La bella addormentata
Nostro padre ci picchiava, spesso.
Mi picchiò quando scoprì che ero omosessuale, picchiò Giovanni quando non voleva ballare e nemmeno le conto più le volte che ho visto Corrado dimenarsi sotto le sue possenti mani.
C'è una cosa, però, che papà non ha mai fatto: picchiarci per rabbia.
Non ha mai sfogato la sua rabbia su di noi, a modo suo era una punizione.
Ho sempre odiato il suo modo di comportarsi con noi: come ci ha educato, il modo in cui ci trattava, tutto.
Non volevo diventare come lui, ma ero diventato peggio di lui.
L'avevo picchiata per rabbia, perché ero arrabbiato con lei per avermi disubbidito, per essere uscita senza il mio permesso, ed ero molto arrabbiato con Mirko per avergli concesso quel permesso.
E, in quel momento, mentre la guardavo stesa in quel letto senza conoscenza non potevo che sentirmi di merda.
«È tutta colpa mia» dissi con la voce che mi tremava. Cercai di reprimere un singulto: non volevo piangere.
Mirko, seduto accanto a me, sospirò, e sapevo esattamente cosa avrebbe detto di lì a poco.
«Sì che lo è» replicai senza nemmeno dargli il tempo di rispondere.
Lo guardai un attimo: nemmeno lui distoglieva lo sguardo da Martina. Era stato tutto così veloce; dopo la nostra litigata Martina era stata investita da una macchina e per le ferite riportate i medici l'avevano condotta al coma farmacologico, e noi non avevamo fatto davvero pace.
«I medici dicono che si risveglierà e andrà tutto bene» mi disse dopo un po' di silenzio.
«E se non fosse così? Se non potrà più ballare? Come potrò solo guardarla negli occhi se così fosse?»
«Non sarà così...»
«Come fai a saperlo?»
Mirko alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Va bene» ammise annuendo. «Diciamo che è colpa tua, okay? Ti senti meglio?»
«No» dissi scuotendo la testa. «Non mi sento meglio affatto.»
«E allora che cosa vuoi che ti dica?»
«Che andrà tutto bene.»
Mirko si girò a guardarmi, sbalordito. «Te l'ho detto che andrà tutto bene!»
«Non credendoci davvero» gli dissi.
Mirko deglutì: l'avevo colto in fallo, nemmeno lui ci credeva davvero a quello che aveva detto. Dopo tanto tempo passato insieme a lui sapevo leggerlo come un libro aperto.
«Non posso dirti con certezza quello che accadrà, ma posso dirti con certezza che non è colpa tua.»
Aprii la bocca per replicare, ma lui me lo impedì, mettendomi l'indice sulle labbra. «Ascoltami, adesso, perché non te lo ripeterò di nuovo. Sei stato un ottimo fratello per lei e un ottimo padre. Nessun altro si sarebbe comportato come te. Hai sbagliato ad arrabbiarti così, è vero, ma non è colpa tua se è successo quello che è successo e rimuginarci su non serve a niente. Adesso serve che tu e i tuoi fratelli vi rimbocchiate le maniche e che vi prendiate cura di lei ancora di più. E tu, soprattutto, devi occuparti anche di loro.» Mirko concluse il suo discorso indicando con gli occhi a sinistra, seguendo il suo sguardo notai che al di là del vetro Francesco, Daniele e Andrea stavano guardando dentro la stanza.
Potevamo entrare solo a due alla volta in stanza, per cui facevamo i turni; eravamo decisamente troppi.
«Hai ragione» dissi a Mirko. «Facciamo entrare loro.»
Sorrisi leggermente a guardarli dall'altra parte del vetro, i miei fratellini. Nessuno di loro sorrideva, avevano tutti lo sguardo triste, come tutti noi in quei giorni, del resto. Ma avevo motivo per credere che quel sorriso sarebbe ritornato sul loro volto non appena Martina si fosse svegliata.
Mi avvicinai a lei e delicatamente le accarezzai il volto, le diedi un bacio sulla fronte e poi mi alzai dalla sedia sulla quale ero seduto.
Mirko imitò i miei movimenti. Mi girai a guardarla un attimo prima di uscire dalla stanza: dormiva tranquillamente. Cercai di reprimere nuovamente le lacrime e uscii dalla stanza.
Francesco, Daniele e Andrea non ci diedero nemmeno il tempo di uscire che già si stavano fiondando nella stanza. Trattenni Andrea, prendendolo per il colletto della maglia.
«Due alla volta» gli ricordai.
Andrea mi guardò con uno sguardo carico d'odio, poi si girò a guardare i suoi fratelli che erano già entrati in stanza e avevano fatto prima di lui.
Sbuffò e ritornò fuori, ma stavolta non si attaccò al vetro e si sedette sulle sedie poste fuori la stanza.
Mi andai a sedere accanto a lui mentre Mirko andava a prendere qualcosa da bere al distributore.
Andrea guardava fisso davanti a sé, non avevo idea a cosa stesse pensando, ma sapevo che se anche gliel'avessi chiesto non me l'avrebbe detto.
Restammo in silenzio per un po' io e lui, fin quando non arrivò David. Venne subito a salutarci e non notai Ilian alle sue spalle.
«Avevo bisogno di un passaggio» disse David quasi per scusarsi di aver portato suo fratello.
Annuii e gli sorrisi. «Non c'è problema» gli dissi.
Ilian non ci salutò nemmeno, fece solo un cenno con la testa, che secondo la sua mentalità sarebbe dovuto essere un saluto. Lo ignorai, anche se avrei voluto prenderlo a schiaffi, e lo osservai accomodarsi su una sedia più lontana dalle nostre.
«Dentro ci sono ancora Francesco e Daniele» informai David.
«Va bene» rispose lui girandosi a guardare la stanza dal vetro. «Aspetterò.»
Ci ritrovammo così a guardare tutti – tranne Ilian – Francesco e Daniele che parlavano con Martina, anche se lei non poteva rispondere. Sembrava che si stessero divertendo, ridevano e scherzavano come se le stessero raccontando qualcosa di molto divertente.
Scossi la testa cercando di togliere dalla mia mente il pensiero di Francesco e Daniele che ne avevano combinate un'altra delle loro, e pensai, invece, che magari le stessero raccontando qualche altra cosa e non le loro marachelle.
In quei giorni cercavo sempre di più di trattenermi; di trattenermi dal domandare loro come andava a scuola, di trattenermi dal fargli delle ramanzine per qualcosa che dicevano o facevano, di trattenermi dal comportami come avevo fatto in quegli anni. Non potevo comportami come sempre, era una situazione particolare e non volevo stressarli ulteriormente.
Dopo un po' Francesco e Daniele uscirono dalla stanza e io lasciai che David entrasse.
«Ehi!» si lamentò Andrea.
Sobbalzai ridestandomi: avevo dimenticato che stesse aspettando il suo turno.
«È il fidanzato,» gli dissi cercando di fargli indorare la pillola, «lo facciamo passare avanti, che dici?»
Andrea sospirò e incrociò le braccia sul petto borbottando qualcosa che non sentii.
«Che ci fa lui qui?» mi chiese Daniele chiaramente riferendosi a Ilian.
Ilian era ancora seduto sulla sedia, aveva il cellulare in mano e giocherellava con esso.
«Ha accompagnato David» gli risposi.
Daniele fece uno sbuffo di disapprovazione.
***
Ero ancora seduto su quella maledetta sedia di plastica mentre aspettavo il mio turno per entrare nella stanza.
I miei fratelli mi avevano lasciato solo; Francesco e Daniele erano andati a cercare un bagno, Donato era andato a cercare Mirko e gli altri erano alla scuola di danza.
Il corridoio era deserto, c'eravamo solo io e ancora Ilian. Sembrava che David ci stesse mettendo davvero tanto e vedevo Ilian sempre più impaziente di andarsene.
A un certo punto si alzò, mi guardò, ma abbassai lo sguardo sulle mie scarpe. Mi passò davanti, poi mi diede le spalle restando a fissare la stanza dal vetro. Incrociò le braccia sopra al petto e restò lì a fissare suo fratello che parlava con mia sorella.
Mi alzai e mi posizionai alla sua destra.
«Perché sei rimasto? Nessuno di noi ti vuole qui» gli dissi aspramente.
Ilian fece un mezzo sorriso. «Da quand'è che sei così logorroico, Andrea?» mi chiese.
«Le hai fatto del male» cercai di dirgli senza che la voce mi tremasse, potevo negarlo, ma Ilian mi incuteva timore.
Ilian girò la testa verso di me e io incrociai i suoi occhi di ghiacciò, poi tornò a fissare davanti a sé. «Non mi sembra che è in quel letto per colpa mia, e poi non sono lo chauffeur di David, non mi andava di fare avanti e indietro.»
Deglutii. Ilian in fondo aveva ragione: non ero un grande oratore per cui restai in silenzio e guardai anch'io David parlare con Martina.
Quando finalmente sembrò che David stesse salutando Martina, Ilian si mosse, evidentemente deciso ad andarsene insieme al fratello, ma prima di farlo mi sussurrò all'orecchio: «Parlami ancora con quel tono e la prossima cosa che verrà fuori dalla tua bocca saranno i tuoi denti.»
Rabbrividii mentre Ilian mi sorrideva.
David uscì dalla stanza e, dopo avermi salutato, lasciò l'ospedale insieme al fratello, finalmente era il mio turno.
Quando uscii dalla stanza andai a prendermi un caffè, non era ancora orario di cena, ma avevo bisogno di qualcosa che mi tenesse sveglio.
Quando tornai, attaccata al vetro della stanza, trovai Lucia, l'amica di Martina.
Stava guardando dentro la stanza, mentre un'infermiera si prendeva cura di mia sorella, evidentemente anche lei stava aspettando con pazienza il suo turno.
Quando si accorse della mia presenza alle sue spalle, si girò a guardarmi, mi sorrise e vidi i suoi occhi verdi illuminarsi.
«È bellissima, anche quando dorme» mi disse riferendosi a mia sorella.
Annuii senza risponderle.
Mi andai a sedere di nuovo sulla sedia, soffiai sul mio caffè e lo bevvi in un sorso.
Lei continuava a fissarmi, sembrava, però, che la sua espressione fosse cambiata, come se si fosse improvvisamente intristita.
Si venne a sedere accanto a me e io mi inebriai del suo profumo che sapeva di zucchero a velo. Guardai il fondo del bicchiere sul quale si erano depositati dei chicchi di zucchero misti al caffè.
«Lo so che non siamo migliori amici, e so anche che non sei un gran chiacchierone, però, sai, se ti andasse di... insomma, beh, hai capito...» mi disse guardando davanti a sé e arrossendo leggermente.
Gli fui grato per la sua disponibilità. Restammo in silenzio, fin quando non fui io a romperlo.
«Odio gli ospedali,» dissi, «li ho sempre odiati. Quando morirono i miei genitori restai chiuso nell'ascensore dell'ospedale per due ore, è così che sono diventato claustrofobico.»
Non so perché le stavo raccontando qualcosa di così intimo, qualcosa che non avevo neppure mai raccontato ai miei fratelli, ma sentivo di potermi aprire con lei.
Lei mi guardò mordendosi il labbro inferiore, poi annuì e mi sorrise. «Io ho paura dei ragni» mi disse e io scoppiai letteralmente a riderle in faccia.
«Sul serio» continuò lei per niente offesa e ridendo con me. «Non li sopporto, ne ho una fifa tremenda, se ne vedo uno sono costretta a scappare.»
Ridacchiai ancora un po'. «Beh, allora la prossima volta che ne vedi uno dimmelo che lo ammazzo per te.»
Mi sorrise. «È questo il punto, non voglio ammazzarli, mi piacciono gli animali, tutti, solo che i ragni proprio non riesco a vederli, mi terrorizzano, vorrei solo che uscissero dalla stanza quando glielo chiedo.»
«Non credo funzioni così» le dissi aggrottando la fronte. Non riuscivo a credere di stare affrontando davvero quella conversazione.
Lei alzò le spalle. «Mi sentirei in colpa se li uccidessi.»
«Allora la prossima volta ci parlo io, è probabile che a me diano ascolto.»
Mi sorrise e io restai a guardare lei e i dettagli del suo viso fin quando l'infermiera non ci chiamò.
«Puoi entrare» disse a Lucia.
«Oh, grazie» rispose lei arrossendo.
Si alzò dalla sedia e si avvicinò alla porta, prima di entrare, però, si girò verso di me. «Vieni?» mi chiese porgendomi la mano.
Aprii la bocca, incapace di risponderle, poi mi decisi. Mi alzai, le presi la mano e insieme entrammo nella stanza di Martina.
***
Ero fuori la stanza di Martina e osservavo mio fratello Andrea chiacchierare con Lucia.
Erano seduti ai lati opposti del letto di Martina, ma invece di parlare con lei, parlavano tra di loro.
Era evidente che a Lucia piacesse Andrea e mi chiedevo quando quel tontolone di mio fratello si sarebbe reso conto di ciò, di certo io non avevo intenzione di farlo. In realtà mi chiedevo anche cosa Lucia ci trovasse in Andrea, ero chiaramente il più bello e affascinante tra di noi, e la maggior parte delle ragazze preferivano me ad Andrea o a Francesco.
Però si sa, Andrea aveva sicuramente qualcosa che io non avevo: il fascino del ragazzo misterioso, che parla poco, che sotto sotto nasconde un animo dolce e gentile. Non che io non fossi dolce o gentile, anzi, ma ero più il tipo di ragazzo che sa cosa vuole e come prenderselo.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo quando Andrea ritirò la mano per aver toccato per sbaglio Lucia, quanto era tonto!
Sentii qualcuno avvicinarsi a me, ma non mi girai per vedere chi fosse.
«È passata mezzanotte» mi disse, era Simone.
Annuii. Sapevo di aver superato il coprifuoco, dovevo tornare a casa: il giorno dopo sarei dovuto andare a scuola.
«Lo so, tra poco torno a casa» risposi.
«Non intendevo questo, intendevo che...» Mi girai a guardarlo interrogativo. «Auguri» mi disse.
«Che?»
«Auguri, sei maggiorenne.»
Oh, già! Era il mio compleanno, ma con il trambusto di quei giorni l'avevo dimenticato.
Simone mi tirò a sé e io appoggiai la testa sulla sua spalla. «Da oggi non sei più sotto la mia tutela, non sei contento?» chiese.
Annuii. «Sì» dissi solo, anche se "contento" non era di certo la parola adatta per descrivere come mi sentivo in quel momento.
Alloooora, calme, buone... Già so a cosa state pensando! State tranquille vi prego, non ho nessuna intenzione di ammazzare Martina, non è proprio nel mio stile uccidere i miei personaggi, diciamo solo che, se vi piace, la mettiamo un po' in pausa. Come avete visto il capitolo è stato raccontato da 3 fratelli (nell'ordine: Donato, Andrea e Daniele), vi piace? Se si, chi vi piacerebbe raccontasse al prossimo capitolo? Fatemelo sapere, vi invito a discuterne sia qui che sotto il "club", un bacio grande e a giovedì prossimo!
Mary <3
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