14 Risvegli

Lui sarebbe stato sempre il mio cielo, e io la sua stella. Avrei illuminato parte del firmamento, una piccola parte, ma avrei brillato per lui, soltanto per lui, soltanto per papà. Avremmo scalato montagne senza stancarci, per sempre insieme, fianco a fianco.

Con ancora la sua immagine negli occhi, e nel cuore, trasalgo.
Mi tende la mano ...
«Rose!»
Sembra sempre più vicino.
«Rose!»
Posso sentire il suo amore, persino il suo tocco. Ed è reale, come la mano tra i capelli, il calore sulle gote.
Sono forse in paradiso?
Eppure ho le labbra insanguinate, e le lacrime, asciugate, tirano la pelle del viso.
Ma lui è qui, è ciò che conta.

E con questa convinzione il risveglio è più lieto.
Il sole è accecante ed è puntato su di me. No, un momento, non è il sole, è la luce di un lampione. Le immagini ora sono più nitide e il ricordo si fa strada dentro, nella parte più profonda del mio animo, pronto a spiazzarmi e a incatenarmi a terra.
Piergi che solleva la testa di David, sbattendola al suolo.
Piergi che mi guarda, per un attimo.
Vorrei alzarmi e andarmene, ora come allora, ma il mio corpo non vuole muoversi. Vorrei potergli dare una mano.

Lo rivedo, lo tiene per la maglietta e lo strattona. Lo, riconosco, è David. Un'aura scura, un angelo nero.
E il mio corpo è fermo, sepolto sotto una fitta coltre di grigio e squallore... e i miei occhi vedono, e giudicano, con lo sguardo di chi vuol dimenticare quell'orrore...
Ma quello è sempre lì, come un macigno sul petto, deciso a sorprendermi e a strapparmi in tanti piccoli pezzi.

È una sofferenza sconfinata perché inaspettata.
Era un amico, un amico.
È così, sento il terreno sotto le braccia venir meno, e continuerebbe a tirarmi giù, inghiottendomi, se non fosse sopraggiunto lui a salvarmi.
C'è sempre una spiegazione, già, papà, per ogni azione, ma non una giustificazione al male, no.
Lo vedo sorridente e solo adesso capisco che non è mio padre, è Piergi.
Solo ora mi interrogo, soltanto ora, e traggo le mie tristi conclusioni.
Cosa avevo creduto di fare? Di sconfiggere da sola quei mostri? E come sarei uscita da tutto questo? Ero stata una sciocca, imprudente, questo ero stata. Cosa volevo dimostrare? Avevo messo in pericolo il mio avvenire e forse anche quello di Piergi. Avrebbe reagito alla stessa maniera se quello lotta non fosse avvenuta sul prato, ma intorno alle pietre vicino al sentiero? Per un attimo mi domando se avrebbe fatto la medesima cosa.
Le conseguenze sarebbero state terribili, irreparabili.

Tanti interrogativi.
Un dolore s'irradia lungo la schiena, poi il vuoto.

Piergi era reale? Sì, per fortuna lo era, e dava colore a quel buio immenso, ritinteggiando sorprendentemente il mio avvenire, scacciando via quelle ombre che forse mi avrebbero perseguitato per sempre. Era reale sì, prima e dopo... e adesso.
E me ne accorgo all'ennesimo tocco, timido e fresco. Mi bagna il viso e la nuca.
«Rose, sono qui.»

E quelle parole sono acqua che placa l'arsura, sono il vento che spazza le nuvole, sono il sereno dopo la burrasca. Quelle parole dicono altro, raccontano molto di più... che non sono più sola, che non ci sono i mostri più con me, che c'è ancora vita, una strada da percorrere, in salita, ma c'è ancora luce.
Mi volto a guardare, incredula, stordita.
«Non c'è nessuno, non più», mi tranquillizza.
Ed è vero, siamo soli, io e lui.

«Devi fare in fretta, potrebbero ritornare e allora non so se io...»
Stringo la sua mano e mi alzo. Sento tutto il peso del mondo su di me. Ho male dappertutto, ma sono salva, sfuggita alle grinfie del mio carnefice. E guardo lui come se lo vedessi per la prima volta.

«Cosa c'è?», mi domanda mentre l'osservo come fosse un fantasma.
«Niente, niente», rispondo. Vorrei dirgli dell'altro, vorrei ringraziarlo, ma c'è una strana complicità tra noi, mista a timidezza. Mi ha salvato.
Piergi mi ha salvato. E c'è tanta vergogna e rabbia... e... io mi sento colpevole.
Se solo avessi agito diversamente...

«Io non so come...» avanzo ancora impaurita.
«Non devi dirmi niente. Tu avresti fatto lo stesso per me.»
Ed era vero, avrei fatto lo stesso per lui, per chiunque si fosse trovato in una situazione di pericolo, persino per quell'odioso di suo fratello.
Non riesco a camminare, devo aver preso una storta alla caviglia durante l'interazione poco amichevole. Fortunatamente non ho gonfiore, nessun ematoma.

«Ti fa male?» mi chiede.
«Sì», la voce rotta, la mente ancora in subbuglio.
Si china a guardarmi.
«Posso?» ma già è lì, con le sue mani fresche su di me. Nessuno mi aveva sfiorato mai, tranne mamma. Un tocco delicato, quasi impercettibile.

«Metti il braccio attorno al collo, ok? Così farai meno fatica.»
Ma mentre avanziamo, sentiamo qualcuno vociferare, così, di scatto, Piergi mi prende in braccio e si nasconde dietro un albero. Lo guardo atterrita. Siamo così vicini. Sento il cuore galoppare nelle tempie, in gola. Sono loro, gli amici dell'infimo. Cercano, guardinghi, non si sa cosa, poi vanno via.

Solo in quel momento mi accorgo che il braccio di Piergi sta tremando, forse per la tensione.
Gli faccio cenno di mettermi giù ma lui è ostinato, così mi accontenta solo dopo essersi accertato che non c'è nessun pericolo. E fa bene: qui l'erba è molto secca e lo scricchiolio dei nostri passi avrebbe tradito la nostra presenza. Riprendiamo da dove avevamo lasciato.
Ho molta paura, io non vorrei affrontare nonna, mamma.
Vorrei solo dormire.
Vorrei solo dimenticare.
«Sai come è fatta mia madre, se lo sapesse, insomma io...»

«Stai tranquilla. Potremmo sempre dirle che sei caduta dalla bici e che l'hai lasciata dinanzi al portico di Pavel, magari appoggiata a un albero.»
«Sì, potremmo dirle così», asserisco, mentre lo guardo negli occhi, stupita da quello strano algoritmo che si stava creando tra noi, che ci portava a una soluzione, dissolvendo ogni incomprensione.

«Senza dirle del resto, che hai sentito, che...»
«Che? Continua!» lo prego.
Che io so, insomma delle bambine, del soldato... È questo che vuoi dirmi?
Ora è lui a fissarmi. Le sue iridi, nere come il carbone, sono ridotte a due fessure. Scrutano, indagano, scandagliando ogni angolo della mia coscienza.

«Che hai preso la scelta sconsiderata di seguire quel mascalzone.»
Non è vero, non è questo che volevi dire. Ne sono sicura.
«Tu sai che io so...» avanzo convinta.
«Cosa?! Che vuoi dire, io...»
«Tu sai benissimo cosa intendo.»

«Eccovi qui, finalmente!»
Tutto s'infrange all'improvviso: il nostro momento verità, la resa dei conti. Sento che c'è qualcosa d'importante che devo sapere.
È una sensazione che ho da un po', un sussurro che riempie la mia testa di vocine allusive, cattive e costanti.
Rose, non è tutto qui. Rose, tu non sai.
Già, "tu non sai nemmeno chi sei".

Ma Pavel è un mago del "giusto in tempo". Sincronismo perfetto. Lui c'è sempre, anche quando non dovrebbe esserci.

«Cosa diavolo hai combinato, piccina?»
Ma più che chiederlo a me, sembra domandarlo a Piergi.
«Allora? Siete stati investiti da un camion? Oh, dico a voi! Perché non rispondete?»
Ci guardiamo prima di prendere la parola.
«Veramente noi, cioè io...»
«Cosa ti prende ragazzo?»
Lo ammonisce così forte, che il rumore della pacca sulla spalla riempe l'aria di botto.
Piergi barcolla, sotto la spinta poderosa di Pavel.
Penso a lui, a quello che è appena successo.

É così che mi ha trovato, vedendo la bici dietro l'albero. È così che ha capito che io li ho sentiti parlare, lui e Pavel, di me, di mia madre.

È stato un bene non aver preso la bici...
In qualche modo lo avevo presagito.

«Cosa hai fatto ragazza? Alle labbra, al ginocchio?»
Già, cosa ho fatto?

Racconto tutto a Pavel, dell'aggressione, non del tentato...
Non ci riesco a ripercorrere quei momenti.
È inferocito, non l'ho mai visto così. Per poco non rischia un infarto.
«Dopo quello che mi hanno fatto... dopo tutto, tu ti fidi e li segui? Non sei più una bambina! Un po' di senno? Come ti è venuto in mente di andare con quel tipo? Come?» mi rimprovera, lanciando in terra il cappello a falde larghe che indossa. Non rispondo. Lo fa Piergi per me.

Ripercorriamo la strada, parte della stessa, a piedi. Poi accetto la proposta di Pavel di passare da lui: sempre meglio che denunciare quei quattro. Non voglio che questo gli si ritorca contro, non lo sopporterei, per cui conveniamo insieme, per non far preoccupare i miei, di fare un salto da lui per darmi una ripulita. Troveremo delle scuse, con Maxim, con mamma. Mi faccio una doccia. L'acqua calda è ristoratrice, ma non placa il mio malessere, non leva via l'odore, impresso nell'anima. Resto la sera da lui, con Piergi, senza dire una parola. Dopo la doccia crollo sul divano, riuscendo a ingurgitare soltanto qualche boccone di quello che era stato preparato.

Al rientro mia madre mi aspetta dinanzi al portico. Pare una iena, inferocita come non mai.
«Ma, con la scuola che hai da frequentare, ti credi tanto furba da dare una mano a Pavel? Per il ricovero potevamo pensarci anche noi, il prossimo week end! Che fretta c'era?»
«È colpa mia», s'intromette Piergi.
«Sì, l'ho convinta io», insiste lanciandomi un'occhiata. Una nuova luce nel volto: posso vederla.
Vedo mamma perplessa e incredula. Ha lo stesso sguardo che mi rivolge Andrej.
Farti gli affari tuoi, no eh?

Ma, a dire il vero, lui sembra più incavolato con suo fratello. Lo guarda diffidente e dubbioso.
«Hai tutti i vestiti strappati? Ma cosa...»
Non le do il tempo di finire. Corro in camera mia. Sono troppo stanca, depressa.

Vorrei evitare di essere così fredda con lei, ma tutto sembra marciare contro di noi, inevitabilmente.
Mi spiace mamma, scusami!
Sono addolorata, ma non voglio che si accorga del mio labbro spaccato e della caviglia. Si preoccuperebbe troppo e mi farebbe mille domande. Domani penserò a una scusa, domani si vedrà.

Spazio autrice

Piergi, la salvezza.
Purtroppo i rapporti cambiano, possono cambiare, e Rose si trova a fare quello che mai avrebbe dovuto fare: fidarsi.
Perché David è il male.
Se fosse stata più razionale forse questo non sarebbe successo.
Cosa ne pensate di Piergi?
State entrando più nel personaggio?
Spero, col cuore, che il capitolo vi sia piaciuto.
Se vi sta piacendo il libro, pubblicizzatelo. Ne sarei contenta. Fatemi sapere!

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