7 Verso casa.

Rimango sul marciapiede, immobile, bloccata, incapace di comprenderla. Credevo di aver risolto con lei, con Karolina, e invece niente. Siamo ritornati al punto di partenza, anche peggio. La osservo andare via, ancora accigliata, ma è così veloce che la sua immagine si confonde tra i cespugli, finché sparisce, come inghiottita dal bosco. Il rumore degli uccellini si fa più forte. I picchi, le cicale, sembrano aver all'improvviso aumentato il loro operato, o forse è la predisposizione del mio animo a ingigantire tutto. La natura, i rumori, i problemi, il caldo che all'improvviso è diventato insopportabile...

Mi gira tutto, e in questo vorticoso movimento anche la polvere, che si alza al mio passaggio, pare essere aumentata. Le radici degli alberi iniziano a muoversi e a crescere, la vegetazione s'infittisce, le chiome dei pini si abbassano e mi vengono incontro. Cosa sta succedendo? Pedalo, più velocemente possibile, finché sono fuori, sullo stradone principale, a circa un chilometro da casa mia, nella strada che porta da Poprad a Svit. Aria, luce...
Sono finalmente fuori, mi ripeto, a un passo dal soffocare. Una macchina mi schiva, all'ultimo minuto.
Da dove cavolo spunta?

«Ehi, ragazzina, cosa combini? Guarda prima di attraversare!»
Mi fermo a respirare.

Credevo di aver avuto la meglio su di me, sulle mie ansie, ma sono ancora in debito di ossigeno. Forse un carrarmato, forse era fermo lì, non ne sono sicura, ma all'improvviso sono un bagno di sudore e ho dimenticato il mio inalatore.
Controlla il respiro Rose! Controlla, controlla!

Il panico mi assale, ma io devo farcela, posso farcela.

Con le mani posate sulle cosce, cerco di immagazzinare più aria possibile, quando sento in quell'istante una macchina accostarsi al marciapiede. È il signor Pavel, con il suo pickup. Il finestrino si abbassa e spunta la sua faccia rubiconda e sorridente.

«Ehi bellezza, tutto bene? Lo vuoi un passaggio? Monta su, che sto tornando a casa.»
«Sì, tutto bene, signor Pavel.»
Ho rischiato grosso, eppure l'inalatore era qui, nella mia tasca.

«Sicura? Hai una cera che non mi piace affatto!»
«Sì, il mio inalatore, non lo avevo», rispondo imbarazzata, con l'oggetto in mano.
«E quello che diavolo è?»
«Volevo dire che... credevo... di non averlo. Ma accidenti, lasci perdere. Se mi aiuta, carico la bici dietro.»
«Faccio subito», mi avvisa, e in men che non si dica fa retromarcia e parcheggia in una rientranza sulla strada.

Sono felice di vederlo. Adoro il signor Pavel. Ha fatto tanto e continua a fare molto per noi. Da quando sua moglie se ne è andata, viene spesso a trovarci. Allora si ferma a casa nostra a cenare e facciamo delle belle chiacchierate. Il più delle volte però va giù in quello che io chiamo "luogo", tutti noi lo chiamiamo così: perché mi fa terrore. Lui, mamma, Maxim e talvolta Andrej, si riuniscono in gran segreto in taverna, a sentire la voce trasmessa da Radio Europa Libera, lo strumento di propaganda occidentale che trasmette da Monaco di Baviera. Non so che ci trovino in quella che è diventata ormai una routine, ma la faccenda si fa seria: l'ascolto è vietato e occorre essere molto cauti e silenziosi. È solo in quelle occasioni che temo il peggio. Il signor Pavel diventa un'altra persona, quasi intrattabile. Si riserva per quella circostanza un sigaro, se ne ha a disposizione uno, mentre noi - io nonna, la piccola Nina e Piergi - dovremmo fare da sentinelle. Insomma guardare in giro. In realtà nonna, anche se a gran fatica, mette Nina a letto raccontandole una storia.

Il più delle volte però è agitata, allora rinuncia e si limita a farle compagnia dinanzi alla televisione mentre guardano il racconto della buona notte. È tanto tenera e strana come immagine: una dolce musichina d'introduzione annuncia l'inizio della fiaba e un tenero babbotto entra in casa col suo cagnolino a guardare il suo programma preferito al tepore di un camino. Incredibile vero? Quello stesso cartone che accarezzava quasi i miei sogni, che accompagnava la mia immaginazione di bambina verso orizzonti fantastici, ora unisce in qualche modo me e la mia sorellina, perché è così che la sento, mia, diversamente da quello che nutro per quel borioso di Andrej e per suo fratello Piergi, anche se spero che il suo futuro sarà diverso, che non sia costretta a scappare dalla sua terra come lo sono io. Ed è soltanto in quelle occasioni che io e Piergi, l'altro mio fratellastro, restiamo soli fuori in cortile, al freddo, a vegliare. Ma non ci siamo mai parlati, credo...

È diverso da Andrej, lo sento, ma è molto chiuso, introverso. Non diffidente, no, ma poco propenso a comunicare qualsiasi cosa, persino le sue emozioni. Sembra un intellettuale, con i suoi occhialini neri e i capelli lisci che l'incorniciano il viso, e in effetti lo è: passa le ore a studiare, leggere, sentire il notiziario.
Guardo il sig. Pavel ora, seduto accanto a me...
Ha un'aria stanca, ingobbita, forse più dalla vita che dalla vecchiaia. Doveva essere un tipo aitante da giovane, lo vedo dalla stazza e dal fisico ancora vigoroso. Nonostante i suoi anni e capelli tutti bianchi, ha un aspetto gradevole e cura molto la sua persona. Vorrei chiedergli del carrarmato per capire se è stata solo una visione o se davvero fosse lì, tra i boschi, ma poi desisto e resto muta.

«È successo qualcosa ragazza stamane?» mi chiede a un tratto, rompendo bruscamente i miei pensieri.
Si deve veder tanto, evidentemente, che ho un'aria accigliata e che non devo aver passato una mattinata proprio tranquilla.
«Perché?» mi affrettò a rispondere, dimentica dell'occhio gonfio.
«E me lo chiedi anche?» avanza in tono sarcastico, con tanto di risatina al seguito. Mi osserva di sottecchi con l'aria di chi si aspetta, chissà, una confessione.
«Ti ho atteso tanto al macello, fino alla chiusura, ti ho riservato anche il pezzo di carne più bello, con meno grasso, ma di te neanche l'ombra!» ammette poi in tono più grave.

«Cavoli!» riesco soltanto a dire, mortificata, estremamente dispiaciuta. Ho scordato di comprarla! È l'unica cosa brutta del regime, studiare il russo, che odio, e mangiare una sola volta alla settimana la carne - perché è razionata - e io ho dimenticato di comprarla. Che testa!
Il resto non mi tocca, non voglio che mi rovini la vita, sono una privilegiata, ho scelto di esserlo, e nessuno, dico nessuno mi farà apparire diversamente la mia terra da come la vedo, neanche mia madre. Adoro questo posto, non posso dire così di tutti quelli che ci abitano, ma a Svit è diverso, ci proteggiamo, ci conosciamo, e differentemente da Poprad, dove sono più diffidenti, dove regna più la paura e la città e ricoperta da una fitta coltre di risentimento e omertà, qui a Svit siamo molto uniti.

Mentro sono intenta a riflettere, distratta dai mie pensieri, mi accorgo che siamo arrivati a casa. Praticamente le nostre abitazioni, quelle mie e del sig Pavel, sono vicinissime.
«Scendi fanciulla!» mi precede il sig. Pavel. Si affretta a scaricare la mia bici e nel mentre lo vedo preoccupato. Mi accorgo che con la coda degli occhi sta guardando un mucchietto di ragazzini spavaldi che stanno passando per strada. Non posso crederci, tra di loro c'è David, il figlio del tassista. Da quanto tempo! Si vocifera che lui e la sua famiglia si siano dati parecchio da fare per avere favoritismi dal regime, smascherando addirittura alcuni dissidenti, e che una famiglia sia stata carcerata per colpa loro. Delle spie, sarebbero questo. Non credo a nulla di queste pettegolezzi - sua madre, la sig. ra Varga, è una brava persona e la incontravo spesso durante le prove del coro - ma di certo non mi piace affatto la faccia che ha David, con quella sua espressione da squalo, pronto ad attaccare al momento opportuno. Mi limito a studiarli. Non sopporto per niente il modo in cui procedono, pare siano proprio pronti alla battaglia. Una cosa la noto e mi lascia basita. Sono stupita: il sig. Pavel ha il tipico atteggiamento di chi è in difetto. Perché? Ho questa sensazione nel petto.

«Che aspetti ragazzina, va'... che ti si fredda il pranzo.»
In realtà dovrei cucinare io - vorrei ribattere - ma fa lo stesso, il gruppetto si è allontanato e sono più tranquilla.
Ringrazio il mio caro vecchio amico e ci salutiamo. La mia casa dista solo un isolato. Supero il banco di predatori e al mio passaggio li sento chiacchierare guardinghi. Procedono con circospezione, i famelici. Attraverso la strada con la bici, staccandomi dal sellino per darmi maggior spinta nella pedalata, e vedo il ghigno beffardo di David. Mi dico tra me e me che non devo preoccuparmi, ma il fatto che uno di loro abbia una catena in mano mi terrorizza. È tardi, aumento la mia corsa, ma quando faccio per guardare nella direzione dei malevoli, con mia grande sorpresa non li vedo più. Ho uno strano presentimento e vorrei tornare indietro, ma forse sono troppo apprensiva e il signor Pavel non ha nulla da temere...
Di cosa dovrebbe mai preoccuparsi? Sono io quella che dovrebbe essere in apprensione. Dopotutto ho soltanto un occhio tumefatto e ho quasi rotto il braccio a mio fratello.

Eppure quella strana sensazione non mi abbandona...

Spazio autrice

Ancora altri personaggi. Piergi, l'altro fratellastro di Rose, il sig. Pavel, un punto fermo nella vita della nostra protagonista, la sua sorellastra Nina, e poi lui, David, che di amichevole forse non ha nulla.
Ci addentriamo sempre più nella mente di Rose e vediamo le sue debolezze. Proprio così : forte e debole la nostra Rose. Ma ognuno di noi ha dei punti oscuri. Voi ne avete? Vi identificare con Rose? Se sì, perché? Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere.

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