20 Un sogno solo mio

Qualcuno sta bussando alla porta...
Ancora una volta, sento il rumore dei passi sul parquet consunto, mangiato dal tempo. Sono le otto di sera, è quasi ora di cena, e io sono ancora frastornata dal sogno, dall'incontro con Piergi, dalla mia reazione e dalla direzione che sta prendendo la mia vita. Sono infastidita da questa interruzione e quel che è peggio che lo sono pur essendo consapevole che mi stavo accingendo a non far nulla. Rispondo con fare assente. Bevo un sorso d' acqua e fisso il mio riflesso nello specchio sopra la scrivania. Sono orribile e impresentabile. Mi guardo e noto che ho delle profonde occhiaie sotto gli occhi, come solchi profondi. In tutto questo non mi rendo conto della presenza di Nina.

«Sei pronta?» mi chiede.
Come se lei potesse capire, come se una bimba della sua età potesse comprendere, le dico in tono acido di non essere affatto preparata. Forse non lo sono mai stata per l'amore, forse non è affatto semplice condividere, rapportarsi con un'altra persona, ma quello che mi sta succedendo è troppo anche per me, che sono forte, che so farmi scivolare tutto addosso. Un membro della mia famiglia... Cavolo! Tra tutti i ragazzi che c'erano...

«Ti pare che lo sia, conciata in questo modo?» rispondo astiosa e pensierosa, ma me ne pento... e subito.
«Beh, tu sei sempre così!»
La guardo di sbieco. Sorride gonfiando le guance e nascondendosi dietro le manine paffute.
La sollevo e la posiziono sulla scrivania.
«Cosa vorresti dire, eh, piccola streghetta saputella?»
«Che non ti interessa degli altri, che non sei come i tuoi coetanei. Tu non sei ancora pronta!»

Resto sbigottita.
«Ehi tu, sentiamo un po', dove hai sentito queste cose?»
«Tua madre lo diceva al papi. E poi...»
«E poi?»
«Anche mio fratello diceva che non sei come le altre che si tirano...»
«Quale fratello?»
«Non metti le gonne, sei come un maschiaccio.»
Che se la tirano forse?

Voleva dire questo...
Mi sento ferita, ma è la verità. Non mi preoccupo della mia immagine, dell'apparenza, non mi interessa proprio nulla. Mi guardo nello specchio grande dell'armadio. Quello che vedo è solo disordine e sciatteria. E dietro la mia immagine incontro i suoi occhi, dolci e teneri, che mi guardano spauriti. Poi la testa bassa.
«Piccolina! Cosa c'è?»

«Tu per me sei la più bella!»
L'abbraccio forte, respirando il suo profumo. Vorrei chiederle di più, delle sue informazioni, ma giunge anche lei, nonna, a borbottare. Così non mi rimane che pettinarmi velocemente e cambiare il pantaloncino.
Ceniamo. Ingurgito tutto quello che c'è in modo disordinato, con avidità, ma senza assaporare, e tutto alla presenza dei miei fratellastri. Andrej mi guarda disgustato, non riuscendo a staccarmi gli occhi di dosso.

«Fame vecchia!» osserva il maggiore.
«No, piuttosto qualcuno ha dimenticato le buone maniere!» replica mia madre contrariata.
Non le dò peso, sono troppo impegnata a ricordare il sogno. Le sue labbra carnose sulle mie, le sue braccia sui fianchi, il suo respiro.
Era così bello ed è così bello. Non riesco a staccargli gli occhi di dosso. E quando ripercorro quei momenti, le sue mani tra i capelli, i suoi baci sul collo, mi sento scivolare nel più dolce dei pensieri. Io con la schiena appoggiata alla porta, le gambe avvinghiate ai suoi fianchi. Lui che guarda solo me. Un bacio intenso ma intimo, delicato e lento ma eccitante. Avvampo.
Sto dando i numeri.

Andrej resta con la bocca aperta e il braccio a mezz'aria. Deve aver intercettato qualcosa, oltre che il mio rossore. Guarda Piergi intento a cenare. Lui non si è accorto di nulla: la prova che quel sogno è solo mio. Per una frazione di secondo vedo balenare una luce vermiglia nei suoi occhi, pari soltanto a invidia, gelosia. Sto ancora delirando?

No, non posso andare avanti in questo modo. Così, dietro gli occhi sconcertati di mamma, Maxim e il resto della ciurma, metto giù le armi - scusate, volevo dire le posate - e mi ritiro come il più vile dei soldati, perché non c'è speranza di vittoria. Questa non sono io, con questi pensieri, assurdi e per giunta scabrosi.
Che mi sta succedendo? Qualcuno può darmi una mano?

«Io vado con lei», avanza Nina.
«No, tu resti qui fino a quando non avrai terminato la tua cena.»
Scappo via, dietro lo sguardo stupito di Piergi. Decido che debbo parlarne con qualcuno. Un medico, uno bravo, potrebbe andar bene?
Nonna sarebbe perfetta, ma forse la meno adatta in questa situazione. Probabilmente karolina?

Magari se mi aprissi a lei, potrebbe ricambiare confidandosi; potremmo appianare così le nostre divergenze.
, farò così.

Mamma stranamente non mi segue, la sento lamentersi delle mie stranezze, ma per compensare mi sento strattonare per un braccio. Ottimo, mi giro e vedo lui, Andrej.
«Adesso tu mi spieghi cosa sta succedendo!»
«Cosa?!» ribatto sorpresa.
«Sì, hai capito bene. Forse potrai darla a bere a mio padre e agli altri, ma non a me. Cosa c'è tra te e mio fratello? Cosa state complottando?»
«Niente che ti riguardi!»
È più idiota di quanto pensassi, per non dire insolente e ficcanaso.
«Invece sì. È un affare di famiglia e io voglio proteggerti da lui e da...»
«Cosa? Un affare di famiglia e... tu, proprio tu, vorresti proteggermi da tuo fratello?»

Scoppio in una risata isterica. Andrej che mi vuole proteggere? Su, dai! Non ci crede nessuno.
Mi guarda immobile. Resta paralizzato. Stringe i pugni come in preda a uno scatto d'ira.
Ci mancava pure la mania di controllo...
Perché è questo che vuole fare, controllarmi. Non ne vedrei il motivo altrimenti, di tutta questa prepotenza. A muso duro gli sbatto la porta in faccia. Restando con la schiena contro la porta, respiro profondamente per placare l'ira che sento montare dentro. Non odo nessun rumore, niente. Poi lo sento andar via, senz'altro rassegnato. E meno male per me, perché non ho affatto voglia di discutere con qualcuno, tantomeno con Andrej. La nostra tregua di oggi non vuol dire nulla. L'acqua, le risate... insomma, questo non basta a rimuovere i muri che ho issato tra noi due. Lui resta sempre quello che è, anche se per un attimo è stato bello...
Sento di nuovo bussare alla porta. Spero con tutto il cuore non sia mamma. Non potrei sopportare ancora. Mi scoppia la testa. Poi vedo che è nonna.

«Cosa ti succede ragazzina? Non è da te agire in questo modo...»
Resto senza parole, non so cosa rispondere. In fondo cosa dovrei dire? Nonna ha perfettamente ragione.
«Perché lo sai che ti stai comportando come una ragazzina, vero?»
Inforca gli occhiali pesanti e si dirige verso la finestra, con quella sua camminata ciondolante che riconoscerei ovunque. Si adagia sulla sponda del letto, poi inizia a frugare in una busta tirando fuori pizzi e merletti. Adoro osservarla mentre armeggia con i suoi attrezzi. Da piccola mi perdevo a farlo; lei aveva la capacità di rendere tutto così facile. Se avevo un problema, di qualunque natura, pratico o semplicemente un alterco con un mio compagno, sapeva trovare la soluzione in men che non si dica. E i suoi sistemi erano sempre stravaganti, ma così efficaci: non un arrangiamento dell'ultimo minuto, non uno scappatoia per rimediare a un pasticcio. Era ingegnosa. Ricordo, come fosse ieri, quella volta in cui bisognava portare la merenda in un panierino e il mio aveva il manico rotto. Temevo di essere diversa, che mi prendessero in giro con lo zainetto, e invece lei, in poche mosse, fu capace di realizzare un manico con l'uncinetto, dello stesso colore con cui mi rivestì un cerchietto per capelli. Ero la più bella.
Che nostalgia!

Mentre sono intenta a pensare, mi tira a sé, poi incomincia a prendere le misure. Ogni tanto ha la vena artistica e io la faccio fare. L'ultima volta mi ha confezionato un maglione di lana davvero caldo.
«Realizzi un pullover per l'inverno?»
«Sarà una sorpresa!»
«C'entra Pavel?»
«Sei troppo curiosa!»
Mi fa girare, con quel suo modo di fare sbrigativo e risolutivo. Alzo le braccia, il mento. Misura tutto, il punto vita, la circonferenza del torace, poi annota sul taccuino.
«Bene!»
Sembra soddisfatta.
«Assomiglio a mamma quando ero piccola?» le chiedo improvvisamente. È come un assillo, che mi angustia, talvolta pare un ossessione, ma nessuno mi parla mai di com'ero quando ero bambina.
È un pezzo mancante.

Con il metro tra le labbra, non risponde. Si gira.
«E al papi?»
Mi dà le spalle. L'argomento deve farle molto male, perché la vedo voltarsi e oscurarsi in volto. Sembra quasi commossa. Era molto legata a papà e lo considerava come un figlio. Manca a tutti noi. Mi da un bacio sulla guancia, toccandomi la nuca con le mani. Le sue dita sono fresche e umide. La vecchiaia le ha increspate e arrossate, sono un groviglio di vene, rosa come il quarzo e viola come lo zaffiro, ma il suo tocco è leggero e delicato. Sa di borotalco nonna, e di buono. Senza dire una parola lascia la stanza, non prima di rivolgermi un'ultima occhiata. Accarezza la porta, il volto leggermente inclinato in basso.

«Il meglio di loro, il meglio», tira fuori con voce fioca, gli occhi puntati al pavimento.
Sembra muovere le labbra, e in effetti pare voler dire qualcosa. Lo fa sempre quando è commossa. Poi silenziosamente va via e mi lascia qui, da sola, con me stessa.
«Nonna, il colore, non mi hai chiesto il colore?»
Ma ormai è andata, mentre io sono qui a pensare e a fantasticare...
Mi piace.
Una sorpresa, per me...
Una sorpresa.

Spazio autrice

Il pensiero di Piergi sta diventando un ossessione. Farebbe bene, Rose, a troncare o ad assecondare questo pensiero?
È davvero un sogno solo suo.
Spero vi sia piaciuto il capitolo. Fatemi sapere

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