dolcemente, quasi fossi una bimba da addormentare.
Non parla, non giudica, non rompe il silenzio. Mi dondola soltanto e io lascio che lo faccia con lentezza straziante. Poi ci stacchiamo e il senso di solitudine appena compensato, di nuovo mi assale.
Il vuoto combattuto e spalleggiato negli ultimi giorni non è affatto superato, ma si presenta più meschino e infame che mai.
Un vuoto chiamato dolore.
Un vuoto chiamato Riccardo.
- Torniamo in classe - propone Matteo, - saremo più tranquilli -
Lo seguo dentro l'edificio.
A metà scalinata una lampadina illumina il mio cervello, - Non andiamo ancora in aula, voglio che mi porti prima nel tuo posto segreto! -
Lui aggrotta le sopracciglia confuso.
- L'aia, il muretto, il nascondiglio... - lo fisso negli occhi, - ho bisogno di erba, adesso! -
Matteo apre la bocca spiazzato, - Cosa? -
- Erba - mi infervoro, - ho bisogno di un po' della tua erba!-
Lui sposta le pupille lungo il corridoio per vedere se qualcuno sia in ascolto dell'assurda richiesta e poi torna a me, - Non ne ho - alza le spalle, - coraggio, andiamo in classe - mi prende la mano.
Non mi lascio convincere e né trasportare, - Stai mentendo! - mi libero dalla sua presa, - tu ne hai, ma non vuoi darmene! Te la vuoi tenere solo per te, non è così? -
Matteo mi osserva sempre più sgomento, - Ari, per favore torniamo in classe! Stai delirando! - di nuovo la sua mano nella mia.
- Non sto delirando! - provo invano a liberarmi, - ne ho bisogno! Voglio ricucire i brandelli, voglio riempire il corpo, voglio sentire la leggerezza! – Il mio cuore è sempre più affranto, - perché non capisci? Perchè non vuoi che mi trasformi di nuovo in farfalla? Almeno per oggi, solo per oggi...- lo supplico, - per favore...-
Matteo fa un passo verso di me, - Non ne ho davvero, e non ne avrò più con me! – I suoi occhi azzurri incontrano i miei, - ho smesso con quella roba – confessa, - è per una promessa che intendo mantenere! -
Nei miei occhi spuntano un paio di lacrime, - Una promessa? -
- Ho giurato a Marie che non metterò più in bocca una canna in tutta la mia vita -
- Una promessa - ripeto, - una promessa...-
Matteo mi trascina di peso fino al piano superiore.
Una volta sul pianerottolo vinco il mio stato di trance e un nome mi balza alla mente, - Federico! - esclamo - è lui che fuma sempre con te! - con una mossa astuta e svelta slaccio la mano dalla sua stretta, - lui non ha fatto nessuna promessa! Lui me la darà di sicuro! -
Matteo non riesce a riprendermi ed io torno alla scalinata e salto i gradini ad ampie falcate.
Non so cosa mi dica la testa.
Probabilmente non è neanche più in grado di comandare le mie azioni.
In pochi secondi mi ritrovo a correre come una pazza alla volta delle classi di quinta con in testa un unico e preciso obiettivo: avere una buona dose di erba e trasformarmi in farfalla!
Libera, leggera e soprattutto di nuovo serena!
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