9 Cosa siamo?

È proprio in questi momenti che avverto, forte, la mancanza di mio padre. Non che Maxim non sia all'altezza di fare il genitore...
È un uomo adorabile, ama mia madre e sento che i suoi sentimenti sono sinceri nei miei confronti. Ma lui non è mio padre. Per quanto si sforzi di prendere un posticino nel mio cuore, rimarrà sempre una persona che stimo e ammiro tantissimo, ma non è il mio papà. Adora i suoi figli e vorrebbe vederci uniti, come una vera famiglia, ma il punto è proprio il medesimo: è lui che vuole questo, non la sua adorabile prole. Piergi è freddo e anaffettivo, ma tutto sommato non dà problemi. È brutto da dirsi ma è come "inesistente". Uno spettro farebbe più rumore. A parte oggi che mi ha davvero meravigliato - lo ammetto, è stato davvero coraggioso e generoso - se ci fosse o meno in casa non farebbe differenza. Alle volte penso sia fatto di nulla, impalpabile, come una nuvola, di quelle che avvolgono la cima del Gerlach. Loro almeno danno più consistenza al paesaggio, rendendo quel monte più affascinante, misterioso.

Lui invece è come se non appartenesse alla nostra famiglia. Non di rado ho pensato che non avesse un'anima, un suo pensiero. Mai un sorriso o uno scatto d'ira. Nulla che possa far pensare a una sua coscienza. La coscienza di Piergi! Non suona male.
L'altro invece è scontroso; ovviamente non mi sopporta.

Ammetto che raramente ci siamo incontrati per casa la mattina, ma quelle poche volte che è successo ho solo visto in lui odio? Sicuramente niente di buono. Per questa artificiosità, per questa mancanza di spontaneità, spesso vorrei essere lontana da tutto questo, per non dover dar conto a nessuno, per sentirmi libera di fare o dire senza aver gli occhi puntati addosso, perché è quello che percepisco da quando sono in questa casa con loro: sguardi che giudicano, occhi che spiano. Adoro la mia dimora, ma in certi momenti ho come l'impressione che non sia più mia. Insomma, prima potevo girare in mutande e non curarmi di lasciare in disordine il bagno, cantare a squarciagola senza preoccuparmi di Piergi, del suo studio e di tutto il resto.

Ora aspetto con ansia il sabato, quando Andrej aiuta la mamma al locale, quando sono sola senza nessuno in giro...
Eppure non era così prima che si trasferissero...
Sono cattiva, egoista, forse lo sono davvero, ma io non ho nulla contro di loro, sono loro a farmi sentire inadeguata e a disagio.

Agli occhi degli altri posso essere anche la loro sorella, possiamo sembrare la bella famigliola felice, e in parte questo è anche vero, ma la realtà non è come appare. Certe persone non sanno come stanno davvero le cose, insomma tra di noi... tra me e quei due, e soprattutto tra me e Andrej. Perché io e loro non abbiamo nulla da spartire, perché non siamo fratelli, né amici né confidenti. Perché nelle nostre vene non scorre lo stesso sangue.

Non siamo un bel niente... questa è la verità.
Ecco l'ho detto. Sciocca io che ogni tanto sono come Maxim... che credo troppo nella bontà delle persone o nei miracoli. Le persone non cambiano, non possono cambiare e forse non è neanche un bene augurarselo: non durerebbe troppo. Non si può pretendere di trasformare qualcuno.

Ognuno è fatto a suo modo, ma certi comportamenti non li sopporto proprio.
Sento l'umidità avvolgermi completamente e risalire fino al cuore, che si sgretola, in tanti piccoli frammenti. Succede sempre quando ho nostalgia... del babbo, o quando sono triste. Allungo il passo mentre ascolto il rumore cadenzato e regolare di quello di Andrej. Voglio raggiungerlo. Sono nervosa. È inusuale parlare a Andrej: non l'ho mai fatto se non in presenza di mamma e Maxim. Il cuore mi batte, forte, ma ogni occasione è persa.

O ora o mai più! Forse lui potrebbe dirmi qualcosa...
Certo sarà difficile espormi per sapere... senza svelare di Karolina.
Mi faccio coraggio e lo chiamo.
«Scusa Andrej, aspetta!»
Scusa Andrej, aspetta?
Sono patetica.

Lui comunque non si gira. Aggiusto il tiro, stizzita.
«Mi ascolti?» ripeto.
«Cosa vuoi?»
«Non è gentile continuare a camminare se qualcuno ti chiede di parlare!»
Ride sarcastico e pungente.

«Certo, come no?! Peccato che l'ultima volta parlare con te mi sia costato una bella botta sul polso e una ramanzina da mia madre...»
Avvampo. Poveretto, hai ragione.

«Non volevo... io...», mi difendo.
«Tu non vuoi mai, ma invece... E allora perché non te ne vai con loro, con quelli a cui appartieni...?» ringhia senza senso.
Vedo Piergi storcere il muso e fargli un'occhiataccia. In quel monito intravedo un messaggio, un qualcosa che solo loro possono decifrare e uno strano scintillio negli occhi di Piergi.

D'intesa, forse? Che cavolo vuol dire con "quelli a cui appartieni"? Quando vuoi, Piergi, sai ascoltare dunque?
«Che cosa intendi con ciò? A chi apparterrei?»
Accelera il passo e io di conseguenza mi adatto, ma sono stanchissima:
ho la bici da portarmi dietro io, e mi sento distrutta.

«Quindi?» insisto. Piergi continua a girarsi e rigirarsi, ma il fratello nulla. Non accenna a parlare. La verità è che dice stupidaggini a cui, poi, non sa dare un seguito. Cambio discorso; inutile fossilizzarsi e continuare a parlare di niente.
Piergi ormai ci ha seminato. Meglio così, sarà più facile dialogare senza due orecchie di troppo.
«Ho sbagliato, mi spiace. Dovrei porgerti le mie scuse...»

«Come minimo. Sei entrata nel locale senza aver rispetto del lavoro altrui. Sapevi quanto mia madre ci tenesse a questa attività, quanto sia importante per lei, ogni giorno, far bella figura, conquistare la clientela, guadagnare la fiducia dei clienti, ma tu nulla. Per lei è tutto. Tutto. Dispensare sorrisi quando è stanca, far quadrare tutto... puoi immaginare cosa significhi? No, non puoi farlo, perché altrimenti non ti saresti comportata come ti sei comportata. Le è rimasto solo questo. Vedi, lei non può contare sull'aiuto di un uomo, né sull'aiuto di mio padre.
Tanti sacrifici e poi arrivi tu... con le tue visioni... e i tuoi atteggiamenti errati. Pensi di sapere ogni cosa e invece non capisci nulla. Sei tutta sbagliata...Non sai neanche chi sei!»

Quelle parole mi feriscono terribilmente. "Sono tutta sbagliata." "Non so neanche chi sono".
Fanno terribilmente male e si incastrano nella pelle come aghi sottili. Forse non saprò neanche chi sono, ma so dove voglio andare e cosa voglio diventare.

Però cerco di non farci caso. Non posso permettermi di soffrire... semplicemente perché sarebbe più triste perdere Karolina che invece a me ci tiene, piuttosto che lui, che mi è quasi estraneo.
E poi non tutto è come sembra...

"Rose, le cose non sono sempre come le vedi. Certe parole non andrebbero dette, perché hanno un peso... certi atteggiamenti non dovrebbero essere assunti. Ricorda: dai sempre un significato a quel che dici."
Già, un valore...
"Ma non tutti ci riescono, Rose. Devi imparare a leggere... interpretare.
Non basta guardare, limitarsi a osservare...
Ma lui mi ha chiamato"pel di carota". Perché sono rossa? Perché non sono bionda e bella come mamma?
Non devi lasciarti ingannare dalle apparenze. Magari è proprio con te che vuole giocare, ma tu non lo guardi, allora lui reagisce così, per farsi notare. Il tuo amichetto ti vuole bene. Non devi credere sempre che le persone sono cattive. C'è sempre una spiegazione a tutto, sempre..."

Mi diceva questo mio padre, quando bisticciavo con gli amichetti.
Quanto vorrei che fosse così... quanto desidererei crederci, non farmi ingannare.
Ma quale è dunque il motivo di tanto livore? Perché Andrej mi detesta? Non gli ho fatto un bel niente... mai.

"E cosa fai se non trovi una spiegazione ai dispetti, ai sopprusi, se è troppo difficile da sopportare? gli chiesi.
Vengo qui nel bosco, a tagliare la legna. E così penso e mi calmo un po'. E poi puoi sempre cercare di andare oltre... quando è troppo difficile da digerire..."

E io, papà, sono diventata una esperta "nell'andare oltre", nel farmi scivolare i cattivi pensieri di dosso. Sono impermeabile alla cattiveria. Perché ho un mio mondo qui nel bosco, un mondo in cui mi perdo quando è troppo dura...
Così non vedo... il comunismo, le restrizioni, le bugie, la propaganda, non vedo e sento nulla e mi convinco che probabilmente non è così come tutti vogliono farmi credere...

Perché non lo è, non può esserlo...
Non sono bella e bionda come mamma, in fondo non assomiglio fisicamente neanche al papi, ma voglio credere di essere forte come lui...
Me lo diceva sempre. "Sei forte, Rose!"
Oh, mio padre! Era la luce dei miei occhi. Aveva carisma e non si faceva trascinare dalle masse. Le sue idee erano scritte nella roccia: niente avrebbe potuto mai cancellarle, per nessun motivo al mondo.

Avrei dovuto guardare, capire. Forse Andrej aveva sofferto più di me, e aveva finito per reagire in quel modo. Io avevo perso un padre, era morto, ma avevo ancora la mia mamma e una famiglia, una parvenza di famiglia. Lui, invece, non aveva saputo conservare un rapporto con i suoi genitori, non almeno con suo padre, e si logorava nell'odio. Perdeva più tempo a demolire che a costruire. Aveva innalzato muri enormi tra di noi, monti invalicabili; non un varco. Avrei dovuto comprendere il suo dolore e ricucire il mio. Lo avrei dovuto fare per tutti, per la pace e la serenità della famiglia... e per mio padre.

«Se non si vogliono rischi, responsabilità, non si dovrebbero fare certe cose!»
Ma che cavolo sto dicendo? Ma mi sento quando parlo?
«Cosa? Di che diavolo parli?»
Vorrei saperlo anche io, ma fiumi di parole escono inesorabilmente.
Ormai è fatta... giacché sono in ballo, continuo a ballare...
«Insomma, io ho solo sedici anni e... voglio sposarmi, e magari avere dei bambini, però ogni cosa a tempo debito. Insomma.... non aspiro a essere come Karolina, non come lei. Cioè, non la critico, ma...»
Mi rendo conto di esprimermi malissimo, ma non so che mi prende...
Per la prima volta Andrej mi guarda negli occhi: due iridi trasparenti come il ghiaccio. Un oceano inesplorato...
Devo apparirgli come una sciocca. Non cammina più...

Con il braccio sul fianco e il piede destro che continua a battere furiosamente, esamina ogni mio movimento, misurando ogni singola parola, come se le mie, di parole, avessero un'incidenza maggiore delle sue.

«Dove vuoi arrivare? Avanti, taglia corto!»
«Voglio dire che forse certi istinti tutti li abbiamo, bisognerebbe controllarsi... e anche io forse, cioè... al momento no, oppure magari vedendo uno come te», continuo peggiorando la situazione.

Non sono un'idiota... è che mi guarda con quell'aria... insomma sembra Neil Armstrong alla sua prima missione spaziale. Che dico?! Peggio...
Pare Cristoforo Colombo dinanzi a un nuovo continente.

«Ora capisco... perché mi giri sempre intorno...», rivela sorpreso e indignato, «se ti stai dichiarando, sappi che non mi piacciono le rosse!»
Ma dico: ci sei o ci fai?

Sono tutta un fuoco... e mentre io ardo per la vergogna, lui alza i tacchi e va via!

La conversazione ha preso una piega inaspettata. Non ci credo... lo fa per irritarmi e per deviare il discorso.
Lo uccido, lo giuro, lo uccido!

Spazio autrice

Cosa ne pensate del comportamento di Rose in quest'occasione?
E che mi dite di Andrej? Pensa davvero le cose che ha detto? Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

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