CAP C Sto pensando a te

Una malinconica "Sto pensando" a te mi accompagna per tutto il tragitto nell'auto da casa a scuola. Sarei tentata di allungarmi ed abbassare il volume, perchè le note tristi di "Vasco" non fanno altro che aumentare lo strazio di queste giornate, però non voglio rovinare l'equilibrio che si è creato nell'abitacolo. Mia madre si è proposta di accompagnarmi, uscendo da casa dopo più di una settimana di reclusione e tutto ciò rappresenta un record vero e proprio.

Così, per non rovinare lo slancio che ha avuto, me ne sto ferma e ascolto la melodia in silenzio, fino a quando non vengo scaricata davanti al cancello d'entrata.
Non appena metto un piede fuori scorgo Giulia uscire dall'auto nera e tirata a lucido di sua madre.
Resto interdetta di fronte alla scena dal momento che è la prima volta che vedo la mamma di Giulia che la accompagna a scuola.

La mia amica viene incontro sorridente, - Ciao Tata - mi bacia entrambe le guance.

- Cos' è ? – domando, facendo un cenno verso la macchina, - il mondo ha deciso di capovolgersi? - scuoto la testa, - oppure sta per arrivare un uragano? -

Lei pare divertita, - No, niente di tutto questo - guarda l'auto da dove è appena scesa fare retromarcia per andarsene, - solo che io e mia madre abbiamo ci siamo chiarite su alcuni punti -

- Cioè? –

- In realtà è una storia lunga...- si incammina verso il cancello d'entrata.

- Riesci a spiegarla prima che suoni la campanella d'ingresso? - l'affianco curiosa.

Giulia sposta di lato la treccia biondo cenere, - Semplicemente ha scoperto il test di gravidanza dimenticato dentro ad un cassetto ed io sono stata costretta a dirle tutta la verità, proprio tutta, dai miei primi rapporti, al fidanzamento con Leo, compresa la parte che riguarda il dott. Rizzo... -

Resto a bocca aperta sorpresa dalla rivelazione.

- Non è stato semplice, però anche mia madre non è esattamente innocente, infondo ha le sue colpe! In pratica abbiamo fatto una sorta di baratto – spiega, - lei sarà più presente nella mia vita ed io sarò più aperta con lei e mi darò una calmata in quel senso! -

Il cortile è pieno di studenti ed io, mentre Giulia mi narra la sua pasticciata vicenda familiare, mi guardo intorno e soprattutto volgo lo sguardo verso il parcheggio.

- Tata, ma mi stai ascoltando? - mi scrolla una spalla.

- Certo - la rassicuro, - stavi dicendo che ti darai una calmata in quel senso...- con gli occhi rimango a fissare il posteggio. Da un lato spero di vedere la moto di Riccardo arrivare e dall'altro desidero non vederla mai più.

Giulia sposta di nuovo indietro la treccia, - Non è poi così difficile stare alle regole, sai con Leo ancora bloccato le seguo piuttosto alla lettera...-

Senza volerlo mi fa uscire un sorriso e torno a guardare davanti a me.

- Non sto affatto scherzando! - si lamenta.

- Giù, ti ho già detto di portare pazienza e non soffocare quel poveretto! - tento di placare i suoi bollenti spiriti.

Lei sbuffa, - Lo so è che...-

Non riesce a finire la frase che la zittisco tirandole la manica del cappotto, - Guarda quei due - stringo gli occhi contro Rebecca e Marcello, che avanzano felici a braccetto, - quanto li odio!-.

Giulia mi prende la mano, - Sono solo dei robot senza cervello! – sentenzia, - anzi il cervello ce lo hanno, ma tra le cosce! -

Guardo la mia amica perplessa per la cosa che ha appena detto e lei guarda me e ci mettiamo a ridere.

Okay! Sono arrabbiata, delusa, amareggiata e schifata, ma le espressioni di Giulia riescono ancora a farmi sorridere, specialmente perchè la maggior parte delle volte so che ha pienamente ragione.

Rebecca ci passa vicino, con Marcello che la tiene saldamente attorno alla vita, neanche qualcuno potesse rubargliela.

Ci superano e poi la bionda si volta appena verso di noi, - Stupide mocciose avete sbagliato ingresso! - si atteggia, - l'asilo è dall'altra parte!-

Smettiamo di ridere e la fulminiamo con lo sguardo, sperando invano di poterla incenerire.

Marcello non ci degna della sua attenzione, finge che non esistiamo, e a me, sinceramente, non fa altro che piacere.I due proseguono dritti, sicuri e a testa alta.

Stringo gli occhi e immagino che Rebecca inciampi nella zeppa dei suoi stivali sbilenchi e Marcello venga soffocato dal suo stesso grembiule. La porta d'entrata li lascia passare.

Giulia se ne esce con una linguaccia che le copre metà faccia, - E' quello che si meritano! - incrocia le braccia, - Tiè! -

Sembra davvero una bambina e mi fa ridere di nuovo.

- Adesso andiamo – dice, - altrimenti faremo tardi! -

La campanella suona e io lancio un ultimo sguardo verso il parcheggio prima di entrare, dell' Honda nessuna traccia.

Leo ci raggiunge sulla soglia della porta di classe. Giulia prende la rincorsa e gli salta adosso sbaciucchiandolo tutto. Lì per lì la scena mi fa tremare le gambe. Forse un pizzico di gelosia o forse solo un magone crescente se penso che fino ad una settimana fa avrei potuto fare anche io tutto questo. Poi però osservo la faccia rossa di Leo, che cerca di liberarsi dalla presa della fidanzata e mi devo trattenere dallo scoppiare a ridere, di nuovo.

Stamani qualcuno potrebbe prendermi per una psicopatica.
Mi rattristo e rido che neanche io so cosa mi passa dentro.
Giulia torna a terra.

- Non lo sbloccherai mai se fai così! - bisbiglio sottovoce al suo orecchio, - ci devi mettere meno energia! -

Lei alza le spalle e riprende fiato.
Sospiro per la causa persa, faccio per entrare in classe quando mi sento bloccare un polso.

- Ehi aspetta! -

Il gesto mi gela il sangue.
Guardo le dita di Leo attorno al mio braccio e trattengo il fiato.
E' lo stesso modo che usa Riccardo per prendermi ed io rabbrividisco al solo pensiero.

Riporto i battiti regolari, cercando di allontanare dalla testa la mano di Riccardo che compie quel medesimo gesto. Mi sforzo di sorridere ancora, mascherando ogni genere di turbamento.

Gli occhi castani di Leo cercano i miei, - Volevo scusarmi con te, ieri non sono riuscito a parlare con Riccardo in nessun modo...-

Scuoto la testa, - Non è importante! - distolgo lo sguardo, per evitare che le lacrime si affaccino ancora.

- Sì che lo è - fa lui, - dammi solo qualche altro giorno, non potrà nascondersi per sempre! -

Annuisco e mi giro per entrare in aula.

Leo mi lascia andare e mi segue accanto a Giulia. Una stretta allo stomaco mi accompagna mentre vado verso il banco.
Ho un vuoto così grande nel cuore che vi potrebbe danzare un'intera scuola di ballo. Non è facile ricominciare tutto da capo.

Riprendersi in mano la vita a casa, a scuola, con gli amici, sempre e solo senza Riccardo.
So che devo mettere insieme tutte le forze per farcela ma ogni volta il mio cervello incontra anche solo un piccolo particolare di lui, tutte le barricate che sto tentando di alzare, crollano miseramente. Probabilmente sono ancora troppo debole, troppo sensibile, ma posso farcela. Supererò lo shock di mio padre e l'allontanamento di Riccardo. Io lo farò!

Con questa fatiscente convinzione vado a sedermi al mio posto accanto a Matteo, il quale non mi sorride, non si scompiglia i capelli come è solito fare, non allarga le braccia in una delle sue strette confortanti.

Oggi è diverso e a malapena risponde al mio buongiorno. Sembra perso tra i pensieri e fa continui scarabocchi indecifrabili su un foglio. La sua presenza risulta silenziosa per tutta la mattina e ogni mio tentativo di approccio è respinto.

Così entrambi ci chiudiamo nel nostro guscio come testuggini, fino a quando la professoressa di inglese dell'ultima ora ci divide a coppie, e mi ritrovo a tradurre un brano a suo stretto contatto.

Matteo è molto bravo in questa materia, forse più di me. Riesce a decifrare velocemente il testo dandone un buon senso.
In meno di mezz'ora abbiamo terminato il compito e mentre aspettiamo che anche gli altri compagni arrivino alla fine non resisto dal chiedergli: - Cosa c'è che non va? -

Lui passa una mano dietro la nuca e fissa il foglio che abbiamo appena scritto, - Marie domani parte -

Il chiacchericcio nell'aula è generale, accompagnato dal rumore delle pagine dei vocabolari e delle matite che segnano i fogli, ma la mia testa è come se si isolasse da tutto, concentrata solo sulle sue tre parole:

Marie-domani-parte.

Matteo pian piano alza gli occhi e incontra i miei, - Triste no ? - piega le labbra in quello che dovrebbe essere un sorriso, - ho appena conosciuto la persona più speciale del mondo e me ne devo separare così, senza che possa fare niente -

Continuo a guardarlo ammutolita.

- Ma infondo Berlino non è poi così lontana, non è vero? Un paio d'ore d'aereo e...- si tira il labbro tra i denti.

- Berlino? Marie...perchè? -

La mano di Matteo fa tintinnare la penna sul banco, - Per il suo bene - dice - per il suo bene-

D'istinto sono portata ad avvicinare la mia mano sulla sua, a fermare quel movimento ritmico e nervoso, - Chi ha deciso tutto questo?-

Lui lascia andare la penna che rotola sul banco fino all'astuccio, - La dottoressa Arnold - i suoi occhi tornano a guardare i miei, - la psichiatra che segue i ragazzi affetti da disturbi come quello di Marie- deglutisce e aggrotta la fronte, - la porterà nella sua clinica privata in Germania -

- E quanto tempo vi dovrà rimanere? - Sento la mia voce uscire fioca e debole.

Matteo scrolla la testa, - nessuno può saperlo, dipende solo da Marie e dalla sua volontà di guarire -

Il palmo della mia mano scivola sulle sue dita. Le nostre mani si ritrovano unite.

Lui ha dato forza a me un sacco di quelle volte e adesso sento che devo ricambiare, sento che devo esserci.
La professoressa annuncia che possiamo procedere alla rilettura del testo.
Io e Matteo ci guardiamo in silenzio.
Le nostre vite non stanno andando proprio nel modo migliore, ma fino a quando le nostre dita potranno intrecciarsi riusciremo a risolvere i dilemmi, o comunque ad arrangiare un qualcosa che assomigli il più possibile a una soluzione.

Una volta fuori dal liceo, l'unica cosa che ho voglia di fare è andare a trovare quella ragazza dagli occhi verdi e le ossa sporgenti.

Matteo mi prende per mano e mi conduce davanti all'auto parcheggiata fuori dal cortile, - Ci faremo accompagnare da mia madre -

Apre lo sportello e la donna alla guida saluta il figlio con un grande sorriso, poi ne rivolge uno anche a me, molto più triste. Deve conoscere tutta la mia storia familiare e immagino che in questo momento le stia facendo una grande pena.

Mi fiondo sul sedile posteriore a testa bassa e lascio che Matteo si sieda al mio fianco, impartendo gli ordini della destinazione.
Telefono velocemente a mia madre, informandola che non tornerò subito a casa. Non posso lasciare che Marie parta senza il mio saluto. Mi volto verso il finestrino e guardo un'ultima volta in direzione del parcheggio. Neanche all'uscita riesco a intravedere Riccardo o la sua moto e quindi ipotizzo che abbia proprio saltato la mattina.
Il vuoto si espande ed è come se l'aria mancasse dentro questo piccolo abitacolo.
L'auto parte.

Matteo sussurra al mio orecchio: - Ti manca tanto, non è vero? -

Io mi volto.
Colpita e affondata.
I nostri occhi si incontrano capendosi e confortandosi.

- Già - sussurro.

E in questo già sono racchiusi tutti i mi manchi più fantasiosi e immaginari. Riccardo non si è certo comportato bene con me, abbandonandomi quando più ne avevo bisogno. Io che non ho nessuna colpa e non ho commesso nessun errore. Ma nonostante tutto lui mi manca.

Mi manca come l'aria, come l'ossigeno, come l'acqua. Mi manca come mancano le stelle ad un cielo quando è buio.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top