VIII

I giorni passarono e la normalità ritornò a fare visita alla mia vita. Michael era uscito dall'orrendo ospedale e le mie giornate erano sempre piú frenetiche ed incasinate. Percorrevo costantemente il tragitto da casa ad uno dei tanti set fotografici, iniziavo a lavorare senza sosta fino all'ora di pranzo, mangiavo al volo e tornavo a truccare i clienti.
Negli anni, avevo conosciuto molte persone e incontrato volti dalle diverse caratteristiche; grazie al mio lavoro, imparai a distinguere i vari tratti ricorrenti e quelli piú rari, quelli intriganti e quelli più noiosi.

Quel giorno, esattamente tre settimane dopo l'incidente, mi ritrovai in uno studio tutto colorato, con le pareti tinte differentemente a seconda della stanza, con i mobili di un azzurro acceso simile all'acqua che si trova nei mari delle Hawaii e le sedie verdi come le prime foglie di un albero. La mia stanza, quella adibita al trucco, presentava delle pareti color indaco intenso che mi ricordarono parecchio la tintura delle ortensie coltivate da mia nonna nel suo giardinetto in Italia. Mi parve quasi di sentirne il profumo quando ci entrai.
Osservai meglio il luogo e notai una figura maschile seduta su un piccolo sgabello verde che mi dava le spalle.

《Buongiorno, sono Brooke, la truccatrice. Piacere di conoscerti》dissi avvicinandomi. Il ragazzo si giró e mi sorrise, stava per pronunciare qualche parola, ma si fermó evidentemente catturato da qualche cosa a me sconosciuta. Sorrisi per invitarlo a continuare e mi accontentó.

《Sono Alessandro, ma puoi chiamarmi Alex. Piacere mio》sorrise. Aveva una strana pronuncia che ricordava un vago accento italiano e degli occhi vispi di color nocciola che osservavano i miei.

《Ok, fantastico, iniziamo!》
Contemplai attentamente il suo volto e, visto che conoscevo già le direttive, mi misi subito all'opera. Per un ragazzo, il trucco doveva essere rigorosamente leggero, coprire le imperfezioni e le occhiaie, rendere un po' piú carnose le labbra ed evidenziare i lineamenti.
Il suo volto pareva rilassato e i suoi tratti, riportavano alla mia mente esperienze giovanili, abbandonate in un angolino della mia coscienza che saltarono fuori impazzendo improvvisamente. Il suo viso mi era familiare, non c'era dubbio, ma a quale parte del mio passato fosse relegato era ancora ignoto.
I movimenti erano sicuri, chiudeva e riapriva gli occhi scuri, muoveva i muscoli del volto ed apriva le labbra rosate con tanta naturalezza che pareva fosse abituato a quel tipo di trattamento.
L'espressione rilassata e serena accentuava ancora di più la bellezza che traspariva dall'individuo dai capelli castani un po' scombinati che sedeva davanti a me. Il ragazzo portava dei jeans neri, scarpe sportive, una maglia bianca, semplice e pulita, ma leggermente trasparente che esaltava la muscolatura, sopra di essa una camicia di jeans sbottonata che rendeva il tutto più attraente.

Finii il lavoro in una decina di minuti, osservai ancora una volta il suo volto, sorrisi per fargli capire che avevo finito e iniziai a sistemare i trucchi che avevo sparso frettolosamente sul bancone.
Quando finii notai che il ragazzo mi guardava ancora, aveva tenuto gli occhi puntati su di me tutto il tempo e la cosa iniziava un po' a farmi sentire a disagio.

《Qualche problema?》 dissi con finta calma.

《No, no, anzi!》 fece una pausa, prese fiato e si passò una mano fra i capelli.

《Ci siamo già incontrati vero?! Greenwich 1999 giusto?》 Le sua labbra si arricciarono e i suoi occhi si illuminarono. Sul mio volto comparve una nota di sorpresa e le immagini cominciarono a riaffiorare.

Conoscevo benissimo quegli occhi, quella voce e quelle labbra: c'eravamo incontrati nelle vie pittoresche di una cittadina londinese, parecchi anni prima ed era scattata una scintilla che, sfortunatamente, non è mai stata soddisfatta.

Mi trovavo a Greenwich in vacanza con delle amiche, eravamo appena arrivate quando decidemmo di fare un giro per il centro della città; i negozzi non sono mai stati il nostro forte quindi preferimmo abbandonarci ad una visita fra monumenti, musei e luoghi di importanza comune.
Le ore sembrano battiti d'ali di farfalle, attimi sfuggenti ma intensi, ricchi di colori ed emozioni quando sì è in buona compagnia, ma quel giorno i secondi sembravano teneri bradipi in procinto di muoversi.
Ci muovevamo attraverso stradine colme di turisti curiosi ed interessati a ció che quella città era capace di offrire, ascoltavamo il suono delle voci e degli schiamazzi dei bambini che correvano ai lati delle vie, i profumi intensi emanati dai fiori variopinti sui balconi delle case inebriavano i nostri sensi e ci trasportavano in un mondo quasi magico.
I colori pastello che tingevano le pareti di un bar ci attirarono ed in pochissimi istanti eravamo già dentro. Ordinammo un paio di thè e dei biscotti, poi ci accomodammo al tavolo. Il cameriere ci portò immediatamente ciò che avevamo ordinato e, sorridendoci cordialmente, si dileguò. Chiesi il conto e pagai il tutto.

La nostra giornata proseguì senza intoppi, trascinai con la forza le mie amiche nei negozi più conosciuti e riuscimmo persino a spendere parecchio, poi ci rilassammo sul verde prato del parco di Greenwich. Tornammo in hotel e ci congedammo nelle rispettive stanze.
Quella sera, sistemando lo zaino, riguardai lo scontrino che ricevetti pagando in quel delizioso bar e trovai un numero con un piccolo messaggio "chiamami. A.". Digitai il numero e chiamai.

《Hey sono Alex, non sono in casa, lasciate un messaggio, vi richiamerò》 《emm ciao. Ho trovato il numero su uno scontrino e emm... ecco sì, ho voluto chiamarti. Ciao》
Non so perchè chiamai, forse quel messaggio mi intrigò a tal punto da farmi fare ciò che diceva. Restai delusa e amareggiata dalla frivolezza che, in un momento di pura follia giovanile, manifestai. Appoggiai la schiena alla parete perlata e scivolai fino al pavimento come presa dallo sconforto.
Aspettai una risposta.

Alex rispose dopo parecchi minuti e si presentò come il cameriere che ci aveva servito. Mi trovava "molto carina", parole sue, e avrebbe voluto conoscermi.
A quella telefonata ne seguirono altre e furono affiancate a piccoli incontri grazie ai quali iniziai a conoscere meglio il ragazzo dagli occhi scuri.
Mi stavo innamorando, ma riuscii a capirlo solo prima di addormentarmi su di un volo di ritorno verso l'America. Provai parecchie volte a ricontattarlo, ma solo invano: non rispose e non richiamò; forse ero solo "una delle tante".

Si alzò dalla sedia color del prato, saltando in piedi come i predatori fanno avvistando le prede e, mantenendo lo stesso atteggiamento, si avvicinò a me. Le sue labbra erano a pochi centimetri dalle mie, potevo sentire il suo respiro sulla mia pelle e odorare il dolce, ma singolare profumo che la sua figura emanava. Sentii, ancora una volta, quella strana sensazione che provai anni prima in sua presenza: era un misto di energia, adrenalina, attrazione e pura elettricità. Prese il colletto della mia camicia e mi attirò ancora di più a sè utilizzando, però, sempre una strana dolcezza feroce che mi spronò ad andare avanti.

Le sue labbra sfiorarono appena le mie e il mio corpo era già in estasi.

Bussarono alla porta.










Eccolo!
I'm sorry per la centesima volta, ma non ho potuto pubblicare perchè ho perso tutto ciò che avevo scritto...
Comunque è il mio compleanno e mi sono regalata del tempo per scrivere quindi eccolo quì il calitolo che stavate aspettando.

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