3 Andrej

«Ehi, che ti prende? Perché continui a lanciare sassolini sulla finestra? Ti ha forse dato di volta il cervello?» le dico.

Ok, lo ammetto, per essere la sua migliore amica sono stata un po' sgarbata, ma dopotutto sono anche io una ragazza normale, un essere umano con i suoi alti e bassi, con i suoi pregi e difetti. Non perdo mai la calma - beh, quasi mai - ma evidentemente la notizia appena ricevuta mi ha destabilizzato. Non succede tutti i giorni di sapere, da un momento all'altro, di dover cambiare casa, città... perché è quello che sto per fare, lasciare Svit, dove abito, e Poprad, dove sono nata, e forse per sempre. Cerco di rilassarmi, non pensando a ciò che mi aspetta, e di ricompormi, perché non voglio farmi vedere in questo modo.

«Vieni subito, devo dirti una cosa importante!» mi rivela.

Ecco, questa è Karolina, una continua esigenza di attenzioni. La parola urgenza è scritta nel suo Dna e io sono - beh, cosa sono? Vediamo un po' - la sua valvola di sfogo? Già, ma senza di lei cosa sarei mai? "Noiosamente prevedibile", per ripetere le sue parole. Siamo così diverse e così unite. Ci conosciamo da quando andavamo al nido.

«OK, dammi un attimo!»

Anch'io dovrei dirti qualcosa, già, ma come dirtelo. Trovare le giuste parole per dirti che andrò via sarà arduo, praticamente impossibile.

Mi affretto a scendere. Non nascondo che sono curiosa; non viene mai a trovarmi di sabato mattina. Varco la soglia di casa. Mi guardo attorno, ma nel giardino non c'è nessuno. Il sole è alto e si preannuncia una bella giornata calda, nonostante sia ancora maggio. La strada principale è deserta, non un rumore, e gli unici esseri a popolare il giardino sono le api che, indisturbate, svolazzano da un fiore all'altro. Mi chino a raccogliere una margherita, portandomela dietro un orecchio. Non un refolo di vento, nessun movimento. Eppure sono le undici del mattino.

Che sia andata via? Da lei mi aspetterei di tutto e anche questo. Un cuore volubile, una puledra scalpitante.

Giro attorno alla casa. Ovunque desolazione: è questo quello che vedo. Il mio stato d'animo si riflette anche sul mio modo di guardare le cose. La porta della rimessa degli attrezzi, nel retro dell'abitazione, è aperta. In terra, stranamente, una vanga. Mi affaccio, ma di lei nessuna traccia. Il dondolo si muove ancora.

Brutto segno: urgenza e disperazione, mi dico.

Lo fa sempre, Karolina, quando è in paranoia o presa dal panico più totale. Farsi cullare dal vento, dai pensieri e da questo dondolo che avrà la mia stessa età: quasi diciassette anni.

La vedo rannicchiata dietro il grande albero che troneggia a fianco della mia bella casa. La pelle chiara, sembra fatta di cera. Indossa una t-shirt colorata e dei pantaloncini corti. Mi avvicino e la sento piangere.

«Cos'hai?» le chiedo in punta di piedi.

«Devo darti una brutta notizia», mi dice affranta. Tira su col naso, e si scosta le ciocche dal viso.

Ancora un'altra. Non c'è fine al peggio e io sono stanca.

«Non mi è venuto il ciclo», sbotta all'improvviso. Mi guarda con quegli occhioni grandi, interrogativi, portandosi con gesti fluidi i capelli dietro la fronte.

Ok, cosa sarà mai? Lo stress, i problemi... ma poi la guardo e capisco che è quel problema, non un problema qualunque.

«Non starai mica tentando di dirmi che...»

Non faccio in tempo a finire la domanda che lei, Karolina, è già tra le mie braccia.

Piange, sommessamente, la sento singhiozzare e, all'improvviso, mi sento come un microbo, inutile.

«Ma se non fosse come pensi?» proferisco timidamente.

Sento di esprimermi male e di non essere di nessun aiuto.

Improvvisamente "miss so tutto io" ha lasciato il posto a una me "impreparata", perché non si è mai predisposti alle cattive notizie o quanto meno alle inaspettate, e così mi ritrovo a balbettare e con un quoziente intellettivo di un criceto. Domanda idiota e me ne accorgo dalla reazione di Karolina e dal suo sguardo, così compassionevole. Sono un'ingenua, lo sono sempre stata, d'accordo. Ma questa sono io, che ci posso fare? Lei mi appare così piccola in questo momento. Buffo vero? Un metro e settanta di altezza, bionda, fisico prorompente, mi sembra poco paragonata ai miei miseri centosessanta centimetri. Ma è in questo modo che si presenta a me: indifesa, come un cerbiatto braccato dai lupi. Mi dico, di colpo, che non può succedere proprio a lei, che un padre non l'ha mai avuto, e così, come poche volte mi accade, sento montare tutta la rabbia dentro di me, come se stesse per esplodere un vulcano.

«Lui che dice?» articolo con voce più sicura.

«Non importa, non lo voglio», risponde asciugandosi le lacrime. Cos'è che non vuole Karolina? Quell'essere immondo o il bambino?

«Ho sbagliato io, dovevo capirlo che a lui non importava nulla di me...»

"Non importava nulla di me?" Che cavolo significa?

Sono queste le ultime parole che fanno scattare quella molla in me. Ormai è fatta, sono partita. Perché tutto possono toccarmi, tranne che gli affetti. La ragazza dolce, comprensiva, riflessiva che è in me, proprio non ce la fa a sopportare i soprusi, le angherie, l'indifferenza. "Non importava nulla", mi ripeto a voce bassa. Ma ormai sono cotta a dovere e quella ragazza assennata, giudiziosa, avveduta, ha lasciato il posto all'altra me: quella impulsiva, avventata. Ve lo giuro, succede di rado, ma quando succede... son dolori.

E poi sarà la giornata o tutto l'insieme, ma è da un po' che volevo picchiarlo, morivo proprio dalla voglia di farlo. Con quella sua aria da strafottente...

L'indifferenza? Il peggior male della società, lo ribadisco. E lui è sempre esattamente così: distaccato e disinteressato al prossimo. So che non c'entra nulla, ma quando vedo lui mi ricordo del babbo, del suo incidente. Senz'altro sarebbe ancora qui se qualcuno quel giorno fosse stato più attento, più sensible. Già, il mio papà. Perché Maxim mi ha fatto da padre e non finirò mai di ringraziarlo... ma mio papà non c'è più.

«Adesso quello schifoso...»

Stringo i pugni e mi allontano cacciando via i ricordi tristi della mia infanzia. Ho già fatto le mie supposizioni, ho già tirato le somme. È stato lui.

Solo tre isolati mi separano da quell'incosciente.

Sento vociare Karolina, che piange. Allunga la mano per fermarmi ma io sono gia

Mia madre la raggiunge. Vedo scomparire la costruzione rossa di mattoni, la mia bella casa. Mi giro indietro e vedo mamma che mi chiama... ma io ho già preso la bicicletta e non ho nessuna intenzione di ritornare sui miei passi. Mi allontano dalla mia dimora passando dietro la rimessa. Mi lascio alle spalle la piccola serra costruita dal babbo, il mio vero papà. Sono fuori dal viottolo. Vado oltre i pochi fabbricati che ci sono nelle vicinanze, sorpasso la fila di garage e mi addentro nella fitta vegetazione; una scorciatoia per fare prima. Sono invasa dalla natura, dai rumori degli uccellini e dall'odore della polvere che si alza al mio passaggio.

Mi ritornano in mente le ultime parole di Karolina. "Non è come sembra, dove vai?"

Cosa diamine vuol dire? È talmente evidente l'arroganza di quel ragazzo e la cattiveria innata, che in questo caso l'apparenza non c'entra un piffero.

Sono arrivata. Sento che mi sto mettendo nei guai, è vero, ma qualcuno dovrà pur fermare quello stronzo, e se non c'è alcuno disposto a farlo, beh, si dà il caso che almeno una bella lezione dalla sottoscritta non gliela toglierà nessuno...

Parola di Rose.

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