30 Al limite delle mie fobie
È così che è cominciato tutto, e in questo modo che sono iniziate le mie paure... prima che ci fosse Andrej, e Maxim e Piergi.
Prima di allora tutto filava liscio come l'olio, ma poi... ogni cosa è cambiata, irrimediabilmente, e nulla sarebbe più tornato come prima, nulla.
Non ricordo bene ogni avvenimento, ho soltanto dei piccoli sprazzi di memoria, ma se mi sforzo riesco a percepire quelle sensazioni, ogni singola vibrazione, perché sono racchiuse dentro di me.
E per quanto io cerchi di seppellirle, quelle sono sempre pronte a riaffiorare... e a riaprire ferite che credevo ormai guarite.
Purtroppo non è facile come vorrei. Non lo è per niente, ed è impossibile dimenticare.
Rammento che avevamo scelto di fare una scampagnata nei pressi del bosco. Io ero troppo piccola per andarci da sola. C'eravamo io, mio padre e Pavel. Mamma non c'era, lo ricordo troppo bene: se ne stava ore e ore tra i suoi drappi di stoffa per mettere assieme delle lucenti tende di seta. Ultimamente lo faceva di frequente: si relegava in taverna e cuciva. La osservavo spesso perdersi tra le bobine. Le sfiorava, le accarezzava con il palmo e con il dorso delle mani. Erano gesti strani, ripetitivi, ma alle mie domande non seguiva mai risposta. Io non sapevo perché facesse così. Era come se mamma si dimenticasse del mondo circostante, come se perdesse l'orientamento tra quei colori tenui. Una cosa era certa: il contatto con la seta la faceva star bene. Avevamo bisogno di quei soldi, cosi diceva spesso. Lei era una sarta bravissima - anche se non lavorava più in quel settore - e saltuariamente faceva dei lavoretti extra per delle famiglie... ma tutto rimaneva sempre top secret e in quei giorni il nervosismo era tangibile.
La tensione era evidente, si poteva sfiorare con un dito. Ricordo che in un occasione le toccai anch'io quelle bobine e fu bello il contatto sotto le mani, avvertii quasi un solletico al cuore. Quella stoffa dava sicurezza. Era talmente leggera e impalpabile che pensai che le farfalle fossero fatte di quella materia. Quel giorno, il giorno del pic nic, ci alzammo presto. Mamma non c'era. Avrei desiderato tanto fosse venuta con noi. Eppure ogni tanto, tra le mie memorie, riaffiora ancora l'orlo di una gonna, eppure ogni tanto tra quei frammenti, sento delle mani tendere verso il mio corpo e accarezzarmi il viso...
Un profumo di sole, di violette, di buono: un profumo quasi materno, di donna.
Ma sono sicura, mamma non era con noi e non mi avrebbe più portato in quella strana casa dove spesso si ostinava a trascinarmi: me lo aveva promesso. Non sarei stata più da sola in quella grande stanza, come ero solita fare, perché era lì che mi lasciava una mezz'oretta quando doveva fare le consegne, tra tutti quei libri, e io avevo paura. Li vedevo quegli occhi ossevarmi dalla fessura, mi seguivano anche quando mi voltavo, ma non erano cattivi...
Alle volte sentivo anche piangere. Forse quella era la casa degli spiriti? Me ne convinsi. Talvolta quello sguardo si rifugiava tra i tomi impolverati e io lo rincorrevo. La voce era gentile e gli occhi, grandi e sorridenti, mi rincuoravano, quando non stava male... perché di tanto in tanto quel lamento, soffocato, mi entrava dentro, nel profondo, si aggrappava all'anima e raschiava forte.
Avrei voluto vedere chi si celava dietro quella presenza, avrei voluto parlare, chiedere, ma la paura spesso mi frenava.
Ma si sa, i ricordi di bambina sono sfocati, confusi, e forse il desiderio che ci fosse stata mamma con me in quella circostanza mi faceva venire in mente cose che non si erano mai verificate. Era una giornata bellissima quella che avevamo scelto per il pic nic: di questo ne sono certa. Il sole creava giochi di luce che penetravano la fitta boscaglia. L'odore della natura era inebriante, pungente. Ci inoltrammo oltre il dovuto, perché io volevo guardare, scoprire. Raccoglievo nel lembo della gonna piccole pigne, sassolini, frutti di bosco, proprio come mi aveva mostrato nonna. Erano il mio tesoro. A piccoli passi, mi diceva il babbo. A piccoli passi, spediti e frequenti.
E io obbedivo. Mettevo prima un piede e poi l'altro, incastrandolo tra le rocce che spuntavano dal suolo come diamanti grezzi tra l'erba. Ed ero lesta, come una lepre. Ora su di una radice, ora sul terreno meno scosceso. Era come un gioco per me. Ogni tanto mi fermavo, a raccogliere margherite, a rincorrere insetti. Viaggiavo felice e spensierata sulle ali della fantasia, e nulla mi faceva paura, non almeno fino a quel momento, quando qualcosa invece si ruppe dentro di me, fino a lacerarmi.
Non avrei più visto la montagna come l'avevo vista sempre, con gli occhi di un bambino, carichi di meraviglia, non avrei potuto attraversare più i boschi con il naso per aria e l'oro che luccica negli occhi. La libertà, i sogni e il cercare un colore nuovo nei tramonti e nel cielo... un mistero svanito: erano tutti desideri relegati a pochi momenti; non ci sarebbe stata più quella bambina. Era come se un filo invisibile mi attraversasse e disegnasse i confini, io non potevo vederne esattamente i contorni, ma sapevo fin dove potevo arrivare e dove invece avrei dovuto fermarmi. Mi sentivo come Cenerentola, con la sola differenza che io non dovevo fuggire da una festa, ma da me stessa. Cosa ne era stato di quella leprotta? Tentai più volte di spingermi in quel pozzo nero, per far emergere ciò che mi aveva spezzato, per costringermi a ripercorrere quella giornata, ma invano. Ne uscivo sempre avvilita e stremata. Non riuscivo a rivivere nulla di quel giorno, della fine del pic nic, nulla. Il mio inconscio aveva registrato qualcosa di estremamente pericoloso, un qualcosa di cui io stessa non avevo la benché minima idea e che ancora oggi mi tormenta, e lo avevo fatto in modo automatico e inconsapevole.
So per certo che, quando ci provavo, quando tentavo di ripercorrere quell'avvenimento, riuscivo soltanto a sentire un odore acre e forte, che sovrastava quello della natura, e allora il verde brillante veniva inghiottito, l'arcobaleno svaniva, non c'era niente di rassicurante e di magico, ma solo una voragine che rischiava di portarmi via con sé.
Di sicuro a tarda sera mi ritrovarono nel bosco. Tutto il paese si smobilizzò per me. Se mi impegno, rivedo ancora le luci dei soccorritori.
Buffo vero? Io che andavo alla ricerca di erbe e piante spontanee per curare le mie bambole, io che consideravo il bosco come sacro - un tempio in cui conservare i miei segreti e le mie conoscenze - mi ritrovavo a doverci stare alla larga. Questo succedeva sempre, di sera, col buio.
E non si trattava dei capricci di una bambina, non erano paure legate alle fiabe. Cappuccetto rosso, Biancaneve erano innocenti. Io soffrivo di una malattia che aveva un nome preciso: l'hilofobia.
Avrei voluto riappropriarmi di quel contatto profondo che mi faceva stare bene, avrei voluto godere della protezione degli alberi e delle piante, entrando nei boschi con rispetto e delicatezza, ma dovevo limitarmi - ero costretta - perché quel mondo carico di energia mi terrorizzava.
Di fatto continuavo a farlo, a parlare agli alberi, ma rimanevo ai margini della foresta, non osavo addentrarmi: la paura di perdermi era troppo grande. E quando la vegetazione si infittiva, quando il cielo era buio e la luce penetrava a stento, io mi sentivo soffocare, letteralmente morire, e mi era difficile distinguere la realtà dalla fantasia. Strani mostri si affacciavano... e io dovevo fuggire, come un animale braccato da una bestia feroce, io dovevo correre verso la luce, la mia libertà.
Ma non oggi, questo non sarebbe successo, perché saremmo scesi prima del tramonto ... me lo aveva promesso... e io mi fidavo di lui, perché Piergi, forse, lui sapeva. Non ne ero sicura, d'accordo, era solo un sospetto, perché io non gli avevo raccontato della malattia, dei miei timori, ma lui mi aveva assicurato che non ci saremmo mai inoltrati, saremmo stati ai margini della vegetazione, e io gli credevo. Quella che avrei dovuto affrontare sarebbe stata soltanto una piccolissima prova, questione di minuti, io non me ne sarei neanche accorta. Un piccolo insignificante tratto, mi aveva detto. Poi ci saremmo fermati lì, non saremmo andati oltre, dove il panorama mozzava il fiato, dove sarei stata libera di respirare e di vivere ancora, al sicuro da me stessa, sempre al limite delle mie fobie.
Spazio Autrice.
Ecco un altro piccolo tassello. Che ne pensate?
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