La tutela
Era martedì sera ed eravamo tutti seduti al tavolo nel salone a cenare. Simone aveva invitato a cena anche la sua fidanzata, Beatrice. Mio fratello e Beatrice stavano insieme ormai da quasi sei anni, Simone l'aveva conosciuta grazie a una delle marachelle dei miei fratelli.
Quando eravamo più piccoli, infatti, Francesco e Daniele non facevano altro che organizzare scherzi assurdi a me e agli altri, naturalmente tutti finivano nel peggiore dei modi: venivano messi in punizione dal fratello maggiore che li beccava in quel momento. L'ultimo scherzo, però, era finito davvero male. Francesco e Daniele avevano avuto la brillante idea di svegliarci tutti con dei petardi, gli imbecilli, però, erano troppo piccoli e incoscienti per maneggiarli e, per poco, Daniele non perse la mano. Simone lo accompagnò all'ospedale per farlo medicare e fu proprio lì che conobbe Beatrice, la quale lavorava come infermiera all'ospedale.
Quella sera a cena aveva cucinato Corrado; aveva preparato per l'occasione il filetto di manzo con contorno di verdure grigliate. Quando veniva Beatrice, i miei fratelli cercavano sempre di comportarsi nel migliore dei modi per far fare bella figura a Simone. A me Beatrice non dispiaceva, era una ragazza simpatica, a posto. Era molto carina: aveva dei lunghi capelli castani, gli occhi grandi e verdi e una carnagione olivastra. Caratterialmente era perfetta per Simone, molto espansiva, logorroica e soprattutto molto paziente. Tra i miei fratelli Simone non era di certo quello più testardo, ma era anche quello con cui bisognava avere più pazienza, ci metteva un po' ad aprirsi.
«La carne è davvero ottima, Corrado, complimenti.» disse Beatrice a mio fratello.
Corrado sorrise gongolando per il complimento. «Grazie mille, ne vuoi ancora?» chiese lui.
«Oh, no, grazie. Sono a posto!» Sorrise con gentilezza Beatrice.
«Come va il lavoro?» le domandò Donato.
«Bene, è faticoso a volte, soprattutto quando ho i turni di notte e nel weekend, quando i ragazzi ci vanno giù pesante con l'alcool, non avete idea di quante io ne veda...»
Beatrice si bloccò quando notò la nostra espressione disgustata, non era proprio un argomento adatto a una conversazione mentre mangiavamo. È proprio questo che intendevo quando ho descritto Beatrice come "logorroica", a volte parlava troppo.
«Ad ogni modo...» continuò guardando la sua carne nel piatto «È appagante riuscire ad aiutare tutte quelle persone, certo non sono un medico, non salvo proprio vite, ma...»
Si bloccò, finalmente.
Le sorridemmo e annuimmo.
Per quanto fosse una brava ragazza, a nessuno di noi piaceva quando parlava del suo lavoro, eravamo tutti abbastanza sensibili riguardo gli ospedali, medici e cose simili. Mi chiedevo, infatti, come fosse saltato in mente a Donato di chiederle del suo lavoro. Dopo l'incidente dei nostri genitori, entrare in ospedale ci faceva rivivere ogni volta il trauma della loro morte. L'ultima volta che li avevamo visti, era stato in un letto d'ospedale, in fin di vita. Io ho dei ricordi confusi, ero troppo piccola. Ricordo solo il caos che ci fu subito dopo la notizia della morte dei nostri genitori: le urla, i pianti isterici...
«E, oltre a questo, hai qualche novità?» chiese Giovanni scoccando un'occhiataccia a Donato per la domanda che aveva posto a Beatrice.
Donato lo guardò scuotendo la testa innocentemente.
«Beh...» farfugliò Beatrice, per poi guardare Simone seduto accanto a lui.
Si guardarono per un qualche secondo e poi Simone si girò verso di noi. «Tra un anno ci sposiamo.» annunciò.
«Oh, ragazzi, è fantastico!»
«Complimenti!»
«Grande, fratello!»
«Auguri!»
Ci congratulammo tutti con Simone e Beatrice, eravamo tutti contenti del fatto che Simone avesse scelto finalmente una data per sposarsi, l'unico che non sembrava essere particolarmente entusiasta era Daniele.
«Grazie, ragazzi» ci disse Simone. «C'è solo un unico problema di cui dovrei parlarvi.»
«Di che si tratta?» chiese Donato. Donato avrebbe fatto tutto per la felicità di uno di noi.
«Io.»
La voce di Daniele spuntò dal nulla. Ci girammo tutti a guardarlo, perché doveva essere lui il problema di Simone?
Simone sembrò stranito da quello che aveva appena detto Daniele, aprì la bocca, poi la richiuse, deglutì.
«Sì, io, ho intenzione di sposarmi quando Daniele avrà compiuto diciotto anni, ma secondo le regole del giudice sarà ancora sotto la mia tutela fin quando non sarà indipendente. E, beh, ecco, io...»
«Non puoi certo portartelo a vivere con te e tua moglie.» lo anticipò Corrado.
«Già.» confermò Simone.
Era quello il problema di Simone: voleva liberarsi della tutela di Daniele. In fondo ho sempre pensato che, se non fosse stato per quell'"ostacolo", si sarebbe spostato anche prima.
Daniele aveva la testa bassa, si contorceva il labbro inferiore e aveva le punte delle orecchie rosse, stava cercando di non esplodere, era evidente. Doveva fargli male la decisione di Simone, io non so come l'avrei presa se Donato avesse deciso di non essere più il mio tutore legare, soprattutto come in quel caso, in cui sembrava decisamente un peso per lui.
«Vorrei che uno di voi prendesse la sua tutela al posto mio, così che possa stare tranquillo.» disse ancora Simone.
Di sottecchi vidi David accarezzare la schiena a Daniele e sussurrargli qualcosa all'orecchio. Daniele annuì a quello che gli disse David e sembrò più calmo, smise di mordersi il labbro e alzò la testa per vedere come procedeva la conversazione. David e Daniele avevano fatto pace ormai dopo l'ultima azzuffata, anche se Daniele aveva proibito categoricamente a David di parlargli della nostra relazione.
«Io non posso prendere un altro dei miei fratelli sotto la mia tutela, ne ho già due e il giudice non me ne farebbe prendere altri.» fece notare Donato.
«Lo prenderei io, se non fosse che non voglio nessun tipo di responsabilità.» scherzò Giovanni.
Nessuno di noi era stato affidato a Giovanni, sia perché all'epoca era troppo giovane e sia perché nessuno dei miei fratelli lo riteneva in grado di prendersi una simile responsabilità e, a quanto sembrava, anche lui la pensava così.
«Io posso vedere se il giudice me ne affida un altro. Se è così lo prendo io.» s'inserì Corrado.
Dopo le parole di Corrado, Daniele si alzò dal tavolo di scatto. «Avete finito di parlare di me come se fossi un sacco di patate? "Io non posso prenderlo, forse lo prendo io..."» urlò imitando la voce di Donato e Corrado.
«Daniele, calmati.» gli disse Corrado.
«No.» rispose lui scuotendo la testa, sul punto di scoppiare a piangere. Si mosse dalla sua posizione e camminò a grandi passi intenzionato a lasciare la stanza.
«Daniele, dove vai? Fermati!» esclamò Donato.
«In camera mia, non ho più fame.» borbottò, senza girarsi e continuando a camminare.
«Daniele!» lo richiamò severamente Simone.
A sentire la voce del suo tutore legale, Daniele si fermò, restò girato di schiena per qualche secondo, poi si girò di nuovo verso di noi. Fissò Simone con lo sguardo pieno di lacrime. «Che c'è?» chiese, rabbioso.
«Ritorna a sederti.» gli ordinò Simone.
«Perché dovrei darti retta? Non vuoi più la mia tutela o sbaglio?» lo sfidò Daniele.
«Prima di tutto non ho mai detto di non volerla più, non posso più averla. E secondo: sei ancora sotto la mia tutela, perciò ti conviene sederti o...»
«O?» lo interruppe Daniele «Cosa mi fai se non ti ubbidisco?» lo sfidò ancora Daniele.
Non sapevo davvero come facesse Daniele ad avere quel coraggio, io non avevo mai sfidato così apertamente i miei fratelli.
Simone si alzò di scatto dal tavolo, intenzionato ad andare verso Daniele, ma Donato e Beatrice lo fermarono giusto in tempo.
«Basta!» urlò Donato. «Daniele, vai in camera tua, e ritieniti in punizione.»
«Cosa?» sbottò Daniele, sorpreso. «E per quale motivo sarei in punizione?»
«Daniele stai davvero superando il limite, se non la smetti subito io...» sbraitò Simone ancora trattenuto da Donato e Beatrice.
«Tu, cosa? Che mi fai?» disse Daniele allargando le braccia per sfidare ancora Simone.
Simone imprecò cercando di divincolarsi dalla stretta di Donato, ma non ci riuscì. «Calma, Simone, calmati!» urlò Donato.
Corrado andò da Daniele e lo prese per il braccio destro. «Cammina.» gli ordinò. Daniele protestò, ma Corrado gli disse ancora: «Cammina, muoviti.»
Lo trascinò letteralmente Daniele fuori dal salone, probabilmente lo avrebbe portato nella sua stanza per fargli una delle sue speciali ramanzine.
«Donato, lasciami.» disse Simone a Donato.
«Solo se prometti che non andrai da Daniele.»
Simone sbuffò. «Ho bisogno di parlare con lui.»
«Quando ti sarai calmato.»
Donato e Simone si guardarono per un po' negli occhi, poi Simone annuì. Sbuffò e si risedette a tavola. Beatrice sembrò calmarsi a sua volta, si sedette al suo posto e tenne gli occhi bassi.
Donato tornò a sedersi solo quando, dopo alcuni minuti, Corrado rientrò nel salone. Si sedettero e, in un silenzio imbarazzante, continuammo la cena.
***
Simone era seduto sulla sedia posta accanto allo specchio, teneva in mano il foglio sul quale c'erano scritti tutti i nomi di noi allievi. A ogni lezione Simone faceva l'appello e chi arrivava tardi o mancava, aveva un'assenza che a fine anno avrebbe abbassato il voto dell'esame finale.
«Grimaldi Roberta.» urlò Simone per farsi sentire.
«Presente.»
«Leonardi Andrea.»
«Presente.»
«Leonardi Daniele.»
Nessuna riposta.
Simone alzò la testa dal foglio, mentre noi ci guardavamo intorno, scrutandoci l'uno con l'altra alla ricerca di Daniele.
«Leonardi Daniele.» ripeté Simone.
Niente. Daniele non era in aula.
«È in ritardo, o cosa?» chiese decisamente alterato Simone.
Dopo quella discussione che avevano avuto a cena non si erano più parlati, Daniele aveva rifiutato di sentire le ragioni di Simone e, se conoscevo mio fratello – e lo conoscevo molto bene –, non era in ritardo, ma aveva deciso di saltare la lezione per non darla vinta a Simone.
«Credo sia in ritardo.» dissi, comunque. Non mi andava di sentirli litigare di nuovo. «Lo vado a chiamare?» Forse sarei riuscita a convincere mio fratello a entrare in aula e a deporre l'ascia di guerra.
Simone sbuffò. «Sì, grazie.»
Uscii dall'aula e andai a cercare Daniele: dovevo convincerlo.
Lo trovai seduto dietro la scrivania all'entrata. Aveva i jeans e la maglietta a mezze maniche, era evidente che non aveva nessuna intenzione di andare a seguire la lezione di Simone. Era rimasto alla scuola di danza, però, in una zona abbastanza visibile, era logico che lo stava facendo di proposito. Far vedere a Simone che non voleva seguire la sua lezione.
«Dany...» lo chiamai avvicinandomi. «Non vieni alla lezione di Simone?» gli chiesi.
Daniele mi guardò. «No, non mi sento bene.» disse.
Alzai gli occhi al cielo, era evidente che fosse una bugia. «Se stai male, perché non sei andato a casa?» gli domandai sarcasticamente.
Daniele mi guardò aggrottando le sopracciglia, perplesso. «Che c'è? Stai dalla sua parte?» esclamò alzandosi dalla sedia.
Sospirai. «No, Dany, non sto dalla sua parte, penso solo che tu stia... esagerando...» bisbigliai volontariamente l'ultima parola.
«Esagerando?» scattò Daniele sorpassandomi ed uscendo dalla zona "segreteria". «Simone ha anteposto il suo matrimonio alla mia vita!» urlò.
«Oh, andiamo, Daniele, cosa avrebbe dovuto fare? Simone ha quasi trent'anni, quanto ancora deve aspettare per mettere su famiglia? I nostri fratelli hanno fatto anche di più di quanto dovessero, hanno il diritto di vivere la loro vita.»
«Parli così solo perché non è Donato che vuole cedere la tua tutela a un altro fratello, che cosa faccio se il giudice non concede la mia tutela a Corrado? Vado a vivere con Simone e la moglie?»
«Perché non dovrebbero concedergliela?»
Daniele alzò le spalle. «Non lo so, potrebbe succedere, potrebbe volerci tempo e nel frattempo io che faccio? Mi trasferisco con loro? Vado a occupare la stanza che dovrebbe essere dei loro figli? O, meglio ancora, faccio da babysitter quando nasceranno? Che ne pensi? Non è un bel quadretto?»
«Daniele smettila.» borbottai. Stava delirando e la cosa non mi piaceva per niente.
«E perché dovrei? Tanto qualsiasi cosa io dica o faccia non cambierà di certo la realtà.» disse, prima di dirigersi verso la porta della scuola di danza.
«Dove vai?» lo richiamai.
«Seguo il tuo consiglio: vado a casa.» mi disse, prima di uscire davvero.
Sbuffai. Daniele non accennava a voler perdonare Simone e continuava a sfidarlo, come potevo tornare in sala e dire a mio fratello che Daniele si era assentato volutamente? Quando mi girai per tornare in sala, però, mi trovai di fronte Simone.
Sussultai. Non dovevo spiegargli niente, a quanto pareva aveva assistito a tutto.
«Simone, ci ho provato...» sussurrai.
«Tranquilla, ritorna in sala.» rispose.
Annuii e feci quanto mi disse: ritornai in sala. Ma, prima di entrare, mi girai a guardarlo: aveva la testa bassa e le mani sul volto.
Durante la lezione, Simone sfogò tutta la sua rabbia su di noi: ci fece sgobbare come non aveva mai fatto fino a quel momento.
Quando finì sospirai sollevata.
Prima di andarci a cambiare per la lezione di Giovanni, David mi chiese di Daniele.
«Non sta bene.» ammisi.
«Ho provato a parlarci anch'io, ma non sente ragioni, non voglio insistere o litigheremo di nuovo e non voglio.»
«Già.»
Abbassai la testa sconsolata, chiedendomi quando quella tensione che si respirava in casa nostra si sarebbe attenuata.
«Stai tranquilla.» mi disse scoccandomi un bacio sulla fronte.
Sentii tossire dietro di noi. «"Niente effusioni", avevamo detto.»
Io e David ci girammo a quelle parole: era Giovanni.
Gli sorrisi, ma lui non ricambiò il mio sorriso, eppure pensavo che stesse scherzando, era serio? Possibile?
«Noi non stavamo...» mi difesi. Era un innocente bacio sulla fronte.
«Certo, certo, andatevi a cambiare.» disse ancora più seriamente di prima. Che cavolo prendeva anche a lui?
In quel momento non avevo intenzione di indagare sulla bipolarità di Giovanni, per cui feci quanto mi disse: mi andai a cambiare e lo stesso fece anche David.
Anche la lezione di Giovanni fu massacrante, era nervoso anche lui, e io non ne potevo più, loro erano nervosi e noi ne pagavamo le conseguenze!
Mi posi le mani sulle ginocchia e respirai a fondo per riprendere fiato, mentre Giovanni riprendeva Laura.
«Mi scusi, maestro.» disse lei evidentemente dispiaciuta.
«Non voglio sentire più scuse, voglio solo che facciate come vi dico, e dammi del tu!» urlò.
Sobbalzammo tutti a quell'urlo.
Ritornammo a seguire la lezione e, quando finalmente finì, entrammo tutti nello spogliatoio borbottando imprecazioni.
Sentii le ragazze parlottare a basse voce sul cambiamento d'umore di Giovanni, era strano che si fosse comportato in quel modo, nessuno di noi c'era abituato.
«"E dammi del tu!".» Laura imitò Giovanni. «Come se non gli piacesse farsi dare del lei, o essere chiamato "maestro".» continuò con una punta di malizia nella voce.
Cosa significa? «Che cosa intendi?» le chiesi.
Si girarono tutte verso di me, sorprese che le avessi rivolto la parola.
Laura rise alla mia domanda. «Non credo che tu lo voglia sapere.» rispose, prima di scoppiare a ridere ancora con le altre.
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