7 b Il signor Pavel

E così si avvicina il momento più difficile di tutta questa situazione: rendere conto ai miei dell'occhio, della carne, di Andrej e tutto il resto. Ma non ci voglio pensare: ogni cosa a suo tempo. Sono in dietro con la mia tabella di marcia e dovrò lavorare di buona lena se voglio far rientrare tutto nei tempi dovuti. Fortunatamente ieri ho preparato più zuppa del necessario e così decido di avvantaggiarmene riscaldandola. Dopotutto mamma e Maxim non pretendono tanto da me che in fondo sono solo una ragazza.

Mi precipito nella serra a bagnare velocemente le piante e poi di nuovo in cucina ad apparecchiare. Alle volte giunge in mio soccorso anche Piergi, muto, come sempre. Non sono mai riuscita a guardarlo negli occhi. Il suo sguardo, sempre basso, è nascosto dalle lunghe ciglia nere che mi ricordano tanto sua madre. Ma di lui oggi neanche l'ombra. La casa è silenziosa e questa assenza di suoni m'innervosisce.

Non voglio essere sola, non ora, perché rischierei di fare a botte con i miei pensieri... e il senso di colpa mi assalirebbe. Desidererei distrarmi, ma tutto gioca a mio sfavore; questa quiete mi destabilizza. Decido allora di salire al piano di sopra per vedere come sta nonna. Le scale scricchiolano a ogni mio passo e sento avvolgermi da un profumo intenso di lavanda. La trovo in camera, pacifica, mentre la piccola Nina è in terra, a gambe divaricate, a farle compagnia. La stanza sembra un campo di battaglia, costellata com'è da una miriade di giocattoli di legno costruiti dal nonno, eppure in questa confusione regna tanta pace e tranquillità, quella che invece a me manca, perlomeno in quest'ultimo periodo.

Le guardo incantata e con una punta d'invidia. Una lingua di luce taglia la penombra e in quel gioco di chiaroscuri vedo la mia vecchia con gli occhi socchiusi. Spingo con un piede l'anta, ma proprio quando mi decido ad approntare la ritirata più veloce della mia vita e forse anche la più opportuna - lo ammetto, talvolta sono una codarda - sento nonna bisbigliare.
«Cosa è successo questa volta? Su, avanti, sentiamo.»

Nina, che solitamente viene ad accogliermi con grande entusiasmo, resta lì, attonita, con la testa piegata di lato. Gli occhioni grandi e tondi mi guardano studiandomi, mentre pronuncia due sole parole: «Fa male?»
Con il braccio a mezz'aria, punta il dito verso il mio viso, mentre nonna, adagiata sulla poltrona, intenta ancora a sferruzzare, si desta all'istante, per guardarmi.
Chissà adesso che mi dice? Aiutoooo.

«Oh, piccina», cerca di osservarmi meglio, inforcando i suoi occhiali.
«Cosa ti è accaduto? Tua madre lo sa? Ti sei fatta visitare da un dottore?»
E ancora una valanga di domande a buttarmi giù, sotterrandomi sotto una fitta rete di perplessità. Cosa fare, allora? Rivelarle tutto, alleggerendo così la mia coscienza, o limitarmi a dire l'indispensabile?

Ho combinato un caos ma quello che temo, più di tutto, è creare problemi a Maxim. Sono entrata nel locale della sua ex moglie senza pensarci due volte, e ho dato spettacolo. Ho schiaffeggiato suo figlio. Non ho fatto una bella pubblicità, anzi...
Non vado fiera di me, mi sono comportata da vera irresponsabile, ma volevo solamente difendere Karolina. Non voglio che mamma e il suo compagno ci vadano di mezzo.

Mi spiace nonnina, ma non mi va di gravare su di te, per liberarmi dai miei assilli, non almeno questa volta. Voglio cavarmela da sola, anche se non mi piacciono le omissioni. Sanno tanto di codardia, ma io non sono una vigliacca. È solo che...
«Niente, non è successo nulla, ho soltanto sbattuto contro l'anta della finestra, ma adesso è tutto sotto controllo», fingo impavida, spudoratamente sicura.
La piccola continua a guardarmi, con quei suoi occhietti da cucciola, con i boccoli che le incorniciano il viso e che esaltano le sue belle guanciotte rosse.

«Sei stata buona?» improvviso un nuovo argomento. Ha solo quattro anni ed è uno splendore.
«Certo, cambia pure discorso. Voi altri siete bravi a farlo. Scommetto che c'entra la bionda, quella lì, come si chiama? Non mi è mai piaciuta, ti porterà sulla cattiva strada», avanza sibillina. E boom, colpita e affondata. A nonna non si può nascondere nulla: ci becca sempre e... beh, le sue parole le sento aggrapparsi alla pelle, non scivolano ma s'incastrano, pungendomi. Forse perché di bugie non ne ho mai dette, quasi mai, e il senso di colpa mi uccide, per non essere stata leale con lei. Si avvia claudicante e io le raccolgo il gomitolo di cotone e il lavoro andato rovinosamente a terra. Adoro nonna, è così paziente e giudiziosa, ed è talmente saggia. Ho sempre parlato con lei, forse più che con mia madre, ma mi fa male sentirla denigrare Karolina. So che lo fa per il mio bene, ma spesso corre troppo, sminuendola più di quanto meriti.

Ed ecco odo aprire la porta e improvvisamente mi ritrovo da sola in questa stanza. È mamma, la riconosco dalla sua camminata, seguita da Maxim, che distinguo dal rumore delle chiavi e dai gesti ripetitivi e inconfondibili. Schiocca un bacio a Maxim e, dopo aver salutato la piccola e accolto le sue piccanti rivelazioni, si precipita da me a chiedere spiegazioni. Come potevo soltanto pensare che Nina trattenesse per sé quanto aveva visto? Ci sono voluti pochi secondi perché la regina di casa saltasse fuori con tutte le sue apprensioni.
«Mamma mia, cosa hai fatto? Devi immediatamente farti vedere da un medico. Santo cielo, perderai un occhio!»
Non è tragica, vero?

I suoi commenti suonano come piagnistei, lamenti fuoriluogo, parole al vento. Detesto criticare mia madre, la stimo profondamente. No, non lo voglio fare, decisamente no, ma la verità è che è la campionessa mondiale dell'esagerazione. Se ci fosse una gara ad hoc, lei vincerebbe di sicuro il premio più ambito. Non lo fa apposta, ma è nella sua indole esaltare, ingigantire ogni cosa, tutto qua...
Una macchietta d'olio per lei diventa una grossa pozzanghera. Un graffietto si trasforma in una contusione. Ma se farmi visitare servirà a evitarmi milioni di domande e un interrogatorio in grande stile, come solo lei sa fare, mi farò controllare da un'intera equipe medica, pur di cavarmela con poco. Ma ci risiamo, vedo che riparte e non mi resta che preparare il contrattacco.
A cantar vittoria troppo presto si finisce sempre per sbagliare, conclusione a cui sono fin troppo avvezza ultimamente.
«Chi ti ha conciato così? Dimmi! Allora? Sto aspettando!»
Avverto una certa urgenza nei suoi occhi, che mi scrutano severi, quella stessa urgenza che ho io in questo istante, di fuggire però, lontano. Sono una pusillanime, questo sono. Incapace di farmi carico delle mie responsabilità. Ma non voglio spiegare di Karolina, no, per carità...
E poi non sarebbe giusto.

«Dicevi che dovrei farmi vedere dal...» devio la conversazione verso nuovi ambiti, sperando nella sua magnanimità.
La sento sospirare, a bocca chiusa. Nella stanza semideserta - ci siamo solo io e lei - si respira finalmente aria di tolleranza. Ed è tregua! Con mio grande gioia e stupore aleggia un clima di apertura. Prevedo una sospensione momentanea delle ostilità... e ci sarebbe voluto poco per un accordo di pace, sia pure temporaneo, se a rompere le uova nel paniere non fosse sopraggiunto Andrej. Mi guarda negli occhi e tremo.

Decisamente spiazzata, sì, proprio così, sono spiazzata. È venuto senz'altro per spifferare e accusarmi... e naturalmente dire dello schiaffo. Il tentativo di qualche ora prima di tendermi la mano era stato soltanto un goffo modo per tranquillizzarmi. Ma con me si sbaglia; decisamente non funziona così. Non abbasserò la guardia facilmente, specie con lui, così abituato ad averla sempre vinta.
Avanti su, che aspetti! Non sei mai venuto fin qui, nella stanza...
Accusami, sviliscimi!
Tremo.
Pare goffo. D'improvviso sembra aver perso tutta la sua spavalderia. Io e mia madre restiamo in attesa. Sta per dire qualcosa, ne sono sicura. Mi mordo le labbra. Lui sta per vuotare il sacco e io mi appresto a fare una grossa figuraccia. Altro che principessa di nonna e orgoglio di mamma! Sarò additata come una teppistella. Perché è come mi sono comportata: come un maschiaccio. Sento bruciare nelle viscere la vergogna. Andrej deve averlo capito, deve aver nasato le mie insicurezze e adesso vuole approfittare dell'occasione per trarne beneficio. Due iridi imperscrutabili mi fissano dall'alto della loro supponenza, ma poi quella sensazione di crudeltà si affievolisce e lo sento bofonchiare qualcosa, come a voler mandare in frantumi quella possibilità di sotterrarmi e farmi sprofondare negli abissi. In fondo sono io la causa dei suoi mali, io e mia madre. La nostra presenza ha mandato all'aria la sua famiglia. Lo so, non c'è bisogno di parole. E così, inaspettatamente, mi concede la grazia e lo fa senza plateali dichiarazioni. Sono scioccata!

«È pronto, si fredda! Papà dice di venire.»
Gonfia le guance, chiudendo le labbra in un sospiro mancato. Se ne è già pentito. Ma si sa, ogni lasciata è persa ed ecco piovere dal cielo un punto a mio favore. Dovrei essergli grata, ma non mi sento così: lo odio a prescindere, per la sua indifferenza e forse perché temo che dietro tali atteggiamenti si celi un qualcosa che al momento non comprendo. Semplicemente non mi fido.
Sei venuto solo per questo? Non ci credo!
Sono l'ultima a lasciare la stanza. Lo vedo appoggiato allo stipite della porta con le braccia conserte. Dovrei sforzarmi, probabilmente, anche soltanto di ringraziarlo - in fondo è quello che si aspetta - ma, di contro, gli do una spallata. Tuttavia me ne pento subito... e mi sento davvero triste e imbarazzata. Gli cammino avanti, angosciata. Non mi piace quello che provo e questa assenza di dialogo.

Non gli darei tutti i torti se pensasse che sono matta. Sono mesi che conviviamo in questa casa, mai una parola, soltanto atteggiamenti di pura cortesia, e quando lui si dimostra comprensivo oltre misura, non rispondendo ai miei attacchi fisici, quando mi porge una mano, io che faccio? Rifiuto il suo aiuto e per tutta risposta, finisco con l'aggredirlo ancora, e per giunta dopo quello schiaffo.

Pranziamo in silenzio. Mamma ha già raccontato tutto a Maxim che ogni tanto sembra cogliere il mio stato d'animo e, di rimando, mi lancia occhiate per tranquillizarmi e per tastare il mio umore. Ma sono giù, incavolata con me stessa. Non guardo in faccia nessuno, tantomeno Andrej.
«Dunque vai a farti vedere dal dottor Nagy?»
Ma il dottore Nagy, nostro vicino, è già arrivato. Ci ha pensato mamma a chiamarlo. Non perderò la vista, non mi succederà nulla di grave. Dopo una rapida occhiata, mi tranquillizza dicendomi che me la caverò con niente: a quanto pare sono stata fortunata, bastava poco per complicare maggiormente la situazione. Lo accompagno alla porta.

A dire il vero non ero preoccupata affatto e non lo sono tuttora, ma nel salutarlo guardo qualcosa che mi lascia esterrefatta. Il gruppetto di ignavi, prima inspiegabilmente scomparsi, ritorna nuovamente nella mia visuale, gettando ombre di dubbio e sconforto. Passano velocemente, capeggiati da David. Non ricordo l'ultima volta in cui ho incontrato quel suo sguardo enigmatico, ma colgo una punta di follia nei suoi occhi.
Un particolare mi colpisce: ha dietro l'orecchio una piuma...
Sì, proprio così, sembra una piuma. Mi sforzo di guardare, sporgendomi oltre modo fuori dall'uscio. I suoi fedeli alzano in aria due galline, come trofei.
Rabbrividisco. I miei presentimenti non erano poi così infondati. Sento che qualcosa di brutto sta succedendo.
Devo correre...

«Devo andare, devo andare», ripeto ad alta voce salutando distrattamente il dottore.
Per la seconda volta nella giornata rivedo la scena di mia madre che, attonita, mi guarda scappare via. «Rose, si può sapere che ti succede oggi? Vieni qui, termina il tuo pasto!»
Non le rispondo.
Sarò prudente questa volta, ma non ci vedo nulla di buono.
Mi spiace mamma, ma ho ben altro a cui pensare... credimi.

Spazio autrice

Che ne pensate della mamma di Rose? Anche vostra mamma è così assillante?
Cosa avrà combinato David? Ci avrà visto bene Rose?

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