19 La favola sbagliata

Ci sono cose che vale la pena proteggere e custodire nel cuore. Talune ti sfiorano e tu sei lì a godere delle stesse, ma poi svaniscono, velocemente, altre ti scalfiscono e ti entrano dentro, senza che nemmeno tu abbia il tempo di accorgertene... e piantano misteriosamente qualcosa di grande.

Andrebbero riconosciute e difese gelosamente, ma non sempre è facile distinguerle da tutto il resto e accettarle diventa grave. Così Piergi si stava intrufolando nella parte più intima del mio essere, lo sentivo grattare prepotentemente, sotto la pelle, piano piano, e cesellava il mio animo.
Risplendevo al suo cospetto. Lui mi scaldava il cuore: io non avevo occhi che per lui, ma era un sentimento sbagliato, che non doveva esistere, che andava represso ed evitato.
Quello che avevo vissuto non era stato un semplice sogno, ma molto di più. Era la spia che qualcosa stava cambiando, era l'allarme che mi avrebbe consentito di osservare e modificare la direzione, perché ciò che stavo perseguendo era al di fuori della mia portata. Ma era corretto? Allontanarlo, fingere di non provare quello che stavo provando, era la strada da percorrere? Eppure la sola idea di Piergi, del suo sguardo su di me riempiva il mio mondo di luce e colori, eppure la mia vita sembrava avere per la prima volta un senso diverso. Non ero più la piccola Rose, qualcuno mi aveva guardato... si era accorto di me, ma in un modo tutto nuovo.

Avrei voluto rientrare nel sogno, sì, nonostante tutto avrei voluto ritornare indietro... perché non mi sembrava vero.
Avevo sempre desiderato che qualcuno ci fosse per me, che qualcuno, oltre mia madre, potesse capirmi là fuori, che percepisse le mie paure, il mio stato d'animo, che si occupasse di me e mi ascoltasse davvero, non come Karolina. E ora che lo avevo trovato mi sembrava troppo bello per meritarlo. Ma forse Piergi c'era sempre stato, quando di notte mi faceva compagnia fuori mentre gli altri erano nel "luogo", quando da lontano mi osservava uscire da scuola e poi si avviava, quando mi aveva aiutato con il signor Pavel e contro quel borioso del mio compagno di scuola, quando mi aveva salvato, quando lanciava occhiate al fratello se solo osava dire qualcosa che potesse ferirmi o farmi dispiacere. Silenziosamente lui c'era sempre stato e riempiva i miei vuoti di candidi spazi profumati, che sapevano di protezione, di riguardo, di comprensione. O forse io avevo frainteso tutto e quella lettura dei fatti era l'unica che mi facesse star bene, l'unica che giustificasse i miei sogni.

Qualcuno non aveva avuto occhi che per me...mi ripetevo.
Ma dico, sono impazzita!

Per fortuna avevo lei accanto, la mia coscienza.
Aspra e ragionevole e talvolta inopportuna, era sempre pronta a rimproverarmi e ad aprirmi tristemente gli occhi. Perché, diciamocelo pure, essere richiamati all'ordine nei momenti più piacevoli non è il massimo della vita e soltanto adesso me ne rendo conto.
Ma come darle torto? Andiamo!

Poteva pure apparire la favola più bella, ma ero finita tra le pagine di un libro sbagliato. Non avrei potuto essere la protagonista.
La realtà raccontava ben altro: ero la sorellastra, aveva ragione Piergi, era un dato di fatto che andava accettato.

«Rose, ci sei?»
E poi c'era lei, mia madre, che mi riportava dritta alla cruda e amara realtà. Non che la mia vita fosse orrenda, tutt'altro, ma c'erano quei sottotitoli che andavano cambiati, qualche episodio riguardato, ma purtroppo, ahimè, non ero io alla sceneggiatura: andava detto. Altri dettavano le regole. Io ero una mera esecutrice, limitandomi a leggere un copione che avrei voluto cancellare.

«I tuoi fratelli sono già a tavola, allora?»
Già, i miei fratelli. Loro erano a tavola, mentre io avrei voluto infilarmi sotto le lenzuola, nonostante il caldo, perché sentivo freddo ed era dura pensare a quel sogno come a un sogno, come a un semplice fenomeno psichico che altro non era che una percezione falsa di immagini e di suoni, perché io quelle labbra le avevo sentite davvero, sulle mie, e quel che è peggio è che mi era piaciuto tanto, tantissimo.
Stavo impazzendo, questa era la verità.

«Non vengo, non ho fame!»
Naturalmente cosa credete che abbia fatto mia madre? Niente, se n'è praticamente fregata del mio malessere, ed è entrata.
«Cosa c'è tesoro? Cosa ti prende? È per via del viaggio?»
«Posso provarci io... a convincerla.»
E poi c'era lui, che illuminava il mio vivere, pronto a sorprendermi in ogni istante, come adesso.

Sono allibita, ma quella che ho sentito è proprio la sua voce. Piergi, che era sempre stato fuori dalla mia vita, che si era sempre comportato in maniera fredda e distaccata, almeno apparentemente, ora è qui, nella mia stanza, per l'ennesima volta nell'arco di un solo giorno, ed è esattamente a un passo da me. Realizzare di essere fuori dalle mie visioni oniriche è stata un'impresa per me e lo è ancora.

«Non farlo, non avvicinarti», sbotto con voce stridula, in preda al panico.
Entrambi, mia madre e il mio fratellastro, stupiti dalla mia irruenza, mi guardano in modo strano. E fanno bene, perché io sono spaventata da me stessa, dai miei sentimenti e dalla mia interruzione inaspettata.
Mi copro col lenzuolo che mia madre mi ha appena tolto.
Metto la testa sotto il cuscino e sento i loro passi allontanarsi.
Dio, che vergogna!

Mi sento così scoperta e vulnerabile.
Così mi giro e vedo Piergi dire qualcosa a mia madre e chiudere la porta.
Credevo fosse andato via.
Poi si avvicina, pericolosamente.
«Che ci fai ancora qui?» obietto.

«Non potevo lasciarti così», risponde. Mi metto a sedere sul letto e lo guardo incuriosita, perplessa. Mi copro, fino al collo. Sono imbarazzata. Ho un pantaloncino cortissimo e sicuramente i capelli scompigliati.
«Io mi sento responsabile...» ammette.

«Di cosa?»
«Avrei dovuto dirtelo di David, del suo odio per te, avrei dovuto parlarne con mio padre, almeno con lui, ma ho sottovalutato...»
«Io non... non so di cosa parli, nel senso che non riesco a capire. Parli di odio, ma io David non lo frequento da tanto e... insomma non gli ho mai fatto niente. Non vedo perché lui debba avercela tanto con me?»
«Ma forse è una cosa mia...» si volta e va via, lasciandomi tra i miei dubbi.

«Aspetta, aspetta, non andare», lo supplico afferrandolo per il braccio.
Voglio sapere, ho il diritto di sapere.
Quel contatto mi fa vibrare il petto di emozioni che mi lasciano senza fiato. Sento il sudore rinfrescare il mio corpo. Ed è piacevole il vento che smuove le tende, ed è dolce questa musica che ho nel cuore. Si gira e mi guarda, con quegli occhialetti che incorniciano il suo viso, con i riccioli neri sugli zigomi alti.

Combatto contro l'irrazionale voglia di abbracciarlo ancora. Vorrei gettargli le braccia intorno al collo, vorrei sentire ancora il suo profumo, vorrei tante cose.
Le sue iridi incontrano le mie, ed io sprofondo in quel mondo fino ad allora inesplorato, e vedo montagne e scenari sconosciuti, immense praterie e sconfinati deserti, e m'illumino d'immensa gioia, perché sto bene con lui, ora posso dirlo, perché passerei le ore ad ascoltarlo, perché l'ho scoperto da poco ma forse lo sapevo da sempre, perché anche se non parliamo molto ho imparato a conoscerlo, e mi piace tanto quel poco che ho visto...

Acqua dissetante che rinfresca, è questo per me, e senza di lui non sarei niente.
Ma siamo fratelli, fratellastri. Così continuo nella mia logorante lotta interiore, incapace di esternare ciò che davvero provo, impossibilitata ad esprimere ciò che davvero voglio.

«Dimmi?»
Ed è così bello che ho le lacrime agli occhi. Così trasparente, così pulito...
Come ho fatto a non vederlo?
E non parlo soltanto della sua bellezza esteriore, no, è la sua onestà che mi ha rapita.
Lo vedo navigare nei miei occhi, quasi a voler decriptare i miei segreti più reconditi. Il suo fisico asciutto mi sovrasta. Siamo l'uno di fronte all'altra. Mi rendo conto che é quasi maggiorenne, eppure è molto più maturo di tutti i ragazzi ventenni che ho conosciuto. Mi tocca il mento. «Cosa c'è?»

Sono turbata. Ammutolita da quel tocco leggero, emozionata dalla sua vicinanza, inebriata dal suo profumo, che sa di sole e liquirizia. Ed è così buono...
«Posso fidarmi di te?»
Si avvicina ancora di più.

«Certo. Non sono venuto fin qui per portarti a cenare? Non sembro forse tenerci a te?»
Mi fa un inchino. Sorride di gusto e mi strizza l'occhio. Adoro questo suo animo giocoso.
Poi si fa serio.
«Vorrei poter spazzare via quei brutti ricordi. Mi spiace.»

«Quali ricordi? Io ho già dimenticato», lo dico mentendo anche a me stessa, ma la verità è che il ricordo sta cambiando e dentro la mia testa prevale lui, il principe, l'angelo custode, piuttosto che il ribrezzo per una creatura così spregevole come David.
Mi accarezza il braccio, confortato dalle mie parole, poi fa per allontanarsi.
«Un'ultima cosa. Mi mentiresti mai, omettendo di rivelarmi qualcosa che mi riguarda? Era questo che volevo dire prima. Posso contare su di te? Odio le bugie, voglio potermi fidare», dico tutto d'un fiato, con un urgenza che sembra non appartenermi.

Noto come un piccolo bagliore, una luce impercettibile che lo fulmina, quasi per un attimo. E quell'istante sembra un'eternità. Per chi, come me, ha bisogno di certezze, per chi come me non riesce più a fidarsi del prossimo, non almeno dopo quello che è successo a mio padre, quella frazione di secondi appare interminabile, pesante, oscura come la notte d'inverno.

«Certo che puoi contare su di me.»
Così, proferendo quelle parole, si allontana. Ma quanto avrei voluto guardarlo negli occhi mentre le pronunciava. Lo so, sa di contraddittorio. Credo nella sua correttezza, nella sua lealtà e nella sua integrità, ma c'è qualcosa di più grande che sembra scivolarmi tra le mani, qualcosa che ancora non afferro. Sono convinta non dipenda da lui, che ci sia dietro la mano di qualcun altro, ma forse è una mia fissa e io sto ingigantendo tutto. Non mi resta che scoprirlo. Oh, stiate pur certi che lo farò. Parola di Rose.

Spazio autrice

Sbaglia Rose a farsi tutti questi problemi?
Cosa fareste al suo posto?
Avevate capito che era un sogno?
Alla prossima.

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