L'amore non è sufficiente
One-shot per il "Concorso One-shot" di sarah_myworld
La vita è fatta di scelte e, nonostante quello che si dice, nella maggior parte dei casi non ce n'è una corretta e una sbagliata. C'è solo la strada che scegliamo di percorrere perché è la vita in un modo o nell'altro ad averci condotto in quella direzione.
Mesi fa non avrei mai pensato di prendere questa decisione. Perché non è sempre stato così: io che scappo di casa in piena notte dopo una lite furiosa.
Rimpiango i bei tempi felici in cui ero quello che continuo a essere ancora oggi, ma che gli altri intorno a me non riescono più a vedere. O forse non vogliono vedere, ma è lo stesso.
Non sono cambiata, lo ripeto ogni giorno, lo urlo in faccia a mia madre ogni sera che torno da lavoro, apro la porta di casa e la trovo lì, seduta nel buio della cucina, lo sguardo spento e la sigaretta tra le labbra.
Non sono cambiata, le dico mentre mi porto alle labbra la forchetta.
Non sono cambiata, ho continuato a ripetere in questi mesi. Ma è davvero servito a qualcosa?
No, non è servito. E' questa l'amara verità che ho faticato ad accettare.
Per loro, per la mia famiglia, non sono più la stessa. Trovarmi a letto con una donna ha cambiato completamente l'idea che avevano di me, tutta la stima è calata. Non sono più la figlia di cui essere orgogliosa, la ragazza che si è fatta strada da sola nella vita, la sorella comprensiva e sempre presente.
E' bastato un errore perché tutta la mia vita precipitasse nel caos. E nel caos ho continuato a brancolare per mesi, nella speranza che poco a poco la situazione potesse migliorare.
Non piove per sempre, dice un proverbio, e io ci ho sempre creduto, continuo a crederci. Non pioverà per sempre, forse ci vorrà del tempo ma prima o poi la tensione comincerà ad attenuarsi, forse ci vorranno anni ma torneremo ad essere la famiglia di un tempo.
Ma non è più questo il problema. Il problema adesso sono io.
Ne vale la pena? Mi chiedo ogni giorno. Sacrificarmi, urlare, piangere per far capire a delle persone che valgo lo stesso anche se non mi sposerò in chiesa, anche se non sfornerò bambini. A che prezzo? A che guadagno?
Perderò altro tempo a non essere felice, a non essere me stessa. Forse anni, forse meno.
Ne vale la pena?
La risposta è sempre stata no, solo oggi però ho il coraggio di affrontare le conseguenze della mia scelta. In fondo anche essere felici ha un prezzo, nessuno ci garantisce che lo saremo a prescindere, senza combattere, ed è questo che ho deciso di fare.
Combattere.
L'ennesimo cappotto precipita nella valigia, seguito poi da un maglione e da un paio di jeans appallottolati.
Dovrei controllare meglio, piegare i vestiti, scegliere quelli che più mi potranno servire nel presente immediato, ma la verità è che non ci sono con la testa.
Una strana frenesia controlla i miei movimenti, i miei gesti impazienti.
Sono impaziente, sì. Impaziente di essere felice, di liberarmi di persone che preferirebbero che io sacrificassi me stessa per la facciata, per il paese, i giudizi della gente.
Riesco a chiudere la valigia con estrema fatica, la trascino giù dal letto e mi avvicino alla porta. Il corridoio è buio e silenzioso. Claudia sarà scappata di casa per l'ennesima volta e mia madre starà aspettando il suo ritorno in cucina. Quando la figlia tornerà, lei chiuderà gli occhi fingendo di essersi addormentata lì e solo quando sarà certa che Claudia è al sicuro nel suo letto concederà a se stessa di dormire.
La osservo lì, chinata sul tavolo, il volto coperto dalle braccia, e non sono sicura stia dormendo davvero. Forse sta solo fingendo, ma non posso saperlo con certezza.
Mi odi, mamma?
Le chiedo, ma è una domanda sussurrata nella mia stessa mente e il silenzio è la mia lacerante risposta.
Forse dovrei svegliarla, salutarla, dirle qualcosa, lasciare un messaggio a Claudia.
Ma alla fine non trovo il coraggio di fare nient'altro che quello. Osservarla, rimpiangere i momenti in cui siamo state felici. Solo noi tre, eppure una vera famiglia.
Davvero non rivedi più in me tua figlia, mamma?
Le domande spariscono dalla mia mente quando un soffio di aria gelida mi colpisce il viso e la porta si chiude alle mie spalle.
Il cielo è coperto da grosse nubi, che sembrano creare un unico sfondo grigio, come una cappa soffocante su questo paesino dimenticato da Dio.
La strada principale del quartiere è vuota e silenziosa, come sempre durante la settimana. Un silenzio che sa di serenità.
Una volta questa casa, queste strade erano anche il mio posto. Di notte, quando tutto taceva, sgattaiolavo fuori con il mio taccuino e sulle scale di casa, nel silenzio, trovavo l'ispirazione per lasciar fluire la mia immaginazione sulla carta. Non scrivo più da mesi ormai, quando prendo in mano una penna sento qualcosa ostruirmi le vie respiratorie.
E' la rabbia, la frustrazione, il dolore, il senso di distacco che sento nei confronti di questo posto.
Vedo l'ultimo bus della giornata passare in lontananza. Mi basterebbe correre e sono sicura che potrei prenderlo.
Ma non è ancora arrivato il momento.
C'è un'ultima cosa che devo fare.
Arrivo di fronte a quella casa in poco meno di dieci minuti. Le luci sono ancora accese, in particolare una. Il mio sguardo si sofferma sulla sua finestra e mi tornano alla mente tutte le volte che mi sono arrampicata sull'albero di fronte per arrivarci.
Quante notti il tuo profumo mi ha scaldato la pelle?
Troppe.
Ma non abbastanza.
Perché l'amore non basta. E non è per mancanza di amore che due persone come me e Mary non possono stare insieme.
Ci sono mille altre cose, mille altri motivi. Più forti del sentimento che ci lega da anni.
Poi la vedo, un'ombra che passa davanti alla finestra. Non è lei. E' un uomo. Quello di cui non è mai riuscita a liberarsi.
Sento lo sconforto prendere piede, ma decido di accantonarlo.
E' l'ultimo tentativo, meritiamo un'ultima possibilità. Merito almeno di poterla salutare.
Sfilo il cellulare dalla tasca e invio un breve messaggio.
Scendi.
Non ci vuole molto perché risponda.
Vattene. C'è lui.
Poche parole concise, che sono il riassunto di tutta la nostra storia.
Perché c'è lui di mezzo tra me e lei, c'è sempre stato. Lui c'era ancora prima che ci conoscessimo: questo non le ha impedito di iniziare quello che c'è stato tra noi, ma le ha impedito invece di dare al nostro sentimento una forma concreta, dignitosa.
Noi siamo le amanti della notte, del buio, siamo il segreto scandaloso che farebbe scappare i bei bigotti che ci circondano.
Me o loro?
Le ho chiesto una volta.
Una domanda stupida, mi sono resa conto dopo.
Perché c'è molto più di qualche malelingua tra di noi. C'è lei, Mary, il suo cumulo di insicurezze nascoste, il suo bisogno ossessivo di approvazione.
Scendi un attimo.
Per favore.
Le mando. Un messaggio di seguito all'altro.
Probabilmente percepisce la mia urgenza perché l'attimo dopo sento il trillo del citofono e il suono del portone che si sblocca.
La aspetto lì fuori, appoggiata al muro, seminascosta dal muretto.
Mi raggiunge con un'espressione indecifrabile, stringendosi nella vestaglia.
Quella visione non mi fa più male come me ne avrebbe fatto una volta. Va a letto anche con lui, è la nostra copertura, il modo di far sembrare più verosimile il copione dietro il quale ci nascondiamo da anni.
Tu non sei stanca, Mary?
"Ehi" le dico, accenno un mezzo sorriso e faccio un passo avanti, ma poi mi blocco di fronte al suo sguardo.
E' incazzata, lo è sempre quando mi presento a casa sua pur sapendo che c'è lui. L'altro. Quello che al momento può vantare più diritti su di lei, almeno di fronte alla società.
"Che cazzo ci fai qua?" proferisce, la voce colma di astio. Si sta trattenendo anche se non è da lei.
Mary è passione, puro istinto. Ma questa situazione ha logorato sia me che lei. Non siamo più quelle di una volta, le ragazze pronte a tutto pur di ritagliarsi un attimo da passare insieme, quelle che scappavano da scuola per rifugiarsi nel parchetto dietro l'angolo.
Scrollo le spalle e faccio un altro passo avanti, incurante del suo sguardo furioso. Perché è l'unico modo per averla vicino un'ultima volta. Perché l'attrazione tra i nostri corpi è l'unica cosa rimasta davvero invariata.
Mi fulmina con lo sguardo mentre indietreggia fino al muretto, poi accoglie con un mugolio di protesta quel bacio a cui non riesce ad opporsi. Geme ancora, poi sento le sue braccia intorno al collo che mi spingono contro il suo corpo. Scendo con la bocca lungo il suo viso, il collo, il petto. Mi inebrio del suo profumo e catturo ancora una volta le sue labbra.
Lo percepisce anche lei che questo bacio ha il sapore dell'addio, perché quando faccio un passo indietro mi artiglia il polso e mi morde le labbra.
"M-Mary" gemo, sovraccarica di mille sensazioni.
"Che cazzo vuoi?" chiede aggressiva, questa volta è lei a spingermi via. "Vieni qui, mi provochi e poi vorresti lasciarmi insoddisfatta? Cos'è questo? La nuova strategia per assicurarti che non andrò a letto con lui? Perché, indovina?" chiede e sorride, il sorriso soddisfatto di chi sa di star per colore nel segno. "Me lo scopo lo stesso."
La sua linguaccia è quello che mi ha colpito di lei la prima volta, insieme alla sua falsa sicurezza, a quel modo discreto con cui cerca approvazione negli occhi della gente.
Ecco perché non potremmo mai essere felici io e lei. Perché lei ha bisogno di tutto il resto più di quanto abbia bisogno di questo legame. Ha bisogno del consenso degli altri e la verità è che troverà sempre qualcuno pronto a giudicarci per quello che abbiamo insieme.
"Ti giudicheranno comunque, Mary. Per il modo in cui ti vesti, per il lavoro che fai, per l'età a cui ti sposerai e per mille motivi anche più stupidi di questi" le avevo detto una volta.
L'odore di sesso riempiva ancora la mia camera e lei aveva osservato la spirale di fumo della sigaretta raggiungere il soffitto prima di voltarsi. "Non puoi capire" aveva detto e in quel momento paradossalmente avevo capito tutto. L'avrebbero giudicata e lei avrebbe combattuto strenuamente per abbattere quei pregiudizi, l'avrebbero offesa e lei si sarebbe plasmata per piacere a chi l'aveva sminuita. Era in quel momento che mi ero sentita davvero sconfitta, che avevo capito di star combattendo qualcosa che non avrei potuto vincere, che mi ero accorta dell'altezza e dello spessore del muro che ci separava.
Abbasso lo sguardo per tirare fuori il biglietto dalla tasca. "Parto" dico e proprio allora un tuono straccia il silenzio, sovrapponendosi alle mie parole.
"Che cosa?" chiede, battendo le palpebre. Una raffica di vento ci investe e lei fa un passo indietro. La sicurezza di un attimo fa è scomparsa, adesso sembra solo una bambina che cerca conferme nei miei occhi. Affondo in quello sguardo dorato e non ci leggo tutta la sorpresa che dovrebbe esserci.
La veritá è che la fine era all'orizzonte giá da mesi, ma nessuno di noi ha mai davvero avuto il coraggio di guardare in faccia la realtá.
Sto scappando, ma sono davvero io la codarda della situazione?
"Parto" ripeto. Questa volta le parole sembrano ripetersi come un'eco nella mia mente ed è come se avessi per la prima volta questa sera la reale consapevolezza di quello che sto per fare.
"Ma dove? Quando..." chiede confusa.
"Sono stanca, Mary. Non sei stanca anche tu?"
Lei non sembra capire le mie parole. O forse le capisce fin troppo bene.
Vedo le sue sopracciglia schizzare su, incrocia le braccia al petto e mi punta addosso il suo sguardo rissoso. "Cos'è 'sta pagliacciata? Stai cercando di convincermi a lasciarlo? Pensi che prenderò quattro stracci e ti inseguirò in capo al mondo? Svegliati, Agata, non siamo in una cazzo di commedia romantica!"
No, non lo siamo affatto, penso amaramente, mentre la vedo pronta ad attaccare ancora.
"Cazzo, lo sai che non lo lascerò! Perché diavolo ti ostini ogni volta a-"
Non la lascio continuare, le tappo la bocca con la mia il tempo necessario a zittirla e poi la stringo, la stringo forte.
Dio, il suo odore, la sua pelle, il suo corpo. Non c'è una cosa di lei che non mi mancherà.
Un altro tuono e una leggera pioggerella comincia a ricoprire la città. Una pioggia triste e fiacca che sembra rispecchiare il mio stato d'animo.
Un fantasma senza scopi né mete. Ecco come mi sento in questo momento.
Quel che è certo però è che devo lasciare questa palla di vetro nella quale mi sono rinchiusa per troppo tempo, per sfuggire alla realtà e alle mie paure.
"Non stavi scherzando, vero?" E' lei la prima a rompere il silenzio, la voce camuffata contro il mio collo.
Il silenzio è la mia risposta perché non c'è bisogno di parole, non davvero.
Quando mi stacco per prenderle il volto tra le mani, ho la conferma ai miei sospetti. I suoi occhi sono lucidi, una lacrima sfugge alla barriera delle ciglia e attraversa quella pelle olivastra.
Le accarezzo la guancia e annego ancora una volta in quegli occhi.
La veritá è che abbiamo sempre saputo come sarebbe andata a finire sin dall'inizio. Abbiamo assistito all'alba e ci siamo godute il sole, sapendo che prima o poi sarebbe tramontato.
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