35 Mondi paralleli
Quanto possono influire le decisioni dei genitori sullo stato d'animo dei loro figli? Ve lo dico io: tanto. La mia adolescenza era stata segnata da sempre da eventi nefasti, seguiti da altrettante scelte funeste. La morte del babbo, la solitudine, il dover accettare il nuovo compagno di mamma, una nuova grande famiglia, le allusioni e i pettegolezzi delle mie amiche. Porto tuttora dentro di me un ricordo indelebile di come questi fatti mi abbiano segnato per sempre. Eppure non riesco proprio a dare la colpa di ciò a mia madre, anche se avrei voluto tanto fosse possibile. Mamma aveva sempre fatto di tutto per rendermi felice: era un dato di fatto. E con questo intendo che aveva sempre evitato di procurarmi problemi, di qualsiasi tipo. Certo, aveva i suoi difetti e li ha ancora, questo è innegabile, ma sono convinta che quest'ultimo pensiero, l'obbiettivo di rendermi serena, l'abbia accompagnata ovunque, persino nella scelta di un uomo.
Eppure il cercare un appiglio per odiarla mi avrebbe reso e mi renderebbe forse la vita più facile, almeno nei momenti più neri. Proprio così. Il poter addossare tutte le colpe a qualcuno, avere una persona fisica contro cui scagliarmi, e non uno stupido fantomatico governo, sarebbe liberatorio. Ma per mia sfortuna non c'è...
Sei forte, hai carattere, Rose.
Riecheggiano dentro di me ancora le parole di mia nonna e di mio padre. Ma questa volta è diverso...
Sono forte, coraggiosa, ma non tanto da rassegnarmi all'idea di abbandonare nonna. Il solo pensiero mi fa stare davvero male. Forse è vero, sono una dura, ho sempre guardato il mio avvenire con fiducia - è stata questa la mia salvezza, rifugiarmi in mondi paralleli - ma è altrettanto vero, e ne sono sicura, che in tutto questo c'entri il fato, perché io e Piergi eravamo da sempre destinati, e lui sarebbe stato la svolta, la mia svolta. Con lui avrei voltato pagina e non sarei più scappata, o almeno avrei tentato di non farlo, perché sarebbe stato lui il mio rifugio, sì, lo sarebbe stato, dovevo soltanto aspettare il momento propizio.
E invece? Invece finora niente: sono seduta qui per terra a gambe incrociate, tra le mani foglie secche e fili d'erba, a domandarmi cosa fare, come reagire, se mai sia possibile farlo. Assurdo- vero? - quanto la vita si sia accanita contro di me! Nel cuore solo tormento.
E sono così tesa da non accorgermi dello scorrere del tempo. Qui, per ora, non è buio, ma presto lo sarà. Non dovrei essere in questo posto, è così pericoloso; il ricordo di ciò che mi è successo con quel verme dovrebbe avermi insegnato qualcosa, tuttavia faccio fatica anche a muovere un solo passo.
Così, cercando di ritrovare quel briciolo di senno che mi rimane, mi rimetto in piedi. Cammino, senza una meta, ma mi viene in mente che l'unico capace di farmi ridere, di rasserenarmi è Pavel. Perciò, a un passo da casa sua, decido di andarlo a trovare: dopotutto ne sarà contento, dopotutto non potrà che farmi bene.
Lo trovo seduto sul portico, a trafficare con certi aggeggi.
Poi si alza per recarsi nel retro della casa.
«Pavel!» lo chiamo.
«Ehi bellezza, pensavo proprio a te! È un po' che non ci si vede. Ma forse tu eri impegnata con i tuoi fratelli a fare la capretta!»
Sa tutto, della montagna, tutto.
«Lo sapevi? Da quando? Come hai fatto?» chiedo incredula e divertita.
«Ho le mie fonti. E poi penso sempre a te...» mi dice guardandomi fisso negli occhi.
Già, pensava sempre a me.
E io sapevo che era vero, perché se c'era una cosa che adoravo di Pavel era la sua generosità, e il fatto che nonostante fosse stato solo, nonostante i suoi numerosi impegni, e i pensieri, mi aveva sempre riservato un piccolo spazietto nella sua vita, un angolino del suo cuore, e io non potevo che essergliene grata, perché contavo per lui, e questo mi riempiva di gioia.
Decido, allora, di restare a chiacchierare con Pavel, e a lungo. Mi fa vedere il suo orto e le novità. Ma prima che possa domandargli di Funny, mi accorgo che è concentrato su altro. Pare distratto. Non mi guarda più. Non sono più oggetto delle sue attenzioni. Così mi giro e la vedo, oltre il cancello. È lei Karolina. Quanto mi è mancata! E vorrei raccontarle tutto, confidarmi con lei, di Piergi, di nonna. So che ci sono stati dei diverbi tra noi, ce ne saranno sempre, ma so anche che li supereremo. Lo abbiamo sempre fatto, ci riusciremo anche questa volta. Sono impacciata. Vorrei andare da lei, ma ora sono con Pavel, e non mi va di piantarlo in asso così, su due piedi. Ma lui deve aver letto i miei pensieri. Così mi dà una pacca e mi dice:« Va', cosa aspetti. Tanto noi avevamo finito, vero?»
«Ma io...»
«Su, non fartelo ripetere. E poi io ho molto da fare qui. Non posso perdere del tempo con delle adolescenti.»
Accenna un sorriso e mi fa un occhiolino. Poi d'improvviso si alza e va via e la cosa mi sorprende, perché a Pavel, come a nonna, quella ragazza non è mai andata giù, ma deve aver capito la mia urgenza, il mio volerle parlare, perché è tanto che aspetto.
«Ci vediamo presto Pavel! Presto!» gli grido grata.
Ma quando faccio per girarmi e correre da Karolina non la vedo più. Ma ecco, a un tratto la visione. È lì, appoggiata a un albero, che si struscia a un ragazzo. È talmente imbarazzante che mi sorprendo a fissarla. Incredula forse? Disgustata. Che sia lui il tipo, il padre del bambino? Non so se gioire della scoperta, o augurarmi che si tratti di un malinteso, uno stupido assurdo fraintendimento.
Tento di allontanarmi, e maledico mille volte di non farlo, ma una forza sconosciuta mi attrae a loro e così a tradirmi è un rumore di foglie secche che sgretola tutte le mie convinzioni, e ogni mia esitazione diventa una certezza. Quella non è la mia amica - era stata inghiottita da tempo, misteriosamente - o forse per la prima volta mi sorprendo a guardarla come avrei dovuto fare da sempre, con gli occhi di chi non perdona... perché si era abbassata così tanto, perché non la riconoscevo più.
E mentre lei, consapevole della mia presenza, non mi degna di uno sguardo, ho addosso, invece, tutta l'attenzione di lui, un personaggio alquanto singolare. Avrei potuto raccontare tutto di quel ragazzo, già, proprio tutto, pur non conoscendolo, eccetto che si trattasse di un bravo ragazzo, perché mi era bastato poco per capire che poteva essere qualsiasi cosa, fuorché una persona a modo, perché non mi sembrava aver nulla di buono. Lo avevo studiato, e come se non lo avevo fatto, e che tristezza. Aveva suscitato in me sentimenti sconosciuti, negativi.
Così d'un tratto si avvicina. Non sento il suo odore ma percepisco il marciume che abita nel suo cuore. Mi ritraggo, ma lui avanza con fare prepotente.
«Ehi bellezza, vuoi favorire?» mi chiede non appena si accorge di me. E lo dice con disprezzo, toccandosi il cavallo dei pantaloni, con un fare a dir poco osceno, ostentando un atteggiamento strafottente. Che schifo! Odo le risate di Karolina, che lo spalleggia, e la cosa mi dà lievemente alla nausea. Ma la scena è talmente surreale che faccio l'unica cosa che mi sembra sensata: portare Karolina via di lì, perché non mi sembra in sé. È sudicia e puzza di alcol.
«Ehi, molla l'osso. Non vedi che è qui con me!»
«Certo, ma noi abbiamo altri progetti. Vero Karol? Una bella doccia e una dormita. E poi voglio parlarti» affermo, tirandola a me.
Ma la mia amica, contro ogni aspettativa, non sembra intenzionata a seguirmi. Continua a baciare avidamente quell'essere viscido, buttandosi letteralmente tra le sue braccia.
«Grazie tesoro, ma so quello che faccio. La tua apprensione rivolgila altrove.»
Resto basita, ma un po' dovevo aspettarmelo; è praticamente andata.
«Lasciala stare, avanti. Non vedi che è completamente fatta!»
E non poteva che essere lui. La sua voce, calma e controllata, la riconoscerei ovunque. Piergi era accanto a me, e probabilmente lo sarebbe stato sempre, perché lui c'era, silenziosamente, palesemente, e la sua presenza non incombeva mai, ma mi affiancancava ovunque, avvolgendomi in una sensazione di protezione. Con lui vicino mi sentivo sicura. Era quello che amavo di Piergi: molti fatti e poche parole. Ed era strano fare i conti in questo momento con tanta dolcezza e tanto disprezzo, perché lo avvertivo tutto il livore di Karolina. Era un assalto all'anima, un incendio a cui non ero preparata, non ancora.
«È vero, lasciami perdere», sputa velenosa.
«Soltanto adesso ti ricordi di me?», continua acida. «So che siete andati in montagna, ma io non contavo niente per te, per voi. Sono stata tagliata completamente fuori. E ora? Cosa volete da me? Adesso andatevene. Viaa», grida risoluta.
«Ma Karolina. Perché questo? Perché alla vigilia della mia partenza? Io non sapevo della gita, che ci sarebbero stati tutti. Noi eravamo amiche, noi...» ribatto tremante.
Faccio fatica ad ammetterlo, ma forse la nostra amicizia, per un motivo a me sconosciuto, era andata persa, e da molto, e questa volta per sempre. Il mio inconscio me lo aveva suggerito, più e più volte, lanciando ovunque segnali, ma non potevo accettarlo. Ero distrutta dentro; le risate, la spensieratezza che ci aveva accompagnato in tutto questo tempo, sarebbero state un ricordo lontano: un brutto colpo, ma dovevo farci i conti, non potevo più negare la realtà.
«Dici bene, eravamo. Sei solo una stronza e di te non me ne frega niente. Niente.»
Per questo eccomi qui, ancora qui, a implorare, non solo con le parole ma con gli occhi e con la mente la presenza della mia amica, perché sono senza fiato, perché ne percepisco già l'assenza. Uno strano vuoto alberga dentro di me. Eppure non posso rassegnarmi a quell'idea, di averla persa. Non so cosa pensare, come comportarmi, ma una domanda mi ossessiona: avevo sbagliato tutto, proprio tutto con lei, e nonna aveva sempre avuto ragione?
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