Mettere le cose a posto
Solo per oggi, solo perché è la festa delle donne, solo perché ieri ho fatto le tre di notte per scrivere il capitolo, ve lo posto di mercoledì e non di giovedì, ma non illudetevi, non penso ricapiterà spesso!
Buona lettura!
Cari fratelli,
non so bene cosa scrivervi, cosa dirvi per spiegarvi ciò che provo e ciò che mi ha spinto ad andare via.
So solo che dovevo farlo.
Sta andando tutto troppo veloce, tutto troppo sbagliato, e ho bisogno di avere tempo da solo per cercare di rimettere le cose a posto. Vi prego non cercatemi, vi prego.
Mi mancherete, già lo so.
Daniele.
Il biglietto di Daniele ci aveva lasciati tutti a bocca aperta, era scappato lasciando a casa il suo cellulare, evidentemente per non essere rintracciato, e si era portato via gran parte dei suoi vestiti, che aveva messo nel borsone che di solito usava per la scuola di danza.
«Dobbiamo trovarlo» disse Donato chiudendo il foglio tra le sue mani.
«Ma se ha detto "non cercatemi" ...» fece notare Francesco.
Donato lo schiaffeggiò con la lettera di Daniele. «Non mi interessa che c'è scritto qui sopra, dobbiamo trovarlo, non ha neanche ancora l'indipendenza da Simone!»
«Sì, ma...»
«Com'è possibile che non ti sia accorto di niente, tu? Cazzo, non dormite nella stessa stanza?» chiese Donato a Francesco.
«Sì, ma...»
«Come lo troviamo?» chiese Corrado. «Ha lasciato il cellulare qui, non sappiamo dov'è andato, come facciamo a trovarlo?»
Sarebbe stato davvero complicato trovare Daniele, se non fosse che a Donato venne un'idea geniale.
«Dov'è il suo computer?» chiese principalmente a Corrado, Giovanni, Andrea e a Francesco.
«Il suo computer?» chiese Corrado, perplesso.
«Sì, dov'è?»
«Vado a prenderlo» disse Francesco e poi sparì nella sua stanza per andare a prenderlo.
Dopo poco lo riportò in cucina, dove eravamo tutti.
Lo poggiò sul tavolo; Donato si sedette al suo posto a capo tavola e lo accese.
«Ma che vuoi fare?» chiese Simone scrutando le mosse di Donato che armeggiava con il computer.
«Voglio vedere la cronologia, se ha fatto ricerche... non lo so per voli o cose simili» disse Donato tastando sulla tastiera velocemente.
Noi tutti aspettavamo in silenzio e trepidanti che ci dicesse qualche novità, dopo una decina di minuti finalmente disse qualcosa.
«Mosca» bisbigliò.
«Cosa?» chiedemmo all'unisono.
«Ha prenotato un volo per Mosca.»
«Mosca?» chiese Giovanni. «È andato in Russia allora, da David...»
Russia? Iniziai a sorridere senza rendermene conto, Daniele era andato da David, per "mettere le cose a posto", doveva essere sicuramente così.
Donato rimase a fissare lo schermo del computer, aveva una mano sulla fronte e gli occhi stretti come a focalizzare meglio.
«Non capisco...» disse a un certo punto. «Da dove li ha presi i soldi?»
Simone tossì per schiarirsi la voce e Donato alzò gli occhi su di lui. «Io potrei... ecco potrei avergli fatto un regalo di compleanno molto... ingente...» disse guardando altrove mentre pronunciava l'ultima parola.
Donato spalancò la bocca per la sorpresa e subito Simone si difese: «Aveva compiuto diciotto anni e non abbiamo neanche festeggiato, ha passato il suo compleanno in ospedale, mi sentivo in colpa! Non pensavo che avrebbe usato i soldi per questo!»
Donato si passò una mano si volto, poi si alzò dalla sedia, estrasse il suo portafoglio dalla tasca dei pantaloni e gettò la carta di credito sul tavolo. «Corrado, per favore, prenota due voli: uno per me e uno per Martina» ordinò.
Appena sentii pronunciare il mio nome da Donato scattai, mi avrebbe portato con lui in Russia per cercare Daniele, perché?
«Donato, forse dovrei...» provò a dire Simone.
«No, ci vado io» disse Donato con fermezza. «E Martina viene con me, perché non posso lasciarla qui.»
Mi sentii un po' offesa da quell'affermazione, sembrava quasi che fossi una bambina piccola che non potesse essere lasciata da sola senza la sua supervisione, ma per una volta la sua proiettività nei miei confronti avrebbe portato a qualcosa di positivo: avrei rivisto David, o almeno lo speravo.
«Donato, non ti sembra di esagerare?» si intromise Giovanni. «So che la situazione è complicata, ma forse dovremmo aspettare.»
«Aspettare cosa?» scattò Donato facendosi più vicino a Giovanni. «Questa situazione è solo colpa tua, te ne rendi conto? È colpa tua se Daniele ha sempre pensato che fosse giusto scappare dai problemi.»
«Colpa mia?» ripeté Giovanni, risentito.
«Sì, che bell'esempio che hai dato ai nostri fratelli!»
«E tu, invece? Che esempio dai, eh? Frocio!»
Cazzo.
Donato gonfiò il petto e si avvicinò pericolosamente a Giovanni, Andrea scattò pronto a dividerli. «Calma, calma» disse. Sapevamo tutti che Donato ce l'aveva da sempre con Giovanni per essere scappato di casa e sapevamo anche che Giovanni aveva volutamente offeso Donato solo per provocarlo.
Avevo visto altre volte Donato e Giovanni fare a botte e proprio volevamo evitarlo quel giorno.
«Calmatevi» continuò Simone. «Non mi sembra il caso adesso di metterci a litigare, giusto?»
«Sì» rispose Giovanni abbassando lo sguardo. «Scusa.»
Donato annuì solo, d'accordo con Simone. Non aveva chiesto scusa a Giovanni e non l'avrebbe fatto, perché in fondo, era quello che pensava.
***
In aereo, seduta accanto a Donato poco prima che partisse, iniziò a salirmi il panico. Non avevo mai preso un aereo, ma non era per quello che iniziai ad avere paura, avevo paura di quello che mi avrebbe atteso una volta atterrata.
Sapevo, anche se non l'avrebbe mai ammesso, che Donato mi stava portando con lui per vedere David, e io avevo tanta paura.
Avevo paura che potesse non provare più per me lo stesso sentimento che provava prima, avevo paura, al contrario, che vederci avrebbe risvegliato in entrambi la sofferenza di quando ci eravamo detti addio.
«Donato.» Mi girai allarmata verso di lui. «Non ci voglio andare.» Iniziai a tremare, a respirare a fatica e gli occhi si riempirono di lacrime.
«Davvero. Non ci voglio andare, non voglio andare in Russia» dissi, alzando leggermente il tono di voce.
«Sh,» mi ammonì Donato, «calmati, che ti prende?»
«Ho-ho paura» farfugliai prima di scoppiare a piangere, incapace di trattenere le lacrime.
«Di cosa?»
Donato mi prese le mani tra le sue, le tenne strette e le accarezzò.
«E se poi lui, oppure io...» farneticai.
«Stai parlando di David?»
Annuii abbassando la testa e singhiozzando ancora.
«Andrà tutto bene, te lo prometto» mi disse, poi mi alzò il mento con l'indice così che i nostri occhi si incontrassero. «Non ti avrei mai portato con me se avessi pensato che potesse farti soffrire.»
«Sul-sul serio lo pensi?» chiesi.
«Sì, penso che andrà tutto bene, penso che non farà altro che farti stare meglio.»
Annuii, sperando che fosse davvero così.
Appena l'aereo atterrò, io e Donato scendemmo a prendere le valigie. Corrado aveva trovato un albergo poco distante dall'aeroporto.
Prendemmo le valigie e dopo ci dirigemmo in albergo.
«Qual è il piano?» chiesi a Donato mentre disfacevamo le valigie.
«Adesso mangiamo qualcosa, poi andiamo a dormire e domani mattina andiamo all'accademia di David.»
«Tu sai dov'è?»
Donato annuì. «Sì, lo so» disse e poi abbassò gli occhi velocemente.
«E sei sicuro che Daniele sia lì?»
«No, ma se Daniele è venuto qui per David sono sicuro che David sarà lì.»
Annuii, il suo discorso filava perfettamente.
Non vedevo l'ora di andare in quell'accademia e vedere con i miei occhi cosa succedeva lì dentro, non che non mi fidassi di David, anzi, ma volevo capire come si comportavano i maestri con gli allievi.
***
Quella notte non dormii molto bene, mi sentivo strana: un misto tra emozione e paura si agitava in me. Ero emozionatissima di rivedere David, ma al tempo stesso immaginavo già la sofferenza di doverlo lasciare di nuovo, gli avevo detto addio troppe volte in quegli anni.
La mattina dopo, di buon'ora, io e Donato ci preparammo per andare all'accademia che si trovava a un paio di fermate di metro.
Appena arrivammo, fui stupita dall'edificio che mi trovai di fronte. Era grande, maestoso e inquietante.
Era una struttura piuttosto imponente, sembrava un condominio o qualcosa di simile; aveva delle grandi vetrate tutto intorno, e da alcune potevo vedere già delle lezioni di danza in atto.
Entrai seguendo Donato che camminava davanti a me, sembrava conoscere bene quel posto, eppure per quanto ne sapessi non c'era mai stato.
«Martina?» mi richiamò mentre mi guardavo intorno incuriosita.
«Eh?»
«Hai sentito che ho detto?»
Scossi la testa in segno di diniego.
Donato sbuffò. «Resta qui mentre io vado a chiedere dove è David, okay?»
Annuii.
Donato annuì a sua volta e si diresse a cercare di capire dove David si stava allenando.
Mi guardai ancora intorno: mi trovavo all'ingresso di quel posto e, nonostante Donato mi avesse detto di restare lì, non riuscii a fermare i miei piedi e mi trovai a camminare per l'accademia.
Attraversai un lungo corridoio e delle ragazze con il tutù mi passarono accanto ridendo e parlottando tra di loro. Le seguii con lo sguardo, poi continuai fino ad arrivare in una parte dell'edificio che aveva sulla destra una porta chiusa con sopra delle scritte in russo naturalmente, e sulla sinistra delle grandi vetrate dal quale potevo scorgere una lezione.
Mi avvicinai lentamente e sbirciai: era la lezione di danza classica dei bambini. Sorrisi guardandoli: erano carinissimi. Tra di loro passava un maestro, era di spalle e non lo riconobbi subito, capii che era lui solo quando riuscii a vedere il suo volto nel riflesso dello specchio.
Ilian.
Sorrisi a vederlo lì che seguiva con attenzione i movimenti dei bambini. Mi spostai e mi avvicinai alla vetrata per osservarlo meglio, a quel punto si girò, strinse gli occhi per focalizzare meglio: mi aveva visto. Alzai la mano e lo salutai timidamente, lui disse qualcosa ai bambini e poi uscì. Mi guardò stranito, evidentemente non si aspettava di trovarmi lì, in fondo non avevamo avvisato né lui né la sua famiglia.
«Ehi» gli dissi sorridendo.
Lui mi disse qualcosa in russo, poi si ricordò che con me doveva parlare italiano. «Che ci fai qui?» mi chiese.
«Siamo venuti io e Donato per Daniele, lo hai visto per caso?»
«Daniele?» chiese aggrottando la fronte, perplesso.
«Sì, è scappato di casa ed è venuto qui.»
«E perché?»
«Penso principalmente per David.»
A quel punto Ilian tirò indietro la testa e mi guardò sempre più confuso. «Che vuol dire per David?» chiese.
Deglutii, cercando la forza per dirlo. «Ha visto che David non sta molto bene.»
Ilian scoppiò a ridere. «Non sta bene?» ripeté. «Certo che sta bene!»
Scossi la testa sentendomi offesa del fatto che stesse ridendo della mia preoccupazione per David.
«Come fai a dire una cosa del genere?»
Ripensai a tutto quello che mi diceva David e a quello che gli avevano fatto, come poteva Ilian dire che suo fratello stava bene?
Ilian alzò le spalle, sempre più confuso. «Io so solo che da quando David è qui va benissimo a scuola, i suoi voti sono migliorati, così come la sua tecnica ed è molto più educato. Certo, ogni tanto prova a ribellarsi, ma... sta diventando molto più docile.»
«Docile?» ripetei, schifata, ma di cosa stava parlando? Di un cane?
Ilian annuì, per nulla pentito di quello che aveva detto. «Sì, sta davvero bene.»
Avevamo due concetti diversi io e Ilian dello stare bene. Se quello, se quella vita era stare bene, allora non lo capivo. Non capivo come si potesse vivere seguendo delle regole così ferree, piegando a mano mano tutto il carattere di una persona solo perché essa ha un modo diverso di pensare e un carattere non "docile".
Mi girai senza rispondere intenzionata ad andarmene, ma Ilian mi afferrò il polso destro e mi costrinse a girarmi di nuovo verso di lui.
Sbattei contro il suo petto muscoloso e tentai di fargli mollare la presa, visto che stava stringendo il mio polso troppo forte per i miei gusti.
«Lasciami» dissi mentre lui mi spingeva a forza contro la vetrata.
«Non cercarlo» mi disse.
Riuscii a fargli mollare la presa, ma lui mi bloccò poggiando le mani sulla vetrata, all'altezza del mio viso. Non mi feci intimidire e lo guardai dritta negli occhi, nei suoi occhi di ghiaccio.
«Cosa?» chiesi sforzandomi di assumere un tono di voce convincente.
«Ho detto che non devi cercarlo. David sta bene finalmente e io mi sto sempre più convincendo che sia vero il detto: "Lontano dagli occhi, lontano dal cuore". Eri una distrazione per lui, una distrazione da cose più importanti. Perciò lascialo in pace.»
Non riuscii a trattenerla e una lacrima mi rigò il volto. Non sapevo se credergli o no, ma le sue parole avevano aperto una voragine dentro di me.
Ilian avvicinò la sua mano al mio volto e mi tolse la lacrima dal viso, gli scostai la mano e lui afferrò la mia con un gesto veloce, ma stavolta non la strinse facendomi male, era una stretta quasi dolce.
Guardò un attimo sopra la mia testa, poi si avvicinò pericolosamente al mio volto e le sue labbra sfiorarono le mie.
Chiusi gli occhi e non so neppure io perché lo feci: non volevo quel bacio, ma non volevo nemmeno respingerlo, in quel momento mi sentivo solo così debole e incapace di reagire. Ero stanca e, probabilmente, in quel momento, quel contatto umano era proprio ciò di cui avevo bisogno.
Ilian mi prese la testa tra le mani e provò a baciarmi con più passione infilandomi la lingua in bocca, ma a quel punto mi svegliai, rendendomi conto di cosa stavo facendo. Aprii gli occhi e lo scansai.
Lo guardai truce mentre sul suo volto si formava un sorrisetto malizioso, quasi un ghigno.
«Martina?» chiesero alle spalle di Ilian.
Mi mossi, seguendo quella voce, e di fronte a me David mi guardava con orrore.
«David» bisbigliai guardando prima lui e poi Ilian.
Ilian era ancora fermo nella sua posizione, ma stava ridacchiando passandosi l'indice sul labbro inferiore, e io capii perché l'aveva fatto, perché mi aveva baciato. Aveva visto suo fratello nel riflesso della vetrata e mi aveva baciato, consapevole del fatto che David era lì a fissarci: voleva farci lasciare.
Mi avvicinai a David, ma lui indietreggiò ponendo anche le mani davanti a noi per impedirmi di avvicinarmi.
«Vi stavate baciando» disse.
«No!»
«No?»
«Cioè sì, ma... lui, cioè... David, io ti giuro che non volevo. Lui ha...»
«Lui ha, cosa?» urlò David. «Non mi sembrava che ti stessi ribellando.»
Scossi la testa velocemente, sentivo le lacrime salire di nuovo con prepotenza. «Te lo giuro che non volevo. Ti prego, devi credermi, sono qui per te, David.»
David rise, ma la sua risata era una risata nervosa, non di certo divertita. «Sei qui per me, ma ti baci con Ilian, complimenti.»
«No, David, ti giuro che...»
Non sapevo nemmeno io che cosa dirgli, come dimostrargli che quel bacio per me non aveva significato niente e che non l'avevo voluto. E che l'amavo con tutto il cuore.
David indietreggiò ancora da me. «Devo andare» disse.
«No, no, ti prego, David» piagnucolai prima di scoppiare a piangere. «Ti prego, lascia che ti spieghi.»
David si girò di spalle e cominciò a camminare, lo seguii fino a una porta, lui la aprì ed entrò sbattendomela in faccia, senza voltarsi indietro.
Diedi un pugno sulla porta e mi passai una mano sul volto cercando di fermare le lacrime che non volevano smettere di scendere. Non potevo entrare in quella stanza, era un'aula dove David si stava allenando, così rimasi lì fuori fin quando non sentii di nuovo la rabbia montare dentro di me, e seppi esattamente come sfogarla e su chi.
Corsi fino ad arrivare di nuovo nell'aula dove stava tenendo la lezione, entrai senza pensarci due volte, attraversai la sala camminando in mezzo ai bambini che mi guardavano sconvolti, lui era girato di spalle, ma fece in tempo a girarsi prima che lo spingessi prendendolo per le spalle.
«Sei uno stronzo!» urlai con tutta la voce che avevo. Lo spinsi di nuovo. «Sei una merda! Una persona orribile! Fai schifo!» Lo spinsi ancora una volta. «Ti odio!»
Stavo urlando così forte che sentivo, già dopo quelle poche parole, un bruciore alla gola.
«Non è vero» disse Ilian senza scomporsi nemmeno un po'. «Non è vero che mi odi.»
«Sì,» urlai, «sì, ti odio. Ti odio perché sapevi che era lì e l'hai fatto apposta, sei uno stronzo!»
«Io lo sapevo sì, ma tu no.»
«No.» Scossi la testa. «Certo che no.»
«Ma hai ricambiato il bacio.»
Scossi di nuovo la testa. «No, non è vero, non lo volevo.»
Ilian si avvicinò a me e io indietreggiai. «L'unico motivo per cui mi odi è perché sono l'unico che è sincero con te. Lo sai anche tu che è meglio per entrambi se vi lasciate, ma non lo vuoi ammettere ed è più facile dare la colpa a me.»
«Non è vero, ti odio perché sei sempre stato subdolo e cattivo e io ho anche creduto che potessi essere migliore di quello che dimostri, ma sei solo uno stronzo.»
Ilian respirò a fondo, si avvicinò a me, ma stavolta non mi mossi. «Chiamami ancora stronzo e...» ringhiò.
«E? Che mi fai?» lo sfidai.
«Ti devo ricordare l'ultima volta che mi hai chiamato stronzo come è finita?»
«Non c'è bisogno, me lo ricordo benissimo, ma forse tu non ricordi che non hai nessun diritto di comportati così con me, e se solo ti azzardi di nuovo a mettermi le mani addosso ti giuro che te la faccio pagare.»
Ilian rise della mia minaccia, ma io non mi scomposi, ero serissima. «Oh, mi fai solo tanta tenerezza, una ragazzina di diciassette anni che prova a minacciare me.»
«Ne ho sedici» lo corressi.
Ilian si tolse quel sorriso malizioso dal volto, mi prese il mento tra l'indice e il mento e mi costrinse a guardarlo negli occhi. «Questa,» disse, «questa è l'ultima volta che ti rivolgi a me con questi modi.»
A quel punto non riuscii a trattenermi e gli mollai un ceffone in pieno viso.
Ilian mi lasciò il mento e girò il viso verso sinistra, sentivo borbottare alle mie spalle i bambini, probabilmente erano sconvolti dall'aver visto il loro maestro che si beccava uno schiaffo.
Lui li guardò e urlò qualcosa in russo per far tornare l'ordine e i bambini si zittirono all'istante.
Poteva avere quell'aspetto minaccioso, urlare in russo quanto gli pareva, ma con me aveva chiuso: non gli avrei più permesso di rovinarmi la vita. Anche se, per quanto potessi negarlo, ci era quasi riuscito.
Eccomi di nuovo qui! Che ne pensate? Due cosine devo dirvi al di fuori del capitolo:
1) A me fa tanto piacere che molti vi voi mi chiedano di leggere le vostre storie e mi scuso se a volte non riesco a leggerle tutte, ma come sapete non ho molto tempo per scrivere figuriamoci per leggere! Ma tranquilli che prima o poi le leggerò tutte, anche perché siete molto più brave di me!
2) So quanto amate la storia, e se potessi vi metterei un capitolo al giorno, ma come sapete non posso, quindi vi prego non scrivetemi più nei commenti: aggiorna prima, perché mi fate sentire solo incredibilmente in colpa!
Ultima cosa: spero sempre con le mie storie di mandare messaggi positivi, e proprio in questo giorno voglio dirvi che prendiate esempio dalle protagoniste che si ribellano al "padre padrone" (inteso come il fidanzato che vi stolkera, che vi opprime, che è geloso) e non da protagoniste che invece alimentano certi comportamenti. Purtroppo sempre di più leggo di storie in cui la donna è succube di comportamenti da parte degli uomini che cancellano tutto quello per cui le donne hanno lottato, non prendete questi come esempi, è sbagliato, è orribile, nessuna di noi vuole essere trattata in quel modo ed è sbagliato mandare questi messaggi. Quando leggo cose del tipo: "Io a Donato avrei lanciato il panino in faccia" o "Avrei risposto ad Ilian", io sono fiera di voi, perché è così che deve essere, è così che dovete pensare. Per quanto gli uomini possano essere un bene nella nostra vita, a volte possono essere anche un tremendo errore, e dobbiamo avere l'intelligenza di capire che un ragazzo che ci chiama ogni cinque minuti, che ci deve controllare come siamo vestite, che non vuole che parliamo con altri ragazzi non ci ama, ci vuole "sue" e no, non è una cosa positiva. Scusate lo sproloquio, ma dovevo. Come sempre fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto.
A giovedì,
Mary <3
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