ORGOGLIO OPPURE PAURA?

Non posso crederci.
Daniel Moore, il manzo numero uno dell'intera scuola, sta per baciarmi. E no, non è un sogno, ne sono certa. Il mio cuore sta battendo così freneticamente che sarebbe impossibile dire che mi trovo intrappolata in qualcosa di non reale.

Schiudo le labbra preparandomi ad assaggiare quelle carnose di Daniel.

Baciami.

Sta andando tutto troppo lento in confronto ai mille pensieri che si stanno formando nella mia testa. Per caso ci troviamo a mia insaputa sul set di un film e lui sta andando apposta a rallentatore? L'importante comunque è che mi baci, anche se ci vorranno altri dieci secondi prima che lo faccia. Ho aspettato tanto, un'altra manciata di istanti non mi uccideranno di certo. Al contrario, più è lunga l'attesa più aumenta il desiderio.

Ecco.

Le labbra che le mie stanno tanto reclamando sono ormai vicine al mio viso. La distanza sta per azzerarsi. Ed è quello che voglio. Per la prima volta in vita mia desidero solamente annullare lo spazio che mi divide da una persona che non faccia parte della mia famiglia.

Ma il momento che pensavo sarebbe rimasto impresso nel mio cuore come il più bello di sempre si è un nano secondo trasformato in una misera delusione.

Daniel ha appena spostato le sue labbra in direzione del mio orecchio.

Forse c'è ancora una possibilità.

La mia fantasia mi porta a credere che magari non tutto è perduto. L'obiettivo si trova ancora nei pressi di quella che speravo fosse la sua destinazione. Può darsi che voglia vedere sino a che punto riesco a resistere prima di compiere io stessa il prossimo passo.

<Allora, come posso aiutarti?> sussurra teneramente.

Un tremolio scatenato dalla virilità della sua voce mi attraversa le ossa.

<Fuo-co> mormoro sentendo le mie guance diventare di un rosso ancora più acceso.

<Cosa può placare il tuo fuoco?> dice leggermente preoccupato.

Il mare racchiuso nei tuoi occhi.

<A-acqua> balbetto incapace di rivelare la fonte da cui attingerla.

Ho ancora un briciolo di controllo e non intendo dire o fare nulla di sconsiderato vista la situazione. Col cavolo che butto all'aria la possibilità di baciare Daniel Moore.

Le sue labbra indietreggiano, tornano davanti alle mie.

<Cavolo, Lisa, sicura di non star andando davvero a
fuoco?> domanda Daniel in tono evidentemente preoccupato.

Istintivamente mi porto una mano alla guancia e la ritraggo con una velocità degna di Flash.

<Scotta> condivido la mia scoperta col ragazzo al quale credevo fino a un secondo fa di stare per dare il mio primo bacio.

<Meglio andare in infermeria. Vieni, ti accompagno>

Daniel mi afferra prontamente la mano e mi trascina fuori dall'aula senza nemmeno pensare ai nostri zaini lasciati sui banchi.

Devo ammettere che la sua mano stretta nella mia mi fa un certo effetto. Il primo accenno di contatto ha trasmesso una scarica elettrica che ha attraversato ogni fibra del mio corpo.

Come riesce un ragazzo a farmi questo con un semplice tocco?

Ok, in alcuni romanzi rosa che ho letto è sufficiente uno sguardo del bonazzo di serie A per far (metaforicamente) sciogliere la protagonista in una melma cotta fino al midollo di lui, ma non ho mai capito come sia possibile che una cosa del genera accada.

Non ci credo che è tutto a causa dell'amore. Anche perché io non amo Daniel, la mia è una semplice cotta adolescenziale, è impossibile che sia in grado di influenzarmi fino a tal punto.

Quindi l'unica possibilità è la seguente. Nei libri talvolta si esagera quando si descrivono gli effetti dell'amore. Per quanto riguarda la scarica che ho provato, invece, sarà sicuramente dovuta al fatto che Daniel è entrato nel mio spazio personale arrivando addirittura a toccarmi.

<Buongiorno, è permesso?> dice Daniel dopo essersi affacciato alla porta dell'infermeria.

<Prego> ci invita ad entrare l'infermiera della scuola.

È una donna sulla trentina, con lunghi capelli castani e un paio di occhiali davanti ai piccoli occhi anch'essi castani.

<Allora, qual è il problema?> chiede l'infermiera rivolgendosi a entrambi.

<Le sue guance scottano> risponde Daniel dato il mio silenzio.

Avanti, Elizabeth, non hai bisogno che parli al posto tuo, puoi farcela.

<Tanto, scottano tanto> mi obbligo a dire qualcosa.

Non posso permettere che Daniel si prenda cura di me, devo sapermela cavare da sola.

Oppure anche da sola.

La parte meno orgogliosa di me ci tiene a ricordarmi che farsi aiutare non è da deboli, anzi, è una cosa fondamentale saper chiedere aiuto.

Ma al momento non voglio darle ascolto. È da qualche anno che oramai la sento ma non le do retta. Se io non riesco a superare una difficoltà allora come pretendo che lo facciano mio fratello e mio padre? Contano su di me, farmi aiutare significherebbe deluderli.

<Va bene, diamo un'occhiata>

L'infermiera si alza dalla sua postazione e comincia a fare un controllo.

<Scotti parecchio> dice poggiandomi le mani prima sulle guance e poi sulla fronte.

<Già> annuisco temendo di voltarmi verso Daniel.

È in silenzio da circa trenta secondi. Chissà cosa starà pensando? Magari si è già pentito di avermi portata qui, forse l'ha fatto solo per gentilezza e sta digrignando i denti senza far trasparire nulla.

Solo quando l'infermiera separa le nostre mani per controllare le mie do una rapida occhiata alla mia destra.

Daniel sorride. Sta sorridendo a me. Il suo è un sorriso che dice "non preoccuparti". Basta questo per far si che l'ansia si dilegui in un attimo.

Intanto che mi intrattengo con questi pensieri l'infermiera mi misura la temperatura col termometro dei bambini.

Veloce ed ugualmente efficace, non capisco perché noi a casa non ne abbiamo uno. Aspettare tre minuti invece di tre secondi è una perdita di tempo inaccettabile. Avete idea di quante foto di manzi guarderei in due minuti e cinquantasette secondi? E invece mi spetta stare per tre minuti immobile come una mummia, altrimenti il termometro si inceppa e mi tocca ricominciare il conto alla rovescia.

<36 e mezzo, niente febbre> annuncia l'infermiera.

<Allora secondo lei a cosa è dovuto l'improvviso rossore che ha sul viso?> domanda Daniel.

Di nuovo.

<Il cambio di temperatura degli ultimi giorni probabilmente ha influito sul tuo corpo portandoti ad un breve accaldamento. Vedrai che tra un paio di minuti sarà passato> spiega la giovane donna.

<Grazie mille> pronunciamo all'unisono io e la divinità greca al mio fianco prima di abbandonare la stanza.

<Sincronismo perfetto> dico una volta nel corridoio.

<Penso tu mi abbia letto nel pensiero, sai?> scherza Daniel.

A proposito di lettura della mente...

<Riguardo a prima...> mi interrompo non sapendo cosa dire.

<Continua> mi esorta a non fermarmi Daniel.

<Sto cercando di formare una frase di senso compiuto> rivelo in preda al panico.

<Significa che aspetterò>

<Ecco, bė, riguardo a prima, sai... volevo chiederti cosa stavi facendo> abbasso lo sguardo per non incrociare il suo.

<Cercavo di aiutare. Anche mio fratello è particolarmente timido e ogni volta che non riesce a parlare mi avvicino il più possibile affinché si renda conto che anche se sussurra io lo sento. Funziona sempre, lo aiuta a ritrovare la voce>

<Credevi che avessi perso la voce?> chiedo leggermente delusa.

<Sì, perciò volevo darti una mano, poi ho percepito il calore sprigionato dal tuo viso e, bè, sappiamo entrambi cosa è successo dopo>

Un pizzico di felicità si fa largo dentro di me, prevalendo sulla delusione.

Daniel Moore voleva aiutarmi.

Daniel poggia delicatamente il palmo della mano sul mio viso.

<Temperatura standard. Non capisco come tu abbia fatto a non renderti conto che le tue guance scottavano> dice riportando la mano nella tasca dei jeans.

<Devo essermi distratta> rispondo sinceramente.

A causa tua.

Scaccio rapidamente dalla mia mente l'immagine delle nostre labbra così vicine e invento una scusa per separarmi da lui, nonostante sia l'ultima cosa che vorrei.

<Penso sia meglio che raggiunga la prossima classe, la lezione sarà già cominciata>

<Va bene. Prima, però, aspetta un attimo, torno subito>

Vedo Daniel dirigersi a passo svelto nell'aula di letteratura, dalla quale esce con uno zaino per spalla.

<Questo è tuo> dice porgendomi il mio.

<Grazie>

<Non avrai mica pensato di andare in classe senza, vero?> chiede alzando un sopracciglio.

<N-no, certo che no. Sarei tornata a prenderlo, una volta accortami di non averlo con me> decido di ammettere come sarebbe davvero andata.

<Allora è un bene che tu abbia me al tuo fianco> sorride Daniel.

Qualcuno per caso sa se si può morire per eccesso di sorrisi ricevuti? No, perché nell'arco di dieci minuti l'avrò visto sorridere già un centinaio di volte e sinceramente non ho idea di quanto ancora il mio cuore possa reggere di questo passo.

<Ho notato che sorridi spesso> esterno il mio pensiero.

Elizabeth, ti sembra il caso di far notare certe cose adesso? Piuttosto, corri in classe.

<Colpevole> alza le mani in segno di resa.

<Scusa, certe volte parlo senza neppure farci caso>

<Tranquilla, in fondo non hai detto nulla di male. Se vuoi posso anche dirti il mio motto>

<Sentiamo> accetto la proposta.

<"Cos'è la vita senza il sorriso?">

<Carino, però penso di averlo già sentito da qualche parte> alzo lo sguardo facendo finta di pensarci.

<Se ti dovesse venire in mente dove sappi che non sono io il copione> alza nuovamente le mani in alto Daniel.

Una piccola risata accompagna l'espressione di felicità che mi è da poco comparsa in viso.

<Devo dire che neanche tu scherzi in quanto a sorrisi> mi fa notare il mio dio greco preferito.

<Si da il caso che la mia parola d'ordine sia proprio "sorriso"> metto le mani sui fianchi.

Stavolta è Daniel a ridere.

<Sei diversa dalle altre> torna serio.

<È un male?> domando solo per sentirmi dire di no.

So bene che distinguersi dagli altri è un pregio. Il pianeta sarebbe super noioso se fosse abitato da persone tutte uguali.

<Qualcosa mi dice che sai già la risposta> abbassa un sopracciglio con fare interrogativo.

<Beccata, però a mia discolpa posso affermare che sentirselo dire da te sarebbe tutta un'altra cosa>

<Posso sapere il perché?>

Perché mi farebbe sentire ancora meglio.

Fingo di pensarci.

<No> è il verdetto.

<Quindi adesso fai la misteriosa?>

Alzo le spalle, compiaciuta di me stessa.

<Va bene, tieniti pure per te i tuoi segreti, ma sappi che non finisce qui, secchiona> si arrende Daniel.

Ha pronunciato l'ultima parola con un'enfasi differente, un misto tra la paura di utilizzarla e un'incredibile dolcezza per diminuirne il peso. È come se l'avesse appena alleggerita di proposito per non ferirmi.

Lo ringrazio con un sorriso, vorrei evitare di dire stupidaggini. Quando qualcuno fa un gesto dolce nei miei confronti la me logorroica prende il timone e usa le prime parole che estrapola dal vocabolario, anche se non hanno alcun senso messe assieme.

<Ora devo seriamente andare, comincio già a sentire il rimprovero del prof nelle orecchie> faccio un passo indietro prima di voltarmi.

<Alla prossima, Lisa> mi saluta Daniel.

Mi giro di colpo ma di lui nemmeno l'ombra.

Lisa.

Ripenso al nomignolo estrapolato dal mio nome e gli angoli delle mie labbra si alzano inevitabilmente.

Daniel mi ha appena chiamata in un modo nuovo.
Daniel è appena scomparso lungo il corridoio.
Daniel mi ha appena lasciata sola con un sorriso in viso che racchiude l'immensa felicità che provo in questo momento.

Una felicità che devo interamente a lui.







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