Ho fame

Questo breve racconto partecipa alla prova Day#7:FoodKart del contest Halloween Vault 2 indetto da AmbassadorsITA

La sera è il mio momento preferito della giornata.

La aspetto come i liceali aspettano l'estate o come i bambini aspettano i regali a Natale.

È una sorta di rituale: staccare dal lavoro, guidare fino a casa e precipitarmi sul cestino degli orsetti gommosi.

Sono l'unico sgarro che mi concedo nella dieta.

Non è sempre stato così.

Regimi alimentari, palestre e bilance.

Un tempo dolcetti e schifezze erano la mia unica consolazione in una vita disastrosa. La mia autostima era sotto le scarpe e il mio girovita era oggetto di scherno a casa come a scuola.

Poi tutto è cambiato. È successo gradualmente: prima tornavo a casa piangendo per gli insulti, poi un giorno mi sono reso conto che quegli stessi insulti mi scivolavano addosso.

Quando ho capito che dovevo essere io a dare valore a me stesso, prima di pretendere che lo facessero gli altri, ho preso in mano le redini della mia vita: ho buttato le scorte di dolci, mi sono iscritto in palestra e ho imparato a rispondere alle offese.

Da allora la strada è stata in discesa.

Poi è arrivata l'università: lì, tra corridoi infiniti e infiniti volti, ero uno sconosciuto qualsiasi e non il ragazzino in sovrappeso perseguitato dai bulli della scuola, oggetto di scherno o pietà.

Quando la porta d'ingresso si apre davanti a me, sento tutta la tensione della giornata scivolare via.

Lancio la valigetta sul divano e mi dirigo verso il cestino delle caramelle.

È allora che lo noto.

Ci sono orsetti gommosi disseminati sul bancone della cucina e sul pavimento.

Seguo il percorso creato dalle caramelle fino al corridoio e poi alla camera da letto.

Forse dovrei preoccuparmi di una probabile incursione in casa, ma riesco solo a pensare a un scherzo di cattivo gusto.

Apro la porta della mia camera e mi affaccio. Il percorso prosegue fino al letto e poi, poggiato sul piumone, c'è un bambino.

Solleva la testa dal sacchetto delle caramelle e scuote la mano. "Ciao! Ti ricordi di me?"

Ha la voce stridula e i capelli scompigliati.

Deglutisco di fronte a quell'immagine, quegli occhi azzurri e innocenti.

L'irritazione evapora e l'inquietudine prende il suo posto.

Quel bambino sono io.

Ero io.

"Mi dispiace se ho li ho mangiati tutti!" dice, quasi imbarazzato. "Però avevo fame. Ho ancora fame."

Ho fame.

Lo osservo bene: i capelli scompigliati, i vestiti troppo larghi, le ginocchia sbucciate dopo l'ennesima fuga da James Ross e il suo gruppo di amici.

È un bambino trascurato, maltrattato, e la sua è fame d'amore.

"Ti eri dimenticato di me, vero?" la sua voce si insinua nei miei pensieri. "In questi anni" chiarisce.

"Sì" ammetto a malincuore.

L'ho fatto. Ho dimenticato il bambino che ero e mi sono concentrato solo sull'immagine che volevo trasmettere agli altri.

L'uomo sicuro di sè che non ha bisogno dell'appoggio degli altri.

"Non ti preoccupare" interviene dopo un lungo silenzio. "Sono sopravvissuto comunque" dice e scuote il sacchetto semivuoto di caramelle.

È sopravvissuto grazie agli orsetti.

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