Scheletri nell'armadio

Quando mi risvegliai, mi trovai di fronte sette paia di occhi, otto contando David. Si erano disposti tutti attorno al mio letto e per quanto mi facesse piacere vederli mi sentivo un po' mancare l'aria.

«Ehi» bisbigliai tossendo per schiarirmi la voce.

Iniziarono a parlare tutti insieme, ognuno dicendo qualcosa di diverso, facevo fatica a seguire quello che dicevano e soprattutto stavano facendo una confusione terribile.

Mi guardai intorno, spaesata, cercando di concentrarmi su uno di loro per capire cosa stessero dicendo.

«Ragazzi!» urlarono a un certo punto.

Sobbalzai, mentre i miei fratelli creavano un varco dal quale intravidi il medico.

«Dovete uscire, tutti, devo visitare vostra sorella.»

I miei fratelli e David provarono a replicare, ma il dottore riuscì a cacciarli dalla stanza.

«Uff» mi disse sorridendo e facendo finta di togliersi il sudore dalla fronte. «Sono state due settimane di inferno, come fai a sopportarli?»

«Anni di esercizio» risposi ridacchiando a mia volta.

Il dottore mi sorrise e si avvicinò a me. «Come stai?» mi chiese.

Cercai di tirarmi su per mettermi a sedere, ma non ci riuscii. «Bene» risposi, mentre ancora cercavo di muovermi.

«No, no!» mi bloccò il dottore. «Ferma.»

Si piegò verso di me e fece in modo che lo schienale del letto si alzasse così che potessi stare seduta senza sforzi.

«Oh» farfugliai guardandomi attorno.

Il dottore mi visitò: mi misurò la pressione, si accertò che tutto fosse a posto, e mi fece qualche domanda per assicurarsi che la mia memoria fosse normale. Il coma a volte può lasciare tracce indelebili sulla nostra vita, ma, per fortuna, per me non era stato così.

Respirai a fondo quando mi disse che era tutto okay.

«Ti dico cosa abbiamo fatto al tuo corpo» mi disse sedendosi sul bordo del letto.

Il dottore non era molto giovane: aveva i capelli brizzolati, era bassino, ma sembrava avere un aspetto decisamente amichevole.

Annuii temendo che mi avrebbe detto qualcosa che non mi sarebbe sicuramente piaciuto.

«Dopo l'incidente hai riportato gravi danni alla schiena, una vertebra della spina dorsale si era spostata dal suo asse, ti abbiamo operata d'urgenza e, essendo tu molto giovane e una ballerina, abbiamo creato, per permetterti ancora di ballare, un'impalcatura che sostenesse la colonna vertebrale.»

«Che vuol dire un'impalcatura?» chiesi, perplessa.

Il dottore si alzò, andò a prendere qualcosa ai piedi del letto, poi mi porse una radiografia.

Era la radiografia della mia colonna vertebrale e, ai lati, vicino alla vertebra rotta, avevano sistemato quelli che a me sembravano dei chiodi per fissare la frattura. Era impressionante e strano sapere che dentro di me c'era quella roba.

«Quindi... così potrò tornare a ballare normalmente?» chiesi, dovevo saperlo subito.

«Beh...» il dottore fece una pausa e mi tolse la radiografia di mano. «Per un po' dovrai portare il busto: deve aiutarti a sostenerti, almeno per il primo mese fuori dall'ospedale, poi potrai tornare lentamente a tutto quello che facevi prima» concluse la frase sorridendomi appena.

Un mese con il busto, poi lentamente sarei tornata a ballare. Mi morsi il labbro pensando già che non avrei partecipato al saggio di fine anno e che non avrei interpretato Giulietta.

Il medico si mosse dalla sua posizione e guardò la vetrata dalla quale era possibile vedere la stanza: c'erano i miei fratelli attaccati, in attesa che gli dessero il permesso per entrare.

Il dottore sospirò scuotendo la testa, esasperato: dovevano averlo fatto penare tanto in quei giorni.

«Ti lascio alla tua famiglia» mi disse, poi aprì la porta e, senza neanche dargli il tempo di uscire, i miei fratelli e David accorsero nella stanza.

***

Erano passati tre giorni dal mio risveglio e io ero già stanca di starmene in quel letto a far nulla. I miei fratelli si davano il cambio per tutto il giorno, ma in alcuni momenti ero sola in quella stanza. Per farmi compagnia, mi avevano portato il computer, dei libri, dei puzzle, ma mi sentivo comunque triste. Volevo ritornare al più presto a casa mia, alle mie cose, alla mia vita.

La maggior parte del tempo lo trascorrevo nel letto, principalmente perché odiavo mettermi quel busto: avevo bisogno sempre dell'aiuto di qualcuno per metterlo e mi faceva sentire incapace.

Quel giorno, Giovanni, Francesco e David mi stavano raccontando come stavano andando le cose alla scuola di danza.

«Manchi a tutti» mi disse Giovanni.

Ridacchiai. «Non credo proprio, mi odiano tutte lì.»

«A noi manchi tanto» mi disse David.

Gli sorrisi. «Chi farà Giulietta?»

«Corrado non ha ancora deciso» mi disse Giovanni.

«Probabilmente anche io sarò spodestato del mio ruolo» disse David con tono triste.

Lo guardai comprensiva, per una parte ero felice che non ballasse con altre ragazze, ma per un'altra mi dispiaceva che non fosse più il protagonista e che qualcun altro potesse prendere anche il suo posto.

Purtroppo, però, Corrado non aveva scelta: non sarei mai riuscita a riprendermi in tempo per il saggio.

«Raccontatemi qualcos'altro» dissi ai miei fratelli e a David, volevo che mi raccontassero qualcosa di divertente e che mi aiutasse a non pensare.

«Flora vorrebbe venirti a trovare» mi disse Francesco.

«Ah, sì? Che carina» dissi sorridendo.

«Sì,» disse Francesco guardando altrove, «poi magari appena starai meglio la invito a casa qualche volta.»

Francesco cercò di fingere nonchalance, ma Giovanni capì subito.

«Ce la vuoi presentare come la tua fidanzata ufficiale?»

«No, cioè, che c'entra?» farfugliò Francesco.

«No?» lo incalzò Giovanni.

«È solo una cena, poi magari andrò a mangiare a casa dei suoi, ma questo non vuol dire che ci stiamo fidanzato in casa.»

«Noooo!» esclamammo nello stesso momento io, Giovanni e David.

Ridemmo sonoramente mentre il povero Francesco arrossiva per l'imbarazzo. A interrompere le nostre risate ci pensò Donato, che entrò mettendo solo la testa all'interno della stanza.

«Posso entrare?» chiese, serio.

«Certo!» esclamai ridacchiando ancora.

Donato aprì completamente la porta e al suo fianco vidi una donna: era vestita in modo molto elegante, aveva un tailleur a gonna e una camicia bianca e aveva con sé una valigetta. Sembrava un avvocato o qualcosa di simile.

Donato era serio accanto a lei e mi sembrava che fosse anche un po' preoccupato.

«Ragazzi,» disse a Francesco, Giovanni e David, «ci potreste lasciare da soli?»

I ragazzi si alzarono silenziosamente e si avviarono verso la porta, prima di andare via David venne a darmi un bacio sulla bocca.

Quando furono usciti, Donato chiuse la porta alle sue spalle e mi guardò. «Martina, lei è...»

«Posso presentarmi anche da sola, grazie» disse la donna a Donato. «Vorrei parlare da sola con Martina se non le dispiace.»

«Veramente, io...»

«Cinque minuti» insisté lei.

Donato annuì, fece un respiro profondo e a malincuore uscì dalla stanza. Che stava succedendo?

La donna si accomodò sulla sedia che prima occupava David e mi guardò, poi mi sorrise.

«Come stai?» mi chiese.

«Bene,» risposi, «lei è?»

«Oh,» rise, «hai ragione, non mi sono presentata. Mi chiamo Amanda Rossi e sono un'assistente sociale.»

Quelle ultime due parole fecero scattare un campanello d'allarme nel mio cervello, gli assistenti sociali ci perseguitavano ormai da quando i nostri genitori erano morti, molto spesso venivano a controllare che fosse tutto sotto controllo in casa nostra.

«Sono qui solo per farti qualche domanda, per accertarmi che stai bene. Sai, è la prassi» provò a rassicurarmi, ma iniziai solo ad agitarmi di più.

Annuii comunque, aspettando che cominciasse con le domande.

Lei mi sorrise e aprì la sua valigetta, estrasse dei fogli, una penna e poi ritornò a guardarmi.

«Allora, cosa ricordi dell'incidente che hai avuto?»

Riflettei, ricordavo praticamente tutto, solo che dovevo decidere cosa dirle e cosa no.

«Ricordo che ero in mezzo alla strada e una macchina mi ha investito» le dissi.

«E perché eri in mezzo alla strada?»

«Stavo correndo.» Mi morsi il labbro pentendomi subito di averlo detto.

«Perché correvi?»

Correvo perché Simone e Donato stavano facendo a botte e io non volevo più vederli. «Non lo ricordo» dissi, alla fine.

Lei annuì e appuntò qualcosa sul foglio.

«I vicini di casa, il giorno del tuo incidente, hanno detto di aver sentito delle grida in casa vostra, e hanno visto due dei tuoi fratelli fare a botte, non te lo ricordi?» chiese.

Scossi la testa in segno di diniego.

Lei mi guardò, poi tornò a guardare le carte. «Donato Leonardi è il tuo tutore legale, giusto?»

«Sì.»

«Ti ha mai fatto del male? Fisicamente?»

Pensai allo schiaffo che mi aveva dato quel giorno e cercai di cacciare il più velocemente quell'immagine dalla mia mente. «No» dissi.

«Ne sei sicura?»

Deglutii. «Sì.»

Scrisse ancora qualcosa sui fogli, sospirando. «So che non vivi più a casa dei tuoi genitori, ma con il tuo tutore legale e...» lesse sui fogli. «Mirko Massa?»

«Sì. È il suo fidanzato.»

«Il fidanzato di chi?»

«Di mio fratello.»

«Oh...» Fece una pausa. «E che tipo è?»

«È una brava persona e mi vuole molto bene.»

Era l'unica verità che avevo detto fino a quel momento.

«Sei contenta di vivere con loro? O preferivi restare a casa dei tuoi?»

«Sono contenta.»

«Bene.» Scrisse ancora qualcosa, «Parliamo un po' dei tuoi fratelli, ti va?»

Avevo alternative?

«Okay.»

«Giovanni qualche mese fa è andato in America ed è rimasto lì per un po', come mai?»

La scena di Donato che picchiava Giovanni, perché si era fatto una minorenne, ripiombò nella mia mente. Non avevo mai riflettuto attentamente su alcune cose riguardanti la mia famiglia, ma visti sotto una lente d'ingrandimento sembrava che avessimo molti scheletri nell'armadio.

«Perché...» Mi presi una pausa e respirai. «Doveva fare un corso di aggiornamento di hip hop, noi abbiamo una...»

«Una scuola di danza, giusto?»

«Sì.»

«E i tuoi fratelli insegnano.»

«Sì.»

«Come sono con gli allievi? Severi?»

Pensai a quanto ci bacchettava Corrado durante le lezioni. «Giusti» dissi.

Amanda restò in silenzio a fissare ancora quelle carte. «E Ilian Sakiridov, invece, chi è?»

Perché mi stava chiedendo di Ilian? Cosa teneva scritto lì davanti?

«È...» Come potevo spiegare cosa era Ilian per me e per la mia famiglia? «È il fratello del mio fidanzato» farfugliai.

«Ma la tua famiglia lo conosce da molto? Altrimenti non si spiega...»

«Cosa non si spiega? E comunque sì, Ilian e i miei fratelli sono amici da anni.»

«Il prestito.»

«Quale prestito?»

«Quello che ha fatto il signor Sakiridov alla vostra famiglia sette anni fa.»

Non ero a conoscenza di nessun prestito, non avevo idea di cosa stesse parlando quella donna. Ilian aveva prestato dei soldi ai miei fratelli? Eravamo in debito con lui?

Feci finta comunque di avere il controllo della situazione. «Ah, quello» dissi.

«Come mai vi ha fatto questo prestito così ingente?»

«Sono cose personali e io non sono la persona adatta per risponderle, lo sa che sono minorenne?»

Sembrò essere presa in contropiede. «Certo, hai ragione.» Annuì. «Ne parlerò con i tuoi fratelli, allora» mi disse.

Posò le sue carte nella valigetta e si alzò dalla sedia. «È nostro dovere controllare famiglie come la tua» mi disse.

«Può stare tranquilla, stiamo bene.»

Lei mi fece un mezzo sorriso, poi uscì dalla stanza lasciandomi a riflettere su quanto mi aveva detto.

***

Eravamo solo io e David nella stanza, l'orario di visita stava finendo e di lì a poco sarei stata di nuovo sola.

«Vuoi che ti chiami su Skype quando torno a casa?» mi propose David.

«Non devi studiare?»

«In teoria...»

«David!» lo rimproverai.

Lui rise.

«Stai studiando?» continuai a chiedere, ma stavolta in tono più preoccupato di prima. Avevo promesso alla madre che lo avrei aiutato a studiare, ma non ero riuscita ancora a mantenere la promessa.

«Sì, lo sto facendo.»

«Sul serio?»

«Sì, domani mi faccio interrogare in italiano.»

Sorrisi.

«Va bene, se vuoi una mano a ripetere allora ci sentiamo dopo.»

«Certo» disse sorridendo.

Fissò l'orologio, poi si guardò frettolosamente intorno e venne più vicino a me. Mi prese il viso tra le mani e mi baciò intensamente; chiusi gli occhi. Era tantissimo tempo che desideravo di baciarlo in quel modo e che io e lui non stavamo insieme davvero...

Sospirai nella sua bocca mentre le nostre lingue si sfioravano, gli passai le dita sulla guancia: era calda e il suo respiro sul mio viso mi mandava i brividi lungo tutto il corpo. Continuammo a baciarci fin quando, ormai senza fiato, David si staccò da me e posò la sua fronte sulla mia.

«Ti amo» disse mentre con il naso sfiorava il mio.

«Ti amo anch'io» risposi sentendo le guance in fiamme.

Qualcuno tossì sulla porta e io e David sobbalzammo. David si ritrasse da me arrossendo e tossì per schiarirsi la voce. «Ilian» disse al fratello che era sulla soglia della porta e ci guardava divertito.

«Dobbiamo andare» disse Ilian.

David annuì mordendosi il labbro inferiore.

Guardai Ilian: non avevo avuto voluto chiedere a David se sapeva qualcosa di quel prestito di cui aveva parlato l'assistente sociale, e non lo avevo chiesto nemmeno ai miei fratelli, volevo chiederlo direttamente a lui, sapevo, anche se non ero certa, che non mi avrebbe mentito.

David mi distrasse dai miei pensieri dandomi un bacio sulla tempia. «Ci vediamo domani» mi salutò.

Annuii e gli sorrisi, lui mi fece l'occhiolino.

«A domani.»

David raccolse le sue cose, poi si voltò a guardami e lasciò la stanza.

Ilian lasciò che uscisse, e prima di chiudere la porta alzò gli occhi su di me. «Come stai?» chiese.

«Bene.»

Ilian annuì, stava per chiudere la porta quando lo fermai. «Aspetta!» gli dissi. «Quando hai tempo io... io vorrei parlarti.»

Ilian annuì di nuovo. «Va bene» disse prima di richiudere la porta. 



Buon giovedì ragazze e ragazzi (ho visto che tra di noi ci sono dei maschietti!), scusate il ritardo ma ho da poco aperto gli occhietti, ultimamente sono sempre stanca e non dormo bene... Ad ogni modo ecco il capitolo, spero vi piaccia e come al solito aspetto i vostri commentini!

Un bacio 

Mary <3

ps: chi è che viene alla presentazione? Daii daii vi aspetto!!! 

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