La pecora nera della famiglia
Ero seduta al tavolo in cucina e stavo facendo i miei compiti di latino. Mi ero sistemata in cucina per studiare e non in camera mia come sempre perché Donato mi aveva promesso che mi avrebbe aiutato, invece stavo facendo tutto da sola. Infatti, non solo non mi stava aiutando, ma stava compilando – insieme a Simone e a Corrado – i moduli per la tutela. Ogni anno dovevano compilare quei moduli in cui assicurano al giudice che continuavano a prendersi cura noi, che noi eravamo in buona salute, che andavamo a scuola e così via.
Simone era seduto a capotavola, che di solito era il posto di Donato; Donato era seduto alla sua sinistra e io ero accanto a lui. Corrado era seduto dall'altra parte, di fronte a Donato.
Mentre io ero intenta a cercare di tradurre una versione di Cicerone, Daniele entrò in cucina, si avvicinò incuriosito a noi per vedere cosa stessimo facendo e, quando vide che erano i moduli per la tutela, storse la bocca.
«Daniele, quando sei nato?» gli chiese Simone senza alzare la testa dai fogli.
Daniele lo guardò truce. «Stai scherzando?» disse, «Non ti ricordi quando sono nato?»
Simone sorrise «Certo che me lo ricordo, sto scherzando.» rispose.
Daniele scosse la testa, sembrava che non ci credesse tanto all'affermazione di Simone.
Quando Daniele andò a prendersi una bottiglina d'acqua dal frigo, Simone bisbigliò a Donato: «98 o 97?»
Voleva sapere se Daniele era nato nel 1998 o nel 1997, visto che non lo ricordava.
«98.» rispose Donato ridacchiando di nascosto.
Daniele mi venne dietro per vedere cosa stavo facendo, lo guardai infastidita mentre girava a caso le pagine del mio vocabolario, non aveva altro da fare?
Per fortuna, prima di urlargli contro, se ne andò a sedere sul bancone della cucina.
«Avete risolto per la mia tutela?» chiese.
«No.» rispose Simone.
«Pensavo...» disse Daniele, e con il piede sinistro cominciò ad aprire e chiudere il cassetto delle posate che era sotto di lui. «Tra qualche mese compio diciotto anni, prendo il diploma e me ne vado a vivere da qualche parte nel mondo, non lo so, magari a Londra, Berlino, o in America come ha fatto Giovanni.»
«Ah, sì?» chiese Corrado incuriosito «E con quali soldi, sentiamo?»
«Me li date voi.» rispose semplicemente Daniele.
«Te lo puoi scordare.» lo rimbeccò Simone.
«Perché? Non capisco! Dovreste essere contenti della mia richiesta: non mi avreste più tra i piedi, non dovreste più mantenermi e in più si risolverebbe la questione della tutela.»
«Forse non ti è chiara la situazione, Daniele, il giudice non mi toglie la tutela fin quando tu non sarai indipendente, se vai a vivere all'estero con i tuoi sforzi e ti trovi un lavoro lì allora si risolve la cosa, altrimenti non cambia nulla tra il mantenerti qui o in un paese straniero.» gli rispose Simone.
«Va bene, mi trovo un lavoro lì. Farò il cameriere.» disse ancora con semplicità Daniele.
«Se vuoi proprio fare il cameriere lo puoi fare anche qui, non ti pare?» gli fece notare Corrado.
«Non è la stessa cosa.»
«Oh, Dio.» imprecò Simone alzando gli occhi al cielo.
«Davvero non vi capisco.» continuò Daniele.
«Daniele, se vuoi essere dichiarato indipendente trovati un lavoro e smettila con questa storia, nessuno di noi ti darà i soldi per vivere in un paese straniero. E smettila di aprire e chiudere il cassetto, se lo rompi, ti rompo la testa!» gli disse Donato.
Daniele smise subito di aprire e chiudere il cassetto con il piede. Sbuffò spazientito e scese dal bancone.
«Siete incredibili.» farfugliò allontanandosi dal tavolo. «Giovanni come hai fatto a trovare i soldi per andare in America?» chiese d'improvviso.
Alzai la testa: non mi ero resa conto che Giovanni era entrato in cucina.
Giovanni stava per rispondere quando Simone lo anticipò. «Giovanni, se glielo dici ti ammazzo.» gli disse.
Giovanni guardò Simone, poi guardò Daniele con uno sguardo compassionevole. «Mi dispiace.» disse dandogli una pacca sulla testa come a confortarlo.
Daniele grugnì arrabbiato, si girò verso Simone e poi marciò uscendo dalla cucina per andare in camera sua.
«Io esco.» ci disse Giovanni.
«Ciao.» rispondemmo in coro.
Dopo qualche minuto Donato finì di compilare le carte e venne a controllare come procedeva la versione. Donato aveva frequentato il liceo classico come me, era l'unico che sapeva aiutarmi per le versioni di latino e greco.
Mi disse che dovevo sistemare un po' l'ultima frase che sembrava senza senso e poi il resto andava bene.
Sorrisi raggiante e copiai in bella la versione finita.
Dopo aver finito di studiare, presi i libri dal tavolo e ritornai in camera mia. Appena entrai trovai David e Andrea che giocavano alla playstation, erano entrambi seduti sul mio letto e fissavano il televisore di fronte a loro premendo furiosamente i tasti del joystick.
Daniele era seduto sul suo letto e giocherellava col cellulare.
«Ya snova vyigral! Ya luchshiy!» esclamò all'improvviso David lasciando andare il joystick e alzando le braccia al cielo.
«Traduci.» gli disse Andrea guardandolo scocciato.
«Ho detto,» disse ridacchiando, «che ho vinto di nuovo e che sono il migliore!»
«È solo fortuna! Voglio la rivincita.»
«Se proprio ti piace perdere...»
«Zitto e gioca.»
Ridacchiai a quella scena.
Andai a posare i libri sulla scrivania e poi mi andai a sedere accanto a David sul letto. Lui mi guardò di sottecchi, ma non si deconcentrò dal gioco. Stavano giocando a Fifa, Andrea aveva scelto il Milan e David il Real Madrid.
«Finita la versione?» mi chiese David senza mai staccare gli occhi dal gioco.
«Sì.»
Restai a guardare il gioco in silenzio, David segnò dopo pochi minuti dall'inizio della partita.
«No!» si lamentò Andrea.
David ghignò senza dire niente.
«Martina, che c'è? Ti vedo strana.» mi chiese all'improvviso Andrea.
Aggrottai la fronte perplessa, strana? Non avevo niente di strano, e poi soprattutto come poteva dire una cosa del genere se era concentratissimo sul gioco?
«Niente, non sono strana.» risposi.
«Sicura?» continuò a chiedere.
«Sì.» affermai più sicura di prima.
David si girò a guardarmi, mi scrutò per qualche secondo. «Che hai?» mi chiese.
«Goal!» urlò Andrea.
«Cosa?» chiese David perplesso ritornando a guardare lo schermo. «Non vale, mi sono distratto, hai barato!»
«Lo so» ammise Andrea. «Grazie sorellina per aver retto il gioco.» mi disse.
Gioco? Quale gioco?
David si girò verso di me fulminandomi.
Scossi la testa innocentemente «Ti giuro che ha preso in giro anche me!» gli dissi per difendermi.
Andrea e Daniele scoppiarono a ridere prendendoci in giro.
David si gettò su di me e mi fece stendere sul letto, lanciai un urletto per la sorpresa. Cominciò a farmi il solletico e io mi dimenai sotto di lui implorando di smetterla. «Da che parte stai, eh?» mi chiese ridendo.
«Dalla tu... ah! David, smettila!» urlai cercando di bloccargli i polsi.
Finalmente smise di torturami, avevamo entrambi l'affanno per quanto avevamo riso. Se fossimo stati da soli gli sarei saltata addosso, ma ovviamente non lo eravamo. Non lo eravamo mai.
«Ragazzi, posso dare un bacio a vostra sorella?» chiese inaspettatamente David ai miei fratelli.
«No» risposero categoricamente e in sincronia Andrea e Daniele.
«Nemmeno uno sulla guancia?» chiese girandosi verso di loro e assumendo l'espressione da cucciolo implorante.
«Va bene,» Andrea alzò le spalle, «un bacio piccolo però.»
David sorrise e si abbassò su di me per scoccarmi un tenero bacio sulla guancia. Indugiò un po', approfittando della situazione.
«Oh, ciao Donato.» disse Andrea.
Cazzo.
David si ritrasse subito da me arrossendo. Mi alzai anch'io dalla posizione e Andrea e Daniele scoppiarono a ridere.
Mi sentii avvampare anch'io, ma per l'imbarazzo di essere stata presa in giro: Donato non era entrato nella nostra stanza, ci avevano fregato.
«Questa me la paghi!» esclamò David gettando Andrea a terra con una mossa quasi di wrestling.
Ruzzolarono sul pavimento e cominciarono a fare a botte giocosamente, mentre io e Daniele li guardavamo divertiti.
Furono interrotti da Corrado che entrò nella nostra stanza.
«Daniele, vieni un attimo di là? Dobbiamo parlarti.» esordì Corrado.
Daniele annuì ancora ridacchiando, e seguì Corrado fino alla cucina dove ancora c'erano Donato e Simone.
«Cosa dovranno dirgli?» chiese Andrea.
«Boh,» disse David alzando le spalle, «forse qualcosa riguardo la tutela.»
«Andiamo a sentire» propose Andrea.
«Non credo che sia gradita la nostra presenza, altrimenti non lo avrebbero chiamato per parargli in privato» gli feci notare io.
«Già, infatti ho detto "andiamo a sentire", che tradotto vuol dire "andiamo a origliare"» mi spiegò meglio Andrea.
«Oh.»
Andrea si alzò dal pavimento e uscì dalla stanza, io e David lo seguimmo in silenzio. Origliare la loro conversazione non era certo una bella cosa, ma volevamo tutti sapere cosa avrebbero detto a Daniele.
La porta che divideva il salone dal corridoio era chiusa, così ci posizionammo più vicino a essa per sentire cosa dicevano. Schiacciammo tutti e tre l'orecchio alla porta per sentire bene.
Donato stava spiegando a Daniele l'idea che avevo già origliato di renderlo indipendente facendolo lavorare alla scuola di danza, solo che Donato voleva fregare il giudice. Voleva dare un lavoro a Daniele alla scuola di danza, ma Daniele non avrebbe ricevuto alcuno stipendio o, meglio, non gli avrebbero fatto toccare nemmeno un euro.
«State scherzando? Che senso ha se non posso usare i soldi che mi date?»
«Il senso sta nel renderti indipendente agli occhi del giudice, per togliere la tutela a Simone, non sei ancora maturo per recepire uno stipendio.»
«Voi semplicemente non vi fidate di me! Di cosa avete paura? Che li spenda per stupidaggini?»
«Esattamente, sì.» disse Corrado.
«Io... io... io non...!» grugnì Daniele.
Simone provò a dirgli qualche altra cosa per farlo calmare, ma fu del tutto inutile: non ne voleva sapere, per lui erano degli stupidi a pensare questo di lui.
«Smettila, Daniele!» urlò improvvisamente Simone. «Vedi di finirla altrimenti manterrò la tua tutela e appena mi sposo verrai a vivere con me e mia moglie.»
«Non accadrà mai.»
«Anzi, sai che ti dico?» continuò Simone ignorando completamente quello che aveva detto Daniele, «Inizia a scegliere il colore delle pareti per la tua stanza perché verrai a vivere con me!»
«Non ci vengo a vivere con te e Beatrice!»
«Allora smettila di discutere perché non ci sono altre alternative!»
Daniele non replicò, ma lo sentimmo camminare verso la porta.
Purtroppo nessuno di noi fece in tempo a staccarsi che, appena Daniele aprì la porta, cademmo a faccia a terra uno sull'altro.
Daniele restò sorpreso quando ci vide e si girò verso Donato, Simone e Corrado, che nel frattempo si erano alzati dal tavolo di scatto.
«Che cavolo stavate facendo?» urlò Corrado.
Mi alzai dalla schiena di Andrea e cercai di alzarmi in piedi il più presto possibile.
«Filate a dormire, tutti e quattro!» urlò Donato.
Non ce lo facemmo ripetere una seconda volta, corremmo letteralmente ognuno nella propria stanza a dormire.
***
Eravamo quasi tutti in cucina, stavamo preparando la cena, era quasi pronto, ma stavamo ancora aspettando Donato e Giovanni che non erano ancora tornati dalla scuola di danza.
Finalmente dopo un quarto d'ora la porta di casa si spalancò.
«Entra!» urlò Donato da fuori la porta.
Saltammo dalla paura, che aveva Donato da urlare tanto?
«Entra, disgraziato!» urlò ancora.
Dopo poco vedemmo Giovanni cadere a terra, all'entrata di casa, come se qualcuno l'avesse fatto entrare a calci, ed effettivamente era così.
Giovanni andò a finire steso per terra, con la testa schiacciata sul pavimento. Tentò di strisciare per rialzarsi, ma gli arrivò un calcio nella pancia da Donato.
Sobbalzammo a vedere quella scena e ci paralizzammo, fermandoci dal fare quello che stavamo facendo.
Giovanni rantolò tossendo in modo scomposto, il calcio di Donato sembrava gli avesse smorzato il fiato.
«Sei uno stronzo!» disse Donato afferrando Giovanni per la maglia e costringendolo a girarsi.
Fu allora che mi accorsi che Giovanni stava piangendo; Donato lo teneva stretto per il colletto della maglia e lui singhiozzava e tremava.
Donato alzò la mano destra al cielo per abbattersi sul volto di Giovanni, e Simone, intuendo la situazione, si alzò per andare a fermarlo, ma non fece in tempo e la mano possente di Donato colpì in pieno il volto di Giovanni, lasciandogli il segno evidente delle cinque dita.
Giovanni non reagì, dopo quel colpo cominciò a singhiozzare più forte e provò a ripararsi con le mani il volto. Simone tentò di strappare Giovanni dalla presa di Donato, ma Donato non ne voleva sapere.
In vita mia non ho più visto mio fratello così arrabbiato.
«Donato, calma!» gridò Simone. «Calmati, che ti prende?»
Simone riuscì a fare lasciare la presa di Donato, afferrò Donato per i polsi e lo costrinse a guardarlo negli occhi. Giovanni si rannicchiò a terra, piangendo, tenendosi il volto tra le mani.
«Si può sapere che ti prende? E meno male che odi la violenza!» esclamò Simone.
Era vero. Donato non aveva mai alzato le mani su di noi e in generale era il tipo di ragazzo a cui non piaceva risolvere i problemi con la violenza.
«Questo cretino le merita tutte!» urlò Donato guardando Giovanni.
«Si può sapere cosa ha fatto?» si inserì Corrado.
Noi altri ci limitammo a osservare la scena in silenzio, nessuno di noi voleva far arrabbiare Donato ancora di più.
«Cosa ha fatto? Cosa ha fatto?» urlò ancora Donato avvicinandosi a Giovanni che era ancora steso a terra e piangeva; Simone seguiva i movimenti di Donato per impedire che si scagliasse di nuovo su di lui. «Questo deficiente, questo imbecille di nostro fratello, ha pensato bene di iniziare una relazione con una nostra allieva minorenne, Laura, e la madre oggi è venuta da me dicendo che questo coglione ha raggirato Laura, che l'ha costretta, che la figlia era innocente. E adesso indovinate un po'? La madre di Laura lo vuole denunciare!» Donato si fece più avanti, andando verso Giovanni «Tu lo sai che cosa vuol dire una denuncia per violenza su un minore? Lo sai, sì o no?» urlò facendosi ancora un po' più vicino a Giovanni. Simone prontamente lo trattenne per il busto.
Giovanni girò il viso dall'altra parte per non incrociare lo sguardo di Donato e tra i singhiozzi riuscì a dire: «Lei... lei era consenziente.».
A quel puntò Donato scattò, Simone lo trattenne giusto in tempo. «Consenziente?» urlò, «Consenziente? Ti rendi conto che rischi la galera perché non sai tenerti il cazzo nelle mutande?»
«Donato!» esclamò Corrado.
«Cosa? Cosa? Vi rendete conto della gravità della situazione?» chiese Donato guardandoci tutti.
Sì, ce ne rendevamo conto, anche Giovanni che ancora rannicchiato a terra non aveva il coraggio di guardare Donato ed era in una valle di lacrime. Vederlo così mi faceva stare male.
«Sì, ce ne rendiamo conto» disse Corrado, piano. «Ma non serve a niente urlare o riempirlo di botte, per quanto possa essere liberatorio...» disse guardando Giovanni negli occhi, il quale deglutì abbassando di nuovo la testa.
«Dobbiamo pensare con calma a una soluzione.»
«C'è solo una soluzione» replicò Donato. «Se ne deve andare.»
«Cosa?» chiedemmo tutti in coro.
«Sì.» affermò sicuro Donato. «Te ne devi andare.» disse rivolgendosi a Giovanni. «Dopo fai le valigie e te ne vai, scegli tu dove, l'importante è che te vai da qui.»
«Donato...» riuscì solo a farfugliare Giovanni prima di scoppiare di nuovo a piangere. «Ti prego...»
Donato non si fece impietosire dal fratello che tra i singhiozzi gli chiedeva di cambiare idea. «È inutile adesso che mi preghi, dovevi pensarci prima» affermò con una freddezza che non gli avevo mai visto.
***
Quella notte nessuno di noi chiuse occhio. Nonostante il giorno dopo avessimo scuola, eravamo rimasti tutti con gli occhi puntati sul soffitto, persino David.
La mattina dopo, alle otto, eravamo tutti già svegli e in piedi.
Donato e Giovanni erano vestiti e pronti per andare all'aeroporto. Giovanni aveva preparato la valigia, e quando la vidi sbiancai: era troppo grande per i miei gusti.
Giovanni ci guardò per quale secondo in silenzio, cercando il coraggio per salutarci senza scoppiare a piangere di nuovo. Abbracciò prima Simone, poi Daniele, poi andò a salutare Francesco, il quale singhiozzò sul suo petto, tentai di trattenermi ma scoppiai a piangere anch'io. Dopo aver salutato tutti i fratelli e David, Giovanni venne da me, mi tenne stretta nel suo abbraccio per un po', accarezzandomi piano la testa. Quando ci staccammo aveva gli occhi lucidi, ma per fortuna non stava piangendo a differenza mia.
Mi asciugai le lacrime e lo guardai andare verso Donato.
«Non mi guardate così» disse Donato accortosi che lo stavamo tutti fulminando. La sua decisione era state irremovibile. «È per il suo bene, è meglio che vada via per un po', quando le acque si saranno calmate, tornerà. Vero, Giovanni?»
Giovanni annuì alla spiegazione di Donato arrossendo. «Sì, è meglio così.» confermò.
Secondo Donato se Giovanni fosse sparito per un po' dalla circolazione, la madre di Laura avrebbe cambiato idea sulla denuncia fino a dimenticarsene del tutto. Io non ero d'accordo, a me sembrava tanto un'ammissione di colpa, e una punizione per quello che aveva fatto.
Giovanni ci salutò con «ciao» e lasciò casa nostra.
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