Parafilia

«Con chi stai parlando?» mi chiese Ilian.

Staccai subito la chiamata con Martina senza dirle nulla e mi girai a guardarlo. «Con nessuno,» dissi, «stavo ascoltando una nota vocale di Nikola, mi stava dicendo delle cose sull'accademia.»

Nikola era un ragazzo che avevo conosciuto in Russia, un allievo di quell'accademia infernale.

Ilian sembrò credere a quella bugia che gli avevo raccontato e annuì. Lo guardai: era ridotto male, aveva tutto il lato sinistro della faccia ricoperto di lividi e graffi, sulla fronte aveva un graffio che arrivava quasi al sopracciglio e anche il suo busto era ricoperto di lividi e graffi; lo sapevo perché lo avevo aiutato a medicarsi.

«Come stai?» gli chiesi.

Mi faceva un po' pena vederlo in quello stato, ma non potevo negare di aver provato soddisfazione nel vedere Donato riempirlo di botte, avrei voluto aiutarlo.

«Bene» disse. «Fai la valigia che domani mattina torniamo in Russia.»

Sussultai. Non me l'aspettavo, almeno non così presto.

«E i provini» chiesi sperando di fargli cambiare idea. Volevo restare ancora un po' in Italia per parlare con Martina.

«I provini?» chiese lui scioccato. «I provini servivano solo per mettere da parte tutto l'astio che c'è tra me e i fratelli Leonardi, ma mi basta schioccare le dita per trovare un'altra scuola di danza disposta a fare i provini per il mio spettacolo.»

Abbassai lo sguardo. Non aveva tutti i torti, così provai con qualcos'altro. «E i soldi? Cioè, voglio dire, avevamo prenotato il volo per il ritorno tra una settimana, così non perdi tutti i soldi spesi»

Ilian mi guardò girando la testa di lato e si avvicinò a me per guardarmi meglio negli occhi, lo faceva sempre quando provava a capire se gli stavo mentendo. «Stai provando a farmi cambiare idea?» chiese.

«No,» mi affrettai a rispondere, «no, io... io lo dicevo per te» conclusi la frase provando a sorridergli.

«Perché tu stai dalla mia parte, vero?»

Annuii velocemente. «Sì, certo.»

Ilian mi sorrise soddisfatto: il suo cagnolino gli sarebbe stato fedele ancora per un po'. «Bene» disse. «Fai la valigia, David, e subito.»

Si mosse come a voler uscire dalla mia stanza, ma si fermò sulla soglia della porta, poi si girò di nuovo verso di me. «Ah, David,» mi disse, «dammi il tuo telefono.»

Deglutii sgranando gli occhi, incapace di contenere la sorpresa. Perché? Perché, cazzo? Non l'aveva bevuta.

«Il mio telefono? Perché?»

«Dammelo e basta.»

Lentamente gli porsi il mio telefono. Lo guardai titubante chiedendomi cosa aveva intenzione di farci. Lui lo prese dalle mie mani e lo rigirò tra le sue.

«Stavi davvero ascoltando una nota vocale di Nikola?»

Annuii. «Sì» sibilai, ma ormai era chiaro che aveva capito che gli avevo mentito.

«Quindi...» disse guardando il mio cellulare tra le sue mani. «Se adesso controllo le ultime chiamate effettuate, non troverò nessuna chiamata a Martina?»

«No» dissi con tono più fermo.

«Bene» disse sbloccando il telefono. «Se tra le ultime chiamate c'è n'è una a Martina, appena torniamo in Russia te la faccio pagare... e cara.»

Mi rivolse un sorriso di sghembo, quasi malizioso.

Lo guardai senza rispondere.

«Oppure...» continuò, «potresti dirmi tu la verità e forse sarò più clemente.»

Riflettei su cosa rispondergli, non sapevo cosa fare né come comportarmi.

«No?» chiese e iniziò la ricerca della chiamata.

Aprii la bocca, prima che potesse vederla lui. «Aspetta» gli dissi, e lui alzò lo sguardo su di me. «Ho chiamato Martina.»

Ilian mandò in bloccò il mio telefono: sapeva che non doveva più vederlo lui stesso.

«Che cosa le hai detto?»

«Nulla.»

Ed era la verità, non ero riuscito a dirle niente, avevo solo farfugliato come un ebete.

«Dimmelo, David» ringhiò Ilian.

Lo guardai con lo sguardo implorante. Non volevo raccontargli che cosa le avevo detto, o cosa avrei voluto dirle, erano pur sempre cose mie, personali, intime, da qualche parte avevo ancora un po' di orgoglio.

Iniziai a formulare una frase in russo per farlo desistere, ma mi bloccò.

«No, no» mi disse fermandomi. «Non ci provare, non ci provare a parlarmi in russo: non attacca più, David. Che cosa credi che sono stupido? Pensi davvero che mi sono bevuto la scenetta che hai fatto in questi giorni? Che cosa pensi che non l'ho capito che hai abbassato la cresta solo perché ti portassi in Italia, da Martina? Non mi freghi più e quando torneremo a casa pagherai per avermi preso in giro.»

Si fermò, quasi per riprendere fiato. Si mise il mio cellulare in tasca. «Adesso fai la valigia e in fretta o mi arrabbio sul serio.»

Indietreggiai fino a sedermi sul letto perché le gambe non mi reggevano più.

Non avevo altra scelta: dovevo andare da Martina e parlare con lei al più presto, ma come potevo con Ilian che faceva la guardia?

Aprii la porta della mia stanza e lasciai spalancata, poi presi da sotto al letto la mia valigia e incominciai a fare quanto mi aveva detto. Avevo lasciato la porta aperta di proposito: doveva vedere che stavo facendo.

Iniziai per finta, ma finii per fare sul serio la valigia, anche perché non avevo molta scelta: sarei dovuto tornare con lui in Russia.

Ci misi circa un'ora per fare tutto. Devo dire che andai con calma, perché mentre riempivo la valigia studiavo il mio piano di fuga.

Tirai la cerniera della valigia e respirai profondamente, poi presi i ricambi per fare la doccia, mi intrufolai nel bagno, aprii l'acqua della doccia e scappai dalla finestra del bagno.

***

«Martina?» urlai quando fui sotto la sua finestra. «Martina?» urlai ancora, ma non ebbi risposta: non mi sentiva.

La sua finestra era chiusa e non potevo aggrapparmi, avrebbe dovuto aprirla perché io potessi farlo.

Saltai e cercai di bussare ai vetri chiusi.

«Martina!» ripetei ancora e, finalmente dopo qualche minuto, Martina spalancò la finestra.

Fu sorpresa di vedermi. Sul suo volto si fece largo un'espressione di stupore mista a felicità, vedevo che cercava di nascondere un sorriso per avermi lì sotto la sua finestra, o almeno lo speravo in cuor mio, speravo che fosse davvero felice di vedermi.

Saltai di nuovo, ma stavolta mi aggrappai alla finestra e con il suo aiuto riuscii più facilmente a entrare nella sua stanza.

«David?» mi disse. «Che ci fai qui?»

«Martina» le dissi prendendo le sue mani tra le mie. «Devi ascoltarmi, non ho molto tempo.» Istintivamente mi guardai intorno, come se avessi paura che qualcuno potesse sentirmi e lo fece anche lei.

«Che succede?»

«Domani andrò via, partirò per la Russia e per quanto io ci abbia provato, per quanto abbia provato a fare il bravo e a obbedirgli, Ilian ha promesso che me la farà pagare. E lo so, lo so che lo farà.» Martina strabuzzò gli occhi e aprì la bocca per lo spavento. «Ma ho intenzione di scappare, di fuggire da quell'inferno maledetto. Non so come, non so quando, ma lo farò. Ti giuro che lo farò.»

Respirai a fondo per riprendere fiato.

«Farò di tutto per andare via, ma voglio sapere una cosa, una sola cosa da te, Martina: mi aspetterai? Tornerò per te, ma non posso chiederti di aspettarmi per sempre. Dimmi, lo farai?»

Martina mi lasciò andare le mani, abbassò lo sguardo e indietreggiò leggermente da me.

Restai in silenzio, mordendomi il labbro e deglutendo, pregando che mi dicesse di sì.

Alzò di nuovo gli occhi su di me e credo che in quel momento i nostri occhi avessero lo stesso velo di tristezza, ne ero certo.

Martina annuì leggermente e sorrisi più che potevo. «Sì?» le chiesi per essere sicuro.

Annuì di nuovo. «Sì, certo che ti aspetterò. Ti amo, David.»

Mi avvicinai a lei intenzionato a baciarla con passione, ma mi bloccai: il pensiero di mio fratello che la prendeva contro la sua volontà si fece strada nella mia mente e non volevo ricordargli lui.

Fu lei ad avvicinarsi a me. Trattenni il respiro e chiusi gli occhi, era da tempo che desideravo farlo.

Le nostre labbra si sfiorarono con delicatezza e quel bacio fu probabilmente il più bello della mia vita; c'era tutto: amore, speranza, felicità, paura, emozione...

Restammo entrambi senza fiato, con le fronti attaccate e i nostri nasi che si sfioravano. Le accarezzai la guancia e lei chiuse gli occhi assaporando quel contatto.

«Ti amo anch'io» le dissi, ma dovevamo tornare alla realtà, purtroppo. «Devo andare, non mi cercare perché ha Ilian il mio cellulare, lo farò io, okay?»

«Okay.»

La baciai di nuovo e poi scesi dalla finestra. Prima di andare via mi girai a guardarla: era bellissima.

Le lanciai un bacio e lei ridacchiò sommessamente, ma la sua risata si placò quando alzò lo sguardo per guardare oltre me. Mi girai immediatamente quando vidi la sua espressione e lì c'era il mio incubo peggiore: mio fratello.

Iniziai a tremare mentre lui avanzava verso di me, sapevo quanto fosse incazzato in quel momento e non avevo la mia idea di cosa dire o cosa fare per calmarlo.

Mi arrivò uno schiaffo in pieno volto, mi fece voltare il viso verso sinistra e sentii mancarmi l'aria nei polmoni.

Le mie orecchie rimbombavano, sentivo i suoni sfocati; alzai lo sguardo, ma non vidi più Martina alla finestra.

Ilian mi prese per i capelli e mi trascinò, urlai per il dolore e gli chiesi di lasciarmi andare, ma tutti i miei tentativi furono inutili.

«Ilian!» sentii urlare a un tratto, era Donato.

Donato, Mirko e Martina erano usciti fuori di casa, evidentemente era stata Martina ad avvisare suo fratello.

Avevo le lacrime agli occhi per il dolore che sentivo perché Ilian aveva tirato più forte i miei capelli quando aveva sentito la voce di Donato.

Donato lo guardava con odio, mentre Ilian aveva solo l'espressione incazzata, e io avevo paura perché sapevo che quella rabbia si sarebbe riversata su di me.

«Lascialo andare» disse Donato a Ilian.

Guardai Donato e lui incrociò per un attimo il mio sguardo, sentivo le lacrime farsi strada prepotentemente, ma non volevo piangere.

Ilian guardò Donato con aria di sfida, poi guardò me, mi trascinò ancora e io urlai per il dolore. Mi portò fino alla sua macchina, aprì la portiera posteriore e mi spinse in auto senza nemmeno preoccuparsi di avermi fatto sbattere la testa.

Mi accucciai a quattro zampe sui sedili posteriori tenendomi la testa tra le mani. Sentii dietro di me la porta sbattere e quando mi girai per guardare che stava facendo Ilian, lui aveva già chiuso le sicure con la chiave dall'esterno.

Mi attaccai al vetro e provai ad aprire la portiera, ma la sicura me lo impediva, così iniziai a sbattere i pugni contro il vetro, ma un'occhiata di Ilian mi inchiodò di nuovo ai sedili. Non lo so che cosa stava dicendo a Donato o cosa Donato gli stesse dicendo, non ci stavo capendo più niente. Sentivo la testa pesante e dolorante e non sapevo se era per la botta che avevo preso o perché Ilian mi aveva trascinato per i capelli, sapevo solo di non sentirmi bene, e quando Ilian entrò in macchina per riportarci a casa non riuscii più a trattenere le lacrime.

Scoppiai a piangere come un bambino, singhiozzando parole incomprensibili anche a me stesso, era da tanto che non mi lasciavo andare così davanti a lui, ma in quel momento avevo dimenticato come lo facesse sentire. E il pensiero di quello che mi stava promettendo di farmi una volta arrivati a casa, non faceva altro che farmi piangere sempre di più.

***

«Ti prego, ti supplico, ti scongiuro, Ilian!»

In ginocchio davanti a lui, con le mani strette a preghiera e le lacrime che non volevano smettere di scendere, lo supplicavo di non picchiarmi o almeno di non farmi troppo male. Sapevo di averlo fatto arrivare al limite della pazienza, era furioso con me e potevo solo pregarlo di non andarci giù pesante.

«Levati la cinta» mi disse con una freddezza che mi fece singhiozzare più forte.

Scossi la testa in segno di diniego abbassandola e sussurrando un "no." Un "no" che non era per lui, ma era per me. No, non meritavo tutto ciò.

«David!» urlò. «Levati la cinta e dammela.»

Umiliazione. Era questo quello che voleva farmi provare, umiliazione. Mi avrebbe picchiato con la mia cinta, con la cinta che avrei dovuto togliere dai miei pantaloni, con la cinta che avrei dovuto passare al mio aguzzino.

Con le mani che mi tremavano aprii la cinta e la sfilai dai passanti del pantalone.

«Ti prego...» ripetei per l'ennesima volta mentre lentamente gli passavo la cinta.

Ilian la prese dalle mie mani con poco garbo, la piegò in due parti e io abbassai gli occhi: non volevo guardare, non volevo vedere quando quella cinta si sarebbe abbattuta su di me.

«Guardami,» mi disse Ilian, «voglio che ricordi ogni singolo dettaglio di questo giorno, e voglio che ricordi il mio volto perché sarà l'ultima cosa che vedrai quando avrò finito con te.»

Tirai su con il naso e strinsi più forte gli occhi, ma Ilian mi prese per il mento costringendomi ad alzare la testa verso di lui.

«Guardami!» ripeté, ma stavolta urlando.

«Ti prego» dissi aprendo gli occhi. «Farò qualsiasi cosa, qualsiasi cosa tu voglia, ma ti prego...»

Ilian mi lasciò andare il mento, girò la testa di lato e mi scrutò. «Qualsiasi cosa?» chiese per esserne sicuro.

Annuii velocemente, senza sapere nemmeno cosa gli stavo promettendo. «Sì, qualsiasi cosa.»

Ilian raddrizzò la schiena, mi guardò, poi lentamente scese con lo sguardo sul suo corpo accertandosi che io stessi facendo la stessa cosa e si fermò sul rigonfiamento dei pantaloni. Alzò lo sguardo su di me e mi sorrise maliziosamente. «Lo sai che cosa voglio» mi disse.

No!

Mi alzai dalla mia posizione e iniziai ad indietreggiare da lui. «Sono-sono tuo fratello» gli ricordai incredulo.

Ilian aveva un disturbo, il disturbo che comunemente viene chiamato "disturbo parafilico" e, più precisamente, Ilian era un sadico. Provava piacere sessuale nell'infliggere agli altri dolore, nel vedere soffrire e umiliate le persone; non era importante il sesso purché risvegliasse in lui l'eccitazione che provava solo se l'altra persona stava soffrendo, e se la sofferenza era lui a provocarla era anche meglio.

Ho capito la sua vera natura quando eravamo piccoli. Vedevo quella scintilla di piacere balenargli negli occhi quando papà mi picchiava per qualcosa che avevo fatto, e quando ero piccolo pensavo che semplicemente mi odiasse, che era contento di vedere il suo fratellino soffrire, non immaginavo il piacere che provava a livello sessuale.

Quando ho capito che persona era, ho iniziato a cercare di capire come comportarmi con lui per non diventare una sua vittima. Il metodo migliore per farlo calmare era parlargli in russo, a volte funzionava, altre volte capiva che lo stavo facendo di proposito. Avevo imparato il russo per difendermi, non per comunicare con lui come avevo detto una volta a Martina. Avevo mentito a tutti su di lui, soprattutto a Martina, un po' per difendere me, ma un po' anche per difendere lui. Era pur sempre mio fratello e sapevo che la vita di merda che aveva avuto l'aveva reso così: un sadico di merda.

Martina più di tutti stimolava il suo interesse, perché lei non era una preda facile: con lei era una vera e propria caccia. Martina gli teneva testa, lo sfidava, gli rispondeva e questo non faceva altro che alimentare il suo interesse per lei, la sua voglia di vederla in ginocchio davanti a lui, come lo ero io in quel momento.

Quando avevo visto quel bacio, non avevo solo provato gelosia, ma tanta rabbia, perché sapevo che Ilian aveva approfittato di un momento di debolezza di Martina, un momento in cui era particolarmente debole e triste, e se avessi perdonato tutto, se avessi lasciato correre, lui avrebbe continuato a infierire e io non potevo permetterlo. L'avevo allontanata da me, dalla mia vita, dalla mia famiglia per proteggerla. Lontana da me, con un altro fidanzato, sarebbe stata sicuramente molto meglio, ma ci ero riuscito solo per poco, perché non riuscivo a stare lontano da lei.

Avevo imparato a gestire e controllare Ilian, ma quel giorno avevo fatto un grande errore: mi ero lasciato andare, l'avevo supplicato, pregato in ginocchio, pianto fino a farmi mancare il respiro. Ilian non aveva sessualità: non era etero, non era gay e nemmeno bisessuale. E lì, in quel momento, davanti a lui, non ero più suo fratello, ero un oggetto che poteva soddisfare tutti i suoi piaceri sessuali.

«E allora?» chiese.

Deglutii. Dovevo cercare in tutti i modi di uscire da quella situazione e farlo calmare.

«D'accordo» dissi, facendogli credere che mi sarei concesso a lui. «Ma facciamo un patto prima.»

Ilian roteò gli occhi al cielo. «Un patto? David, questo è già un patto. Tu fai qualsiasi cosa io ti chieda e in cambio io adesso non ti fracasso di botte, è semplice.»

Scossi la testa cercando di restare calmo e lucido. «No» dissi. «Voglio che mi prometti, anzi, che mi giuri che se io adesso faccio tutto quello che vuoi poi tu non mi toccherai più, nemmeno con un dito.»

Ilian sbuffò. «Mi stai facendo perdere la pazienza, ancora di più» disse.

«Giuralo.»

Mi alzai da terra e provai a spostarmi andando verso la cucina per cercare qualcosa, un'arma magari, ma Ilian fece prima di me, capì le mie intenzioni e mi afferrò per il braccio, poi mi fece piegare sul tavolo schiacciandomi la testa sul legno duro.

«Adesso basta parlare, non sono in vena di fare giuramenti» disse e io sentii la sua erezione premermi contro il sedere.

«No! No!» cominciai a urlare dimenandomi per farmi lasciare. In tutta risposta, Ilian mi bloccò le braccia dietro la schiena per farmi stare fermo. «Ti prego!» piagnucolai di nuovo.

Se la situazione fosse stata diversa, se al mio posto ci fosse stata una donna, sono sicuro che sarebbe andata diversamente, sono sicuro che sarebbe arrivato un cavaliere sul cavallo bianco e l'avrebbe salvata; invece, e ne ero certo, non sarebbe venuto nessuno a salvare me.



Eccomi! Non sapete quanto ero emozionata di mettervi questo capitolo, più che emozionata forse un po' impaurita, spero di non avervi sconvolte, ma credo di aver sempre fatto intendere che Ilian è un personaggio "problematico" ed era arrivato il momento di spiegarvi meglio. Sicuramente, nei prossimi capitoli, approfondirò questi problemi andando avanti con la trama ovviamente. Ripeto, spero di non avervi sconvolte! 

Vi prego però di non pensare a lui come a un Christian Grey russo, non stiamo parlando di quel genere di sadismo, lui non ha interesse a trovarsi una sottomessa o un sottomesso, il suo è un disturbo psico-sessuale per cui non ha una vera sessualità. 

Al prossimo giovedì! 

Mary <3

ps: una di voi mi ha chiesto di farle pubblicità, per cui andate a leggere la storia di @@Sabrinapolselli 

Ho pensato che, per giustizia nei confronti di tutte, e siccome so che molte di voi scrivono benissimo, da oggi fino alla fine della storia di fare pubblicità ad almeno 3 di voi, le prime tre che commenteranno a partire da... ora! 

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