Le punizioni

Ci aspettavano due settimane di punizione.

La maggior parte delle volte, era pesante dover affrontare due settimane senza poter navigare in internet, senza vedere la televisione, ma soprattutto senza uscire. Per me le punizioni erano diventate ancora più pesanti da quando mi ero fidanzata con David. Non poter uscire con lui per due interi weekend, quella volta, mi fece davvero male. Per fortuna David conosceva la mia situazione familiare, la capiva, ma era ugualmente una sofferenza per noi non vederci. Del mio fidanzamento i miei fratelli non sapevano nulla: non ero ancora pronta a dirlo a loro. Avevo paura, in realtà – e non so neanche io il perché – che mi avrebbero impedito di vederlo. Erano sempre molto gelosi e protettivi con me, e molto spesso amavano sabotare i miei fidanzamenti. Ed era anche per questo che, di David, non volli dire niente. Lo amavo.

Punizione così lunghe, portavano quasi sempre una conseguenza inevitabile: trasgredirle. La coincidenza non era certo dalla nostra parte e, molto spesso, quando eravamo in punizione, c'era sempre qualcosa di bello da fare, o qualche invito a cui non potevamo rinunciare. E allora lì si attivava tutta la nostra genialità. Raramente trasgredivo a una punizione; le ho sempre rispettate cercando di dare meno nell'occhio possibile, così da potermi divertire una volta libera. I miei fratelli, invece, le trasgredivano una volta sì e una no. Erano capaci di pianificare le cose più assurde e impensabili pur di riuscire a liberarsi per qualche ora e fare quello che volevano. Ho sempre pensato che l'assenza di internet e di distrazioni mettesse in moto il cervello, quasi sempre spento, dei miei fratelli. E anche quella volta si preparava il piano di fuga.

Io, Daniele e Francesco eravamo in camera nostra. La nostra casa era abbastanza grande: avevamo tre camere da letto, due bagni, una cucina, il salone, un ripostiglio e una piccola saletta da ballo. Nelle tre camere da letto eravamo sistemati in questo modo: io, Daniele e Francesco nella stanza in fondo al corridoio di fronte al salone; Corrado, Andrea e Giovanni nella stanza sulla sinistra e di fronte ad essa c'era la stanza di Donato e Simone; stanza che una volta era dei nostri genitori.

Io ero stesa sul mio letto e fissavo il soffitto, Daniele era sul letto a castello che divideva con Francesco – nel letto di sotto, ovviamente –, perché quello di sopra spettava al più grande; e Francesco era seduto sulla sedia della scrivania giocherellando con il cellulare. Quella mattina eravamo andati a scuola, dove non eravamo riusciti a farci dire per chi dei tre avevano chiamato Donato; il pomeriggio eravamo andati alla scuola di danza dove, non solo avevamo seguito i corsi, ma avevamo anche aiutato i nostri fratelli nelle altre lezioni. Eravamo tornati a casa, fatto i compiti, cenato e, in quel momento, ci annoiavamo in attesa che il sonno si impadronisse di noi.

D'un tratto Francesco saltò dalla sedia. «Oh mio Dio!» esclamò.

«Che c'è?» chiese, con una certa indifferenza, Daniele. Io mi limitai a guardare mio fratello che, ancora in piedi nella stanza, fissava il suo cellulare. "Niente internet" aveva detto Donato, i cellulari con la connessione, però, non poteva sottrarceli, né tanto meno impedirci di collegarci al Wi-Fi. Una volta aveva provato a staccare il filo al modem, ma si era pentito dopo nemmeno dieci minuti, visto che, per questioni lavorative, la connessione serviva anche a lui. Allora avevamo fatto un patto: "niente internet" voleva dire "niente connessione a internet attraverso il PC".

«C'è un mega evento stasera all'Ammatott, ci vanno tutti i miei amici e anche Flora.»

Storsi la bocca quando sentii quel nome, Francesco non aveva ancora perso la speranza di conquistare quella ragazza. Erano anni che ero costretta ad assistere ai due di picche che Flora rifilava a mio fratello. Di tutti i miei fratelli, Francesco era quello che aveva meno fortuna con le ragazze. Lui dava la colpa agli occhiali, perché, infatti, era costretto a portarli a causa della sua miopia. Nonostante ciò, era il più simpatico tra i miei fratelli, o almeno, lo era per me. Le sue battute spesso, però, riuscivano a metterlo ancora di più nei guai.

«Beh, peccato, sarebbe stato bello andarci.» gli disse Daniele. Dubitavo che, se anche ci fosse andato, l'avrebbero fatto entrare. Daniele, come me, era ancora minorenne.

«Perché sarebbe?» chiese Francesco ingenuamente.

«Come perché? Siamo in punizione, ricordi?» gli feci notare.

«Ah, già...» Francesco rifletté un attimo, poi si girò a fissare Daniele. «Anche se...»

«No!» scattò Daniele, alzandosi anche lui dal letto. «Non ci pensare nemmeno!» Daniele non era d'accordo sul fatto di trasgredire alla punizione, ma non perché si preoccupava di quello che sarebbe potuto accadere a Francesco, ma di quello che sarebbe potuto accadere a me e a lui, che avremmo dovuto coprirlo.

«Dai!» lo implorò Francesco. «C'è anche Flora!»

«Come se avessi mai avuto una speranza con Flora.» gli rispose Daniele. Francesco gli lanciò un'occhiata. Trattenni le risate.

«Ti prego, ti prego! Non se ne accorgeranno: uscirò quando si saranno addormentati tutti e tornerò quando non si saranno ancora alzati. Vi prego, aiutatemi.»

«Lasciatemi fuori per favore.» Non avevo intenzione di aggravare la situazione, volevo ancora vedere il mio fidanzato.

«Lascia fuori anche me, grazie.» gli disse Daniele, andandosi a sedere di nuovo sul suo letto.

«Che bei fratelli che siete!» ci disse Francesco, offeso del fatto che non volessimo aiutarlo.

«Perché urli, Francé?» esordì Corrado, entrando in camera nostra senza bussare, come sempre.

Tutti e tre ci paralizzammo all'istante. Non sapevamo da quanto tempo Corrado era fuori la nostra porta, e se aveva sentito le intenzioni di Francesco?

«Niente, io... ho letto che l'Inter ha segnato.» rispose Francesco, velocemente.

«Ah, beh» commentò Corrado, come a dire che quella non era una buona motivazione per essere così entusiasti. «Avete già finito di studiare?»

«Sì.» rispondemmo in coro.

«Daniele, tu non avevi un due da recuperare?»

«Sì, ho studiato, domani mi faccio interrogare in matematica.» rispose Daniele, controvoglia. D'altronde, come dargli torto, chi aveva voglia di farsi interrogare in matematica? Ma era l'unica soluzione per recuperare quell'insufficienza.

«Bene.» gli disse Corrado. «Fate meno casino e, se è possibile, cercate di non mettervi nei guai ulteriormente.» Corrado si rivolge a Francesco: «Francé, mi hai sentito?» Il tono di Corrado presagiva una minaccia, come se nostro fratello avesse intuito le intenzioni di Francesco. "Uomo avvisato, mezzo salvato" si dice e, se mio fratello non avesse colto l'antifona, non l'avrebbe passata liscia.

Francesco deglutì. «Sì, certo.» disse.

Corrado annuì, prima di uscire dalla nostra stanza. Io e Daniele tirammo un respiro profondo, pensando che, forse, l'entrata in scena di Corrado avrebbe fatto desistere Francesco.

«Ci è mancato poco.» disse, andandosi a sedere sulla sedia della scrivania. Guardò l'orologio sul polso e poi disse: «Credo che se uscirò a mezzanotte starò più tranquillo.»

«Cosa? Hai sentito Corrado cosa ha detto?» scattai io. Come faceva ad avere ancora voglia di evadere?

«Sì, l'ho sentito. Mi ha solo avvertito, ma senza prove non sapranno che sono uscito, e starò attento.»

«Per quanto tu possa stare attento, Francesco, se ti fai prendere ci andiamo di mezzo anche noi e Corrado ci ha avvertiti.» Daniele provò con più calma a spiegargli la situazione. Non era di certo quella giusta per uscire di casa e andare a una festa sulla spiaggia. Per quanto potesse essere unica e, per quanto potesse essere importante quella ragazza, non ne valeva la pena.

Francesco sbuffò, annoiato dalle nostre parole di avvertimento. «State tranquilli, andrà tutto bene.»

***

Quella sera andammo a letto presto. Non eravamo riusciti a convincere Francesco a non mettere in atto il suo piano. Si era addirittura lavato e vestito e si era messo sotto le coperte fingendo di dormire, nel caso in cui Donato o gli altri, fossero entrati a controllare se stavamo dormendo. A mezzanotte scattò la sveglia, Francesco la spense subito, ma anche io e Daniele la sentimmo.

Nel buio della nostra stanza non vedevo nulla, ma sentii chiaramente Francesco scendere le scale del suo letto a castello e aprire lentamente la porta. Stai attento, pensai. Poi, non sentii più niente, nemmeno i passi di Francesco nel corridoio. Purtroppo, però, sentii la porta di casa chiudersi e, se l'avevo sentita io che mi trovavo nella camera più lontana, di certo l'aveva sentita anche Donato. Sperai che fosse già nella fase REM.

***

Era mattina. Aprii gli occhi di scatto, balzai giù dal letto e andai verso quello di Francesco: per fortuna era ancora lì che dormiva della grossa. Sospirai, felice del fatto che fosse andato tutto bene e che non l'avessero beccato.

Ci dirigemmo in cucina per fare colazione e lì, Donato e Simone, erano già operativi: preparavano la colazione. Guardai sul muro, accanto al frigo, la tabella delle faccende: quel giorno toccava a loro due cucinare e fare i piatti, a me toccava spazzare e rassettare, a Corrado fare la lavatrice e mettere i panni ad asciugare, ad Andrea toccava andare a fare la spesa, e a Francesco pulire i bagni. A disfare i letti ognuno ci pensava da sé. La nostra era un'organizzazione perfetta, senza, la nostra casa sarebbe stata un guazzabuglio.

Donato e Simone avevano preparato latte e caffè per tutti e i toast. Mi sedetti al mio solito posto a tavola e cominciai a imburrare il mio toast.

«Francesco non si è ancora alzato?» chiese Simone.

Alzai la testa di scatto, mi guardai intorno: l'unico che mancava all'appello era Francesco, eppure l'avevamo svegliato. Evidentemente era distrutto dalla notte prima.

Alzai le spalle, fingendo ingenuità.

«Andrea, lo vai a chiamare per favore?» gli disse Donato. Lui e Simone erano ancora indaffarati a preparare la colazione, altrimenti lo avrebbero buttato loro giù dal letto.

Andrea aveva già finito di fare colazione, posò la sua tazza e il suo piatto nel lavello, e si diresse a svegliare Francesco. Rabbrividivo al pensiero di in che stato potesse essere Francesco, dopo una notte passata fuori a fare baldoria.

Dopo qualche minuto, Andrea rientrò in cucina seguito da Francesco, che si strofinava gli occhi da sotto gli occhiali. Dallo sguardo che rivolse Andrea a me e a Daniele, era evidente che aveva capito tutto, ma stette zitto, non avrebbe mai fatto la spia.

Francesco non disse nemmeno "buongiorno", si sedette al suo posto e appoggiò il viso sulle mani. Aveva gli occhi chiusi, non riusciva a stare sveglio: era stanchissimo.

«Notte brava?» chiese Donato sarcasticamente, poggiando il caffè latte davanti a Francesco.

«Oh, si.» farfugliò Francesco, abbozzando un sorriso, forse ripensando alla serata.

«Che vuol dire? Sei uscito?» lo rimbeccò Donato. Donato stava scherzando, ma Francesco in due secondi era riuscito a farsi sgamare.

Francesco si rese conto del pasticcio che aveva combinato; sorseggiò il suo caffè latte lentamente e poi guardò Donato negli occhi. I suoi occhi erano rossi e segnati da due enormi occhiaie nere. «No.» gli disse. «Non ho dormito bene.» La scusa più stupida che potesse inventare. E io non volevo essere presente quando la bomba sarebbe esplosa.

Diedi un paio di morsi al mio toast e poi mi alzai. Daniele mi seguì a ruota: si alzò anche lui da tavola, ma Donato ci fermò. «Fermi voi due.» ci disse. Ecco, era finita. Ci aveva beccato. Io e Daniele restammo in piedi, fermi, accanto alla tavola.

«Francesco dove sei stato ieri sera?» chiese Corrado a Francesco.

«Nel mio letto.» si difese Francesco, come faceva a restare così calmo, per me, era un mistero.

«Non dire bugie.» intervenne Simone. Simone odiava le bugie, anche se, per quanto provasse a nasconderlo per non passare per quello troppo accondiscendente, era sempre molto dolce con noi. Ma le bugie proprio non gli piacevano. «Si vede dalla tua faccia che stanotte sei uscito a far baldoria.» continuò.

«No.»

«Francesco...» lo rimproverò Donato.

«E va bene, sono uscito!» confessò. «Ma sono tornato presto.»

«Francesco eri in punizione.» gli fece notare Corrado. Anche io e Daniele gliel'avevamo detto più volte, ma era stato del tutto inutile.

«Lo so, mi dispiace.»

«Voi due lo sapevate?» chiese Donato a me e a Daniele. Ci limitammo ad annuire e ad abbassare la testa.

«Bene.» disse Donato. «Corrado tu pensa a Francesco, a questi due ci penso io.»

Rabbrividii alle parole di Donato. Francesco era sotto la tutela di Corrado che avrebbe provveduto a punirlo, io e Daniele, invece, saremmo stati puniti da Donato. Probabilmente tutto ciò potrà sembrare esagerato e anche assurdo, ma sapevo che non avremmo dovuto coprire Francesco; alimentare quel genere di comportamento, secondo Donato, era sbagliato. Sapevo, però, che la colpa era in gran parte di Francesco e, in quel momento, provai odio nei suoi confronti. Gli avevamo chiesto di starsene buono e di non fare cazzate, ma non ne aveva voluto sapere.

Donato si avvicinò a noi e io e Daniele indietreggiammo d'istinto. Incrociò le braccia sopra al petto e ci squadrò: era evidente che stava pensando a come punirci. Non lo trovavo giusto per niente, Francesco aveva trasgredito e anche noi saremmo stati puniti. Non era giusto, ma me lo tenni per me. A differenza mia, Daniele, fremeva per controbattere, ne ero certa.

«Vediamo...» Donato si guardò intorno, fissò la tabella delle faccende ed ebbe l'ispirazione. «Oggi, visto che non dovete andare a scuola perché è sabato, visto che non dovete nemmeno andare alla scuola di ballo, farete voi due tutte le faccende di casa, comprese le vostre e quelle di Francesco.» Anche quelle di Francesco? Ma è assurdo! «Obiezioni?» chiese Donato in evidente segno di sfida.

«Sì!» scattò Daniele. Ecco, lo sapevo. «Non è giusto, lui fa le cazzate e anche noi dobbiamo essere puniti!»

«Daniele, modera i termini.» gli disse Simone.

«Anche lui sarà punito.» rispose Donato.

«Sì, ma...»

«Daniele, ma di cosa stiamo discutendo?» lo bloccò Donato. «Le conoscete le regole.» Già, le regole. Ferree, ma necessarie, diceva sempre nostro fratello. Non le capivo, a volte le trovavo assurde, eppure le rispettavamo tutti, anche Daniele che stava discutendo. Lo sapeva, ma ci provava lo stesso, ogni volta, a controbattere. Solo dopo molti anni, ho capito quell'esigenza così esagerata dei miei fratelli, ma questo è un altro discorso. In quel momento, invece, mi ritrovai a dar ragione a Donato, e sperare che Daniele la smettesse di discutere. Gli piantai una gomitata nelle costole per farlo smettere e lui mi guardò, afferrando il senso di quel mio gesto. «Che palle...» borbottò, che tradotto voleva dire: "Accetto a malincuore questa cosa." 

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