Il testamento
Ero seduto nello studio del notaio, di fronte a me lui mi fissava con la fronte aggrottata e le labbra leggermente strette in un'espressione di disappunto. Non mi piaceva quell'uomo e non intendo per il suo aspetto fisico, ma per quell'aria che emanava, quell'aria da saccente mista a narcisismo e prepotenza che avevo visto molte volte prima di allora. Avevo avuto a che fare con gente simile, soprattutto quando avevo provato a prendere la tutela dei miei fratelli e avevo ricevuto in cambio da uomini del genere solo porte in faccia.
E in quel momento, mentre mi guardava con quell'espressione da "mi stai facendo perdere tempo prezioso", non potevo che pensare che era esattamente come gli altri che avevo incontrato.
Mi aveva chiamato perché a quanto pareva Ilian non aveva lasciato solo quella lettera come suo "testamento", ma un testamento vero c'era eccome e noi fratelli eravamo tutti inclusi, perché c'ero solo io davanti a lui, però, era qualcosa che il notaio non si aspettava. Gli avevo promesso, infatti, che non era necessario che chiamasse anche gli altri di persona, che avrei provveduto io ad avvisarli, ma ovviamente non l'avevo fatto. Non l'avevo fatto perché volevo proteggerli, volevo assicurarmi che Ilian non avesse fatto qualche scherzetto prima di togliersi la vita.
Poteva sembrare esagerato, magari potevo sembrare troppo protettivo, magari qualcuno poteva anche definirmi "stupido" o "ansioso", ma avrei messo il bene dei miei fratelli sempre prima di qualsiasi altra cosa, e se c'era modo di evitare loro delle sofferenze inutili non potevo non farlo.
Il notaio mi scrutò ancora un po', poi sbuffò sonoramente. «Mi dispiace, ma non posso proprio leggere il testamento se non ci sono anche i suoi fratelli, è la legge e io non posso fare altrimenti. La prego, mi capisca» mi disse.
«La capisco, ma capisca me, il signor Sakiridov era un uomo...» Subdolo? Cattivo? Inaffidabile? Quale termine potevo usare per descrivere al meglio Ilian? Alla fine decisi. «...imprevedibile» conclusi. «E vorrei sapere cosa aspettarmi.»
Il notaio distolse lo sguardo, guardò i fogli che aveva davanti a sé e poi alzò di nuovo gli occhi su di me.
«Cosa si aspetta esattamente?» mi chiese.
Alzai le spalle, non lo sapevo in effetti cosa mi sarei dovuto aspettare dal testamento di Ilian.
«Sono solo preoccupato» dissi, alla fine.
Il notaio ridacchiò leggermente. «Non c'è niente di preoccupante per voi nel testamento del signor Sakiridov.»
«Già...» dissi pensieroso. «È solo che la trovo preoccupante la sua scelta di lasciare tutto al fratello e volere che noi lo aiutiamo nella gestazione del suo patrimonio.»
Il notaio si allarmò e sgranò gli occhi. «Come ha detto, scusi?» mi chiese.
«Non è così? Non è questo che c'è scritto sul testamento?»
Il notaio sembrò sempre più allarmato, girò velocemente gli occhi nella stanza, come se non li volesse posare su qualcosa in particolare.
«Come ha quest'informazione?» mi chiese alla fine dopo attimi di paura da parte sua.
Estrassi la lettera dalla mia tasca e gliela porsi. «È tutto scritto qui, su questa lettera» dissi. «Lo so, è russo,» affermai siccome stava guardando la lettera in modo strano, «ma so esattamente cosa c'è scritto.»
Il notaio mi guardò, poi deglutì. Richiuse la lettera e la fece scorrere lentamente sulla scrivania per passarmela.
«La prego, venga con i suoi fratelli, non posso dirvi nulla, ma non ha nulla di cui preoccuparsi. Non sono quelle che lei ha elencato le ultime volontà del signor Sakiridov.»
***
Quando Donato ci aveva detto del testamento di Ilian avevo provato dei sentimenti contrastanti. Era stato strano sapere che voleva che noi aiutassimo David nella gestione dei suoi soldi, ed era stato triste per me quando Alberto ci aveva detto che la sua lettera non valeva granché come testamento. Ma, in quel momento, non sapevo esattamente cosa provavo, forse avevo paura delle conseguenze, paura che Alexander potesse aver preso male le ultime volontà del figlio, ma soprattutto paura di trovarlo lì.
Donato mi aveva assicurato che nessuno della famiglia di Ilian ci sarebbe stato, che il notaio avrebbe letto solo la parte del testamento che riguardava noi, e aveva fatto in modo di prendere due appuntamenti diversi.
Ilian aveva due conti separati a quanto pareva: uno in Italia, in cui c'era la maggior parte dei suoi soldi; e uno in Russia. Aveva lasciato a David entrambi i conti, mentre ai genitori solo quello in Russia e una piccola parte di quello in Italia.
Il testamento di Ilian, ovviamente, era venuto a galla solo nel momento in cui i genitori lo avevano dichiarato morto, prima il notaio non avrebbe potuto renderci partecipi. Perché Ilian avesse lasciato quella lettera scritta di suo pugno riguardo anche le sue volontà era un mistero, non bastava il testamento?
Nell'ufficio del notaio ci stavamo stretti, aveva cercato in tutti i modi di trovare più sedie, ma aveva finito per far star seduti solo quattro su otto fratelli: Daniele, Andrea, Simone e Giovanni.
«Bene» disse il notaio una volta sistemati. «Adesso che ci siete tutti posso finalmente aprire il testamento del signor Sakiridov.»
Non so perché, ma iniziai ad agitarmi, il cuore cominciò a battermi forte nel petto e mi aggrappai al braccio di Corrado, lui si girò a guardarmi, perplesso.
Il notaio parlò per tantissimo tempo prima di dirci effettivamente cosa c'era scritto sul testamento per noi, quando alla fine arrivò alla parte saliente ci guardammo tra di noi, straniti.
«Tutto qui?» disse Corrado.
«Una donazione di ventimila euro alla vostra scuola di danza le sembra poco?» rispose il notaio.
«No, no, assolutamente» si affrettò a dire Simone. «È solo che noi...»
«Sapevamo qualcosa di diverso» concluse Giovanni per lui.
Ed era vero, ci aspettavamo di trovare quanto ci fosse scritto nella lettera e non una donazione alla nostra scuola di danza che, per quanto ci facesse piacere, non era proprio quello che immaginavamo.
Il notaio alzò gli occhi al cielo, spazientito, come se non fosse la prima volta che si trovava ad avere una conversazione simile.
«Cosa vi aspettavate esattamente?» chiese guardando Donato.
Donato gli disse del contenuto della lettera che riguardava noi e David e il notaio rise sonoramente.
«Perdonatemi se rido,» disse, «ma il patrimonio del signor Sakiridov, anche se in mano del fratello, sarà gestito dai suoi genitori, come è giusto che sia.» Si prese un attimo di pausa per pronunciare l'ultima frase, come se volesse rimarcare cosa è giusto e cosa è sbagliato secondo la legge.
«Lei, quindi, trova giusto che siano i genitori di Ilian a prendere possesso di tutto il suo patrimonio?» chiese Simone.
«Sì, non vedo cosa ci sia di più giusto che lasciare tutto ai propri genitori» disse il notaio.
Ci fu un attimo di silenzio da parte nostra, evidentemente anche i miei fratelli, come me, stavano elaborato il tutto.
«Quanto l'hanno pagata?» chiese d'improvviso Corrado, rompendo il silenzio.
«Cosa?»
«Quanto l'hanno pagata i genitori del signor Sakiridov per farle cambiare il testamento?»
Il notaio si mosse e sbatté gli occhi, perplesso. «Pagato? Cosa sta dicendo? Quello che lei insinua è... illegale» borbottò la parola "illegale" quasi come se fosse una parolaccia impronunciabile.
«Allora perché non ci fa leggere il testamento?» disse Donato.
Il notaio tirò a sé il testamento, quasi a volerlo proteggere dai nostri occhi. «Non posso farvelo leggere, ci sono parti che non vi riguardano» disse.
«Allora ci faccia leggere solo la nostra parte» propose Giovanni.
«Non è possibile.»
Corrado sbuffò, si avvicinò alla scrivania del notaio e pose le mani sul legno per avvicinarsi meglio a quell'uomo, lui indietreggiò schiacciando la schiena alla sedia e deglutì. Potevo immaginare la sensazione che stava provando, Corrado in versione minacciosa era capace di farti tremare le gambe.
«Senta» disse scandendo bene le parole, «abbiamo avuto a che fare con tanti avvocati, notai, giudici, persone viscide come lei.»
Donato sorrise guardando Corrado, quasi orgoglioso di quello che stava dicendo.
«E se lei adesso non ci dice il vero contenuto del testamento, noi la trasciniamo in tribunale, davanti al giudice e, mi creda, non penso vincerà facilmente» continuò Corrado, per poi staccarsi dalla scrivania e incrociare le braccia sopra al petto.
Il notaio si sistemò la cravatta e deglutì di nuovo. «Mi sta minacciando, signor Leonardi?»
Corrado scosse la testa. «No, la sto solo avvisando.»
«Non so cosa vi siete messi in testa, o chi vi ha messo in testa certe cose, ma è questo il testamento del signor Sakiridov e le ultime volontà di un defunto non si discutono.»
Che stronzo, aveva detto quella cosa per farci sentire in colpa perché stavamo discutendo le volontà di Ilian, ma ne ero certa, non potevano essere quelle le sue volontà.
***
«Corrado, ma ti rendi conto di cosa porterebbe trascinare il notaio e la famiglia di David in tribunale? Per non parlare del fatto che quella lettera non ha valore legale!» esclamò Mirko quando lo rendemmo partecipe dell'idea di Corrado.
Era impossibile che il testamento fosse quello, ed era impossibile per noi arrenderci a quello.
«Innanzitutto che cos'è questo tono?» disse Corrado a Mirko portando in alto l'indice come se stesse contando. «E, secondo,» disse aggiungendo anche il medio, «lo so benissimo a cosa porterebbe, porterebbe alla giustizia una volta tanto, che cosa ne vuoi capire tu?»
Mirko sgranò gli occhi e diede un buffetto sulla spalla a Donato, che era seduto accanto a lui che invece era in piedi. «Gli permetti di parlarmi così?» urlò e Donato sobbalzò, ridestandosi.
«Certo che mi permetto di parlati così, ti impicci in affari che non sono i tuoi.»
«Ehi, ehi, ehi, calma» disse Donato alzandosi dalla sedia e ponendosi tra Corrado e Mirko. «Non c'è bisogno di arrabbiarsi.»
«La pensi come lui?» chiese Mirko a Donato.
Donato guardò Corrado, poi spostò gli occhi su di noi, sapevamo tutti a cosa stava pensando: sì, la pensava come lui.
«Io penso che...» sussurrò Donato, poi deglutì. «Che potrebbe essere un'idea quella di Corrado.» Mirko aprì la bocca, sconvolto, e subito Donato cercò di rettificare: «Ma... dobbiamo rifletterci bene, non serve a niente fare una causa se non siamo sicuri di vincerla.»
Mirko sospirò, scosse la testa lentamente, poi si andò a sedere sulla sedia. «No, no, non sono d'accordo, ma fate quello che volete, non sono affari miei» disse.
Donato si avvicinò a lui, si abbassò sulle ginocchia e gli prese le mani tra le sue. «Mirko...» bisbigliò dolcemente.
«Lo sai, quando ho scoperto di quella lettera e di quello che c'era scritto non ho esitato ad aiutarvi, ma ora è diverso, non c'è modo di dimostrare che quella lettera valga qualcosa, o che il notaio è un corrotto, e se è veramente è così è anche peggio di come immaginavamo.» Respirò e fece una pausa. Donato gli accarezzò il viso. «Sono solo preoccupato per te, per voi» disse e vidi i suoi occhi luccicare, stava per mettersi a piangere? Sperai proprio di no.
«Allora lasciamo perdere?» chiese Simone. «Facciamo come se niente fosse? A me non interessa certo prendere gli averi di Ilian e nemmeno tanto le sue volontà, ma se ci ha chiesto di badare a David avrà avuto i suoi motivi, e proprio non mi va di lasciare che David sia ancora controllato dai genitori.»
«Nemmeno a me,» disse Donato, «ma non possiamo rischiare così tanto, ci rideranno in faccia se facciamo una causa per una lettera che non è nemmeno firmata.»
Riflettei. Donato aveva ragione, ma d'improvviso ebbi un'idea.
«E se ci fosse?» dissi e tutti i miei fratelli si girarono a guardarmi. «Se ci fosse un modo per dimostrare che quella lettera è scritta davvero da Ilian? Se io avessi qualcosa scritta da lui...» Mi fermai e studiai le loro reazioni: mi stavano guardando con l'espressione interrogativa. «Potrebbe valere qualcosa?»
«Si potrebbe mettere a confronto la scrittura» disse Andrea, poi tutti ci girammo verso Mirko in attesa del suo responso: era lui che aveva parlato con un avvocato, ed era lui che sembrava saperne più di noi su queste cose.
Mirko alzò le spalle. «Non lo so, forse potrebbe essere già qualcosa, ma cos'hai esattamente?» mi chiese.
Senza rispondere andai a prendere quel fogliettino che conservavo ormai da tantissimo tempo, quello con il mio nome sopra in russo. Lo porsi ai miei fratelli e loro misero a confronto il "Martina" della lettera con il "Martina" del mio biglietto: erano praticamente identici.
«Come lo hai?» mi chiese Donato.
«Me l'ha dato lui, una volta che siamo rimasti soli a casa sua.»
«Per dimostrare che anche il biglietto è scritto da Ilian, Martina dovrebbe...» cominciò a dire Mirko, ma Donato lo fermò.
«No!» esclamò. «Non esiste, a questa condizione no.»
«Cosa?» chiesi io, perplessa. «Cosa dovrei fare?»
«Dovresti testimoniare» mi spiegò Corrado.
«Oh...» commentai. Testimoniare voleva dire raccontare in che momento Ilian mi aveva dato quel biglietto e perché. «Beh, per me non è un problema, credo di dover avere il tuo permesso, però» dissi a Donato.
«No» disse Donato scuotendo di nuovo la testa. «Non lo farai. Non lo farai perché ti faranno giurare di dire solo la verità e ti faranno domande su di te, su Ilian, sul rapporto che avevate e no... No. Non ho nessuna intenzione che tutto venga di nuovo a galla, e soprattutto di stare a sentire di te... e di Ilian.»
Mi sentii male quando Donato pronunciò quella frase, come se ancora non mi avesse perdonato per aver scoperto del bacio tra me e Ilian.
Nessuno trovò il coraggio per replicare a quello che aveva detto Donato, evidentemente erano d'accordo con lui.
«Ha ragione Mirko,» aggiunse, «lasciamo perdere. Oppure pensiamo a un altro modo, ma questo mai.»
Questo mai. Provai una fitta di rabbia nei suoi confronti e mi ritrovai a farfugliare: «Quanto vorrei avere diciotto anni.»
«Scusami?» chiese Donato alzando un sopracciglio.
«Ho detto che mi piacerebbe avere diciotto anni per non essere più sotto la tua tutela.»
Era la prima volta che lo dicevo e mi sorpresi anch'io, non l'avevo mai pensato prima di allora, ma in quel momento ero arrabbiata per come aveva reagito e per come mi aveva fatto sentire.
«Tu non sai a che cosa vai incontro» mi disse con aria di sufficienza.
«So benissimo a cosa vado incontro, se testimoniare è l'unico modo allora lo farò» dissi.
«Beh, puoi sperare di avere diciotto anni quanto vuoi, ma non li hai, e fino ad allora decido io e io decido che non testimonierai» disse Donato. «E decido anche che devi filare in camera tua e lasciare continuare a noi grandi il discorso.»
Avrei voluto dargli un cazzotto per il tono che aveva usato per pronunciare quel "noi grandi", mi sentivo ribollire di rabbia ancora di più di prima.
«Donato...» provò a dire Giovanni, forse per fargli capire che stava esagerando, ma non lo capì. Alzò la mano per zittirlo e mi guardò con aria di sfida, sapendo che non avrei mai messo in dubbio la sua autorità.
Come poteva farmi questo? Come poteva trattarmi da bambina capricciosa proprio in quel momento? Con tutto quello che avevo passato...
«Vai» ringhiò.
Sentivo le lacrime pizzicarmi gli occhi, ma non gli avrei dato la soddisfazione di piangere davanti a lui.
Deglutii e incrociai il suo sguardo. «Ti ci devo portare io?» disse ancora.
A quel punto avrei voluto davvero mettermi a piangere come la bambina che stava punendo, perché quella frase la usava quando ero piccola e non volevo andare a letto, mi diceva: ti ci devo portare io? E io facevo subito quanto mi diceva.
Abbassai la testa e poi girai le spalle. Mi sentivo male per come Donato mi aveva trattato, per l'impotenza che sentivo, per il fatto che i miei fratelli non mi avevano difeso e nemmeno ci avevano provato, per il fatto che non avrei potuto aiutare in quella situazione e io volevo davvero che le cose per David si sistemassero. E sentivo che così, che mollando, avremmo fatto vincere di nuovo chi non lo meritava e non era giusto.
Eccomi, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Volevo dirvi che alcune di voi stanno lavorando a dei meravigliosi booktrailer e quando saranno pronti sarò felice di mostrarveli! Nel frattempo ditemi: che fate di bello? Avete già finito la scuola?
Un bacio,
Mary <3
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