13 Bugie
"Festeggiare."
Non ci avevo mai pensato. Non c'era nulla di cui essere felice nel partire, ma poteva essere una bella idea. Salutare la mia bella terra, con l'augurio di ritornarci presto...
Sarebbe andata esattamente in questo modo: sarei partita e avrei fatto presto ritorno, con un altro spirito, con un enorme bagaglio d'esperienze.
È così, con questa nuova luce negli occhi, mi avvio più fiduciosa a casa, guardando al futuro con un altro sguardo.
Sto ripercorrendo il sentiero, quando metto le mani in tasca e mi accorgo della foto e mi viene in mente di non aver chiesto a Pavel delle bambine e del misterioso soldato. Ormai è tardi, me ne rendo conto. So che dovrei tornarmene a casa, ma i miei piedi hanno altri progetti e mi ritrovo davanti alla dimora del mio vecchio amico. La porta è aperta, ma lui non c'è. Lo sento parlare nel retro dell'abitazione, ma prima che io possa aprir bocca mi rendo conto che non è solo, c'è Piergi con lui.
Il tono che hanno non mi piace. Pavel ha la voce grave. Lo vedo di spalle, mentre Piergi è di fronte a me; posso osservarlo bene anche se lui non mi vede. Ha le mani in tasca e continua a camminare avanti e dietro. Non l'ho mai visto così, non sembra lui.
«Come è potuto succedere?»
«Io non lo so, quelle foto dovrebbe averle la madre, non lui, mio fratello. »
Le foto? Cosa c'entra mamma con quelle foto?
«Avvertirò Hana, di fare più attenzione.»
Mamma sapeva...
Mamma mi nascondeva qualcosa.
Rabbrividisco quando il loro sguardo si indirizza verso di me. Per fortuna nessuno mi ha visto, ma mi scopriranno presto se non troverò il modo di mandar via Funny. È qui, vicino a me, viene a leccarmi i piedi e io la scaccio in malo modo. Non vuole andarsene. Allora le do uno dei biscottini che porto con me nello zaino, mentre, acquattata tra i cespugli, per non farmi scorgere, cammino rasente al muro. Decido di svignarmela quanto prima, ma non voglio rischiare di essere scoperta battendo in ritirata adesso. Sono troppo esposta. Tutt'intorno a me è quiete. Mi trascino a carponi oltre, dove sarò meno visibile, quando vedo dinanzi a me il sorrisetto di David che mi spaventa a morte.
«A quanto pare abbiamo compagnia», mi sussurra nell'orecchio. La sua voce è viscida, come il suo aspetto.
«Se non vuoi che i tuoi amici pensino male di te, ti conviene seguirmi.»
Mi strattona e mi tira lungo la strada. Avrei fatto meglio a tornarmene a casa. Penso che in giro devono esserci i suoi amici e infatti non tardo a scorgerli: gente poco raccomandabile. Schiocco un'occhiata alla mia bici, piazzata dietro un albero dinanzi all'entrata, e poi a David, ma lui è troppo concentrato su di me per accorgersene e per intuire i miei piani. Non so se sia un bene. Rinuncio a prenderla, tuttavia, anche se mi ci sarebbe voluto un attimo. Per un momento avevo pensato di tentare di darmela a gambe, ma non sarei mai riuscita a fuggire e loro mi avrebbero raggiunto comunque. Con un ghigno, il perfido tira fuori qualcosa dalla tasca. Una cordicella.
«Voglio solo trovare un accordo, per il tuo amico, niente di più. Perché tu ci tieni a lui, vero? Sta' tranquilla, non ti farò del male.»
Prima che io possa rispondere mi lega i polsi e mi fa salire dietro la sua bici. Me ne pento, ma è troppo tardi. Vengo bendata e imbavagliata con un fazzoletto. Ho paura, ma sono solo dei ragazzi, solo dei ragazzi, e poi io conosco la madre di David. Non faremo niente di più che una chiacchierata, una stupida chiacchierata.
Faccio fatica a non cadere dalla bici in questa posizione e mi lamento, tentando di gridare, ma nessuno può sentirmi, nessuno.
Sento l'odore nauseabondo di David.
«Smettila di frignare.»
Arriviamo e con mio grande stupore siamo nel bosco, niente di più che il sentiero che imbocco sempre per arrivare prima a casa.
Mi liberano i polsi e mi affretto a togliere via il bavaglio dalla bocca.
«Tutto qui? Voglio dire tutta questa sceneggiata per portarmi qui? Cosa vuoi da me?»
L'osservo bene, ostentando una sicurezza che non so da dove mi venga. Lui, il vigliacco, cammina sicuro, forte della presenza dei suoi amici. Visto così, da dietro, sembra un bambino. Si volta a guardarmi negli occhi. La cicatrice che ha vicino alle labbra rende il suo volto più cattivo. È basso, tarchiato, la faccia larga e le folte sopracciglia nere sono di una tonalità che mal si armonizza con il resto dell'incarnato, rendendogli il viso rozzo e disordinato: un immagine ben lontana dal ricordo che avevo del bimbo sdentato e simpatico che incontravo spesso alle prove di canto. Ha il volto macchiato e butterato.
Vorrei scongiurarlo di lasciarmi andare, pretendere che mi spieghi perché ha reagito così col signor Pavel e perché è così cambiato, ma sono troppo umiliata dal modo in cui sono stata trattata - addirittura legata - per intrattenere un dialogo con lui.
Dopotutto non siamo più gli amici di un tempo, dopotutto non lo riconosco più. Mi perdo in quello sguardo torvo, duro, impenetrabile. Se potessi gli sferzerei un pugno sul naso, piuttosto.
«Vedi, quelle come te mi fanno incazzare, semplicemente incazzare. Dovresti essere dalla nostra parte, invece tu te ne stai da quella sbagliata.»
«Cosa dici David, cosa? Dovrei andare in giro a far del male a delle persone come fai tu? È vero quello che dicono... che ti diverti a far del male al prossimo, che incoraggi gli arresti e le perquisizioni? Che fai la spia alla STB? Mai, mai, non starò mai dalla vostra parte, mettitelo bene in testa. Non ti riconosco più! Non sei quello che immaginavo saresti diventato. Se mi hai portato qui per questo allora faresti bene a fartene una ragione: è tutto tempo sprecato. Non diventerò mai come voi, come te.»
«E perché? Come dovrei essere, sentiamo! Sei brava tu a parlare, piccola puttanella. Ci sono delle regole da rispettare. Il regime...»
Quegli insulti sono il preludio di un assalto, l'anticamera dell'orrore. Ma non mi perdo d'animo...
«Quali regole, dimmi? Sei tu il primo a non rispettarle e a farti giustizia da solo, contro il tuo popolo, a favore dei russi», domando per prendere tempo, per scongiurare l'irreparabile.
Mi viene da piangere... perché sono quelli come lui che hanno contribuito a rovinare il nostro paese. I sovietici, il comunismo e poi i traditori come lui, che sono peggio dei russi... si avvantaggiano alle spalle degli altri, rinnegando le loro origini. La feccia della feccia.
«Perché fai questo? Perché tradisci la tua gente? Pavel è uno di noi!»
«E tu perché tradisci il tuo popolo? Sentiamo, perché tu...»
Mi si avvicina famelico. Posso vedere persino la cicatrice e tutte le sue imperfezioni...
Le narici aperte, gli occhi confusi. È letteralmente sconvolto...
Dice cose senza senso.
Io che tradisco il mio popolo?
«Ringrazia mia madre se non parlo...»
«Parla invece, parla, non ho nulla da temere io, ho la coscienza pulita, non come te che sei frustrato, hai tutto e ti diverti facendo del male al prossimo! Mi fai schifo! È questo che ti dà la carica...»
Dovrei far silenzio, insomma... sono sola qui insieme a questi, ma non riesco a trattenermi.
«Zitta, zitta! Taci...mi scoppia la testa a sentirti blaterale.» Lo vedo, ma più distante di prima.
«Forse se mi ti facessi, mi calmerei. Cosa dici?»
Cambia tono e sguardo. Uno scintillio malvagio gli illumina il viso. Piega il collo di lato, in un rituale insolito. Sembra un toro pronto all'attacco, e io la sua povera preda.
Gli sferro un colpo basso, proprio lì.
«Non avresti dovuto, piccola stronzetta. Adesso ne ho fin sopra le scatole.»
«Hai bisogno?» sento chiedere dagli amici, e per un attimo ho la sensazione, quasi la speranza, che vogliano aiutare me, ma rimane tale...
«Andate a farvi fottere, idioti. Via, viaaaa!»
E invece li vedo correre, i codardi, tra risatine e incredulità.
Li vedo correre mentre io sono completamente nel panico. Non ho nulla con me, per difendermi, soltanto lo zaino. Corriamo tra gli alberi.
È difficile prendere velocità tra le foglie e i rami, e i miei piedi sprofondano spesso tra cumuli di erba secca, marcia e umida. Devo raggiungere la strada.
Ho paura papà, tanta paura. Perché? Non ho fatto nulla di male!
«Vieni qui bella, vediamo se poi sarai in grado di soffiare ancora»,
mi stringe la caviglia e continua a parlare dopo che gli ho affondato le unghia nella carne viva, con tutta la forza.
«Stronza, ora mi hai stancato!»
Guadagno qualche passo dopo avergli gettato terra e foglie sulla fronte, e corro, grido con tutta la forza che ho, urlo a squarciagola. Nella mente ho una sola idea, un solo pensiero: uscire da quel sentiero e lanciarmi in strada.
Negli occhi solo il terrore.
No, non è un amico, no.
Attorno a me il silenzio e quella follia che mi spacca il petto.
Attorno a me soltanto il rumore della paura e il nostro ansimare.
E ci sono quasi riuscita, ho quasi superato quel punto che segna il confine tra la vita e la morte, quando le sue braccia sui fianchi mi fanno perdere l'equilibrio...
Così inciampo, sui miei stessi passi.
È finita, mi dimeno tra il suo corpo sudato e lurido. Scalcio e grido, ma è tutto inutile. È una guerra di schiaffi e pugni, è una lotta impari, destinata al più triste degli eventi, finché, stremata, sono costretta di spalle, sovrastata dalla sua forza.
È a cavalcioni su di me. Non mi arrendo, il dolore è accecante.
E pensare che una volta eravamo amici ...
Una volta.
Sono in lacrime, umiliata e confusa, costretta, come un animale.
«Ti prego, ti prego, non farlo, ti prego, nooo», lo supplicò, come non ho mai fatto in vita mia.
«Stai zitta, vedrai che ti piacerà piccola, poi griderai, solo dal piacere.»
Mi blocca, non riesco a muovermi. Lo sento slacciarsi i pantaloni.
È la fine, povera me.
Ho pietà di me, compassione...
È stranissimo. Chiudo gli occhi per dimenticare, mentre, mio malgrado, tento di divincolarmi.
È in quel momento che mi fa girare, vedo gli alberi e i pali della luce al contrario. Lo specchio del cielo, l'unica cosa bella... e il suo volto su di me, il volto di mio padre che sembra chiamarmi a lui.
"Sii forte Rose. La gente non è come sembra, c'è sempre una spiegazione."
Anche a questo, papà?
Mi gira tutto. Cerca di togliermi i pantaloni... ma io mi oppongo, con tutta me stessa.
«Mi fai schifo, schifo, lasciami!»
«Sì bella, così mi piace di più.»
Poi mi colpisce, forte, con un mal rovescio. È in quel momento che lo vedo, i capelli lisci e neri.
Come un angelo.
Proprio quando tutto sembrava concludersi, invece...
Gli occhiali schizzano in terra, i suoi occhiali.
Cerco di mettere l'immagine a fuoco; sono ancora stordita dallo schiaffo. Apro gli occhi ma, prima che riesca per bene a capire, sento di scatto alleggerirmi. Sono ancora riversa a terra, ma libera. David è steso e Piergi è su di lui, in preda a una rabbia inaudita: le sue iridi nere come la pece, riflessi di un'ira incontenibile, espressione di una violenza primordiale.
Spazio autrice
Ancora una volta David...
Ancora una volta Piergi.
L'angelo e il demonio, il bene e il male.
Rose, nella sua ingenuità, si fida. Perché un amico non può farti del
male.
Cosa avreste fatto al suo posto?
Spero vi sia piaciuto il capitolo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top