UN POMERIGGIO DI FUOCO

È da ormai mezz'ora che Daniel si sta divertendo come un matto a correre sul tapis roulant. È assurdo che una cosa talmente impegnativa possa risultare a qualcuno così piacevole.

In effetti, pensandoci meglio, comincia a piacere anche a me. Questo esercizio mi permette di osservare Daniel senza rischiare che mi scopra. È troppo impegnato a guardare avanti a sé per girarsi a controllare come me la sto cavando.

La verità è che sto camminando a passo veloce e ogni tanto (giusto di tanto in tanto) il mio sguardo si sposta inevitabilmente su di lui. È bello guardarlo mentre si allena, ma lo è ancora di più immaginare che lo stia facendo per me. Il pensiero che tutta questa fatica preceda l'atto dell'esercizio fisico per eccellenza ha totalmente invaso la mia mente.

Portarmi con lui in palestra, opportunità che tra l'altro gli ho servito su un piatto d'argento, per costringermi ad osservarlo mentre si sforza senza mai stancarsi apparendo così ai miei occhi ancora più bello e ai miei ormoni ancora più desiderato è un piano geniale, però, se davvero così fosse, devo ammettere che è crudele cuocere a puntino una ragazza in una simile maniera. Non posso certo avvicinarmi troppo al suo corpo in un posto pieno di gente, dopotutto, quindi dovrei portare pazienza per chissà quanto tempo prima che si svuoti la palestra e resti solamente un flebile fascio di luce rossa. La seconda opzione sarebbe raggiungere gli spogliatoi ed entrare nel primo completamente libero abbandonandoci entrambi ai piaceri della carne.

<Lisa?> domanda ad un tratto Daniel, riportandomi coi piedi per terra.

Mi giro verso di lui e noto che si è fermato. Diverse gocce di sudore gli scendono dalla fronte e vengono prontamente asciugate con un veloce gesto del braccio. La maglietta, invece, è diventata a causa del sudore leggermente trasparente, rendendo ben visibile la pelle sottostante.

Che addominali!

Daniel ha una tartaruga da paura, ben delineata in ognuna delle sue parti e sexy da impazzire.

<Scusa, dicevi?> chiedo riprendendomi dal meraviglioso spettacolo che mi ritrovo davanti.

<Io qui ho finito, tu vuoi continuare?>

Spengo il tapis roulant e mi calo nella parte della tizia che non ha percepito il minimo sforzo.

<No, figurati, anzi, ti dirò la verità, mi stavo annoiando un mondo. Questo esercizio è fin troppo facile> rispondo mostrando disinvoltura al fine di rendere il mio personaggio credibile.

<Sai che la velocità può essere aumentata, vero?> domanda alzando un sopracciglio, non del tutto convinto.

La mia interpretazione ha bisogno di una battuta per non finire nella lista delle peggiori figure di cacca che io abbia mai fatto.

<Certo, ma a differenza tua io ci tengo a mantenere il segreto. Non è una cosa che tutti sanno, devi sempre tenerlo ben a mente> improvviso mettendo le mani sui fianchi.

Daniel ride.

<Cosa c'è di tanto spiritoso?> fingo di non sapere di essere stata altamente convincente.

Sono consapevole di essere un'attrice eccellente, però non me ne vanto troppo in giro. Se entrassi nel mondo del cinema tutte le altre attrici si sentirebbero così inferiori da non voler più recitare. Non sarebbero mai e poi mai alla mia altezza, quindi tanto varrebbe cercarsi un altro lavoro.

Daniel si allontana indicandomi con un gesto della mano di seguirlo. Chissà se l'ha capito che lo seguirei fino in capo al mondo.

Raggiungiamo il lato della palestra dedicato agli esercizi da svolgere a terra. Daniel prende due tappetini da una cesta nell'angolo e li stende sul pavimento.

<Tieni> gli restituisco la sua asciugamano notando che nuove gocce di sudore minacciano di attaccare il suo viso perfetto.

<Grazie> è ciò che ricevo come ringraziamento, assieme a un fantastico sorriso da parte della mia divinità preferita.

Una volta tolta la maggior parte del sudore Daniel si stende su uno dei due tappetini posizionati poco fa. Grazie alla mia perspicacia intuisco di dover fare lo stesso, quindi lo imito.

<Osserva attentamente> mi avvisa Daniel, poi si solleva sulle punte dei piedi e sui palmi delle mani.

Si abbassa e si rialza, poi lo fa di nuovo informandomi su tutto ciò che c'è da sapere prima di fare una flessione.

<Quanti dettagli>

<Vedrai che riuscirai a memorizzarli in breve tempo> è l'incoraggiamento di Daniel.

<Puoi farmi vedere ancora una volta come si fa?> domando con un secondo fine.

Naturalmente so bene come si fa una flessione, ho visto centinaia di video su svariati bonazzi che si allenano, ma se ho l'occasione di vedere il mio dio greco preferito farne una dal vivo allora colgo la palla al balzo. È incredibilmente sorprendente vederlo all'opera, i suoi muscoli si accentuano al minimo movimento compiuto. È proprio vero che dal vivo una cosa fa un tutt'altro effetto. In questo caso, è mille volte meglio che in video.

<Ok, sono pronta>

Mi metto in posizione.

<Tre, due, uno>

Io e Daniel partiamo contemporaneamente. Sto facendo uno sforzo assurdo, del tutto estraneo al mio povero corpicino. Lui, al contrario, non dà neppure il più piccolo segno di affaticamento. Sta andando alla mia identica velocità, probabilmente per non lasciarmi indietro e farmi sentire una pappamolle.

<Avanti, puoi farcela> mi incoraggia voltandosi leggermente nella mia direzione.

Il suo sorriso e il blu scuro dei suoi occhi sono sufficienti a darmi la forza di non mollare.

Uno.

E la prima flessione è andata. Il problema è che non so quante ne mancano, solitamente si fanno più serie.

<Quante ne restano ancora?> chiedo concentrandomi sulla seconda.

<Direi che come prima volta tre serie da dieci possono andare bene> risponde Daniel.

Pietà.

Mentre mi chiedo come mi sia venuta in mente l'idea della palestra, tento di deviare la mia attenzione sulla ricompensa che mi aspetta. In un modo o nell'altro vedrò gli addominali scoperti della divinità al mio fianco. Col cavolo che tutta questa fatica non sarà servita a nulla.

Dopo le flessioni è il turno di qualche squat. Daniel mi mostra il corretto svolgimento dell'esercizio spiegando come eseguirlo nella maniera giusta. Il mio sguardo scende inevitabilmente sul suo fondoschiena, così ben scolpito ed attraente.

<Dai, prova>

Cerco di mettere in pratica la teoria, a cui ho ovviamente prestato un'attenzione maggiore rispetto a quella riservata alla pratica (certo, come no). Gli occhi di Daniel sono fissi su di me, il che mi mette parecchio in soggezione.

<Come era?> domando preoccupata della risposta.

Un macello.

<Sei stata bravissima> risponde invece lui.

<Non aver paura di dire la verità, sii oggettivo> lo esorto a non mentire.

<Guarda che sono sincero, hai eseguito uno squat perfetto>

Rimango allibita.

<Lisa, stai bene?>

<S-sì, è che non sono abituata a sentirmi dire una cosa del genere>

<Da quanto tempo non sentivi qualcuno complimentarsi con te per essere riuscita in qualcosa?> chiede quasi sconcertato dalla triste realtà dei fatti.

<Un pò> dico pensando a mia madre.

Mio padre e mio fratello non si interessano neanche minimamente del raggiungimento dei miei obiettivi, invece Angie è sempre impegnata, non voglio disturbarla con delle sciocchezze.

Sciocchezze.

Se lei venisse a sapere che chiamo così i traguardi raggiunti mi rimproverebbe per almeno una quindicina di minuti. Per mia madre anche il più piccolo traguardo andava festeggiato, diceva che non ne esistono di insignificanti. Un tempo la pensavo anche io come lei, ma da quando se ne è andata le cose sono cambiate. Ho scoperto che festeggiare da sola è orrendo, e questa è tutta colpa sua. Prima mi ha abituato a farlo in compagnia e poi se ne è andata.

<Lisa?> mi chiama Daniel con voce preoccupata.

Mi accorgo che una lacrima è sfuggita al mio controllo e la spazzo via in un attimo.

<Sto bene> mento.

<Sicura?>

<Il passato fa male, tutto qui> dico ripristinando la versione di me allegra e sorridente.

<Ti va se andiamo a prendere un gelato?> propone Daniel alzando gli angoli della bocca.

Preferirei le tue labbra, ma mi accontento.

Annuisco.

Daniel raccoglie i tappetini da terra e li posiziona nella cesta accanto a quella da dove li ha presi, poi torniamo indietro.

Una volta raggiunti gli spogliatoi, con mio sommo dispiacere, ci separiamo. Avrei preferito che la situazione prendesse una piega inaspettata, ma mi sa che per oggi le sorprese sono finite.

E la missione?

Accidenti, stavo per dimenticarmene, anzi, me ne ero proprio dimenticata. Devo assolutamente imprimere nella mia memoria l'immagine degli addominali nudi di Daniel.

Senza pensarci due volte, perché altrimenti sono sicura che non lo farei, apro la porta dello spogliatoio maschile e mi ci fiondo in fretta e furia. Mi muovo a piccoli passi per evitare che qualcuno si accorga della mia presenza, ovviamente controllando attentamente ogni centimetro della stanza. Per fortuna non c'è nessuno.

All'improvviso, sento un rumore e, istintivamente, sbalzo dalla paura.

Calma, Elizabeth, è solo il getto d'acqua della doccia.

Tento di tranquillizzare il mio cuore, che si è subito messo a battere più freneticamente del solito, portandomi una mano sul petto, proprio sotto al collo, e muovendola a destra e sinistra. È una tecnica che ho imparato all'età di dieci anni, quando dopo essermi persa nel bosco dietro la casa dei nonni papà me l'ha insegnata per farmi calmare.

E adesso cosa faccio?

Daniel qui non c'è, quindi è per forza lui nella doccia. Se apre la porta e mi trova nello spogliatoio maschile cosa penserà di me? Mi etichetterà come una poco di buono? Probabile. Penserà che io sia sana di mente? Impossibile. Vorrà ancora essere mio amico? Certo, come no. Chi non vorrebbe avere un'amica che si intrufola nello spogliatoio sbagliato? Devo immediatamente uscire da questa stanza.

Aspetta, magari...

Scelgo di non dare ascolto agli ormoni. La possibilità che la situazione cambi totalmente non è momentaneamente contemplabile. Quello che ho fatto è sbagliato, meglio tornare indietro. Provo a fare dietrofront, ma i miei piedi sono come incollati al pavimento.

Ok, i miei ormoni hanno appena cominciato una battaglia che può terminare in un unico modo: la vittoria della sottoscritta.

Ricorro alle forze che mi sono rimaste per sbloccare i miei piedi, ma lo scontro è più difficile del previsto. Riprovo, ma nuovamente invano.

Il getto d'acqua si chiude, il che significa che non ho ancora molto tempo a disposizione. Devo sbrigarmi.

Finalmente riacquisto il controllo. Mi dirigo velocemente verso l'uscita.

<Che ci fai tu qui?> mi blocca una voce.

Oh no.

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