Il ritorno di Ilian

«Oh, Dio!» esclamò David staccandosi da me e venendosi a stendere accanto a me sul letto. «È stato...»

«Bellissimo?» lo anticipai.

Scosse la testa guardando il soffitto sopra di lui. «No, di più.» disse girandosi a guardarmi divertito.

Risi e lui rise con me.

Era passato quasi un mese dalla nostra prima volta e finalmente avevamo trovato il giusto feeling. Ogni volta che facevamo l'amore era più bello della volta precedente, provavamo posizioni diverse, eravamo diventati entrambi più esperti soprattutto di cosa piaceva e cosa non piaceva all'altro. Il dolore era completamente sparito, anche se ancora faticavo ad abituarmi alla "presenza" di David dentro di me, ma suppongo che fosse meglio così, perché ogni volta sembrava la prima volta, con l'unica differenza che era sempre più bello e intenso.

Il nostro rapporto era cambiato, in meglio ovviamente. Ai miei occhi sembravamo più uniti, più complici. Anche agli occhi dei miei fratelli eravamo cambiati, ma nessuno azzardava a fare ipotesi.

Mi rannicchiai più vicino a lui e gli baciai la spalla, lui mi portò il braccio destro sul fianco e mi strinse più a sé.

Eravamo a casa sua, la casa che i genitori non avevano voluto vendere prima di ritornare in Russia per avere un appoggio nel caso in cui sarebbero dovuti tornare. Quella casa era l'ideale per stare insieme: non c'era nessuno, il letto di David era a una piazza e mezza e potevamo andarci quando volevamo.

Ovviamente cercavamo di ridurre i nostri incontri al weekend per non incappare in una punizione.

«Che ore sono?» gli chiesi. Ogni volta che uscivamo perdevo la cognizione del tempo e l'idea di violare il coprifuoco non mi piaceva per niente.

David guardò l'orologio che aveva sul polso, era divertente vederlo completamente nudo, ma con solo l'orologio.

«Le undici.» disse.

Respirai rassicurandomi.

«Abbiamo ancora un'ora...» la buttò lì David guardandomi serio.

Lo baciai sulle labbra. «Che intenzioni hai?»

David scattò, si alzò dalla sua posizione e si venne a sedere a cavalcioni su di me. «Non lo so, magari potremmo...»

«Di nuovo?» esclamai ridacchiando.

David sembrava instancabile e in realtà lo ero anch'io, non mi bastava mai.

Si abbassò a baciarmi, prima le labbra, poi scese sul collo, girai la testa di lato per facilitarlo, risalì dal collo fino alla guancia lasciando baci sulla pelle che si stava infuocando al contatto con la sua bocca. Ci guardammo intensamente per un attimo, poi affondò deciso sulla mia bocca, un bacio che mi tolse il fiato. Si alzò un attimo da me per rimirarmi, poi abbassò di nuovo la testa, ma stavolta baciò prima i miei seni e poi lentamente scese a baciare la mia pancia fino ad arrivare all'ombelico. Il mio corpo fremette leggermente quando David baciò l'interno coscia, fino ad arrivare all'inguine. Sentivo già le familiari pulsazioni partire dal basso ventre e salire fin sopra, dritte nel mio cervello, mandandomi impulsi elettrici.

Alzai leggermente la schiena per osservare David all'opera, non mi piaceva non vedere cosa stesse facendo, dovevo essere pronta psicologicamente. David si rese conto che lo guardavo con curiosità e alzò lo sguardo sorridendomi maliziosamente prima di avventarsi su di Lei.

Sobbalzai per la violenza dell'atto, nonostante lo stessi guardando mi aveva preso alla sprovvista. Lo sentii ridere mentre il mio corpo tremava per la sorpresa e per il piacere che lentamente si faceva sempre più forte.

Mi aprì meglio le gambe e io abbassai la schiena, stendendomi sul cuscino, rilassandomi.

All'improvviso un rumore ci vede sobbalzare entrambi.

David si alzò dalla sua posizione e tese l'orecchio verso quel rumore che avevamo sentito.

Di nuovo un rumore, forse una porta che si chiudeva e poi sentimmo dei passi.

«Chert!» imprecò David. Era una parola russa che ripeteva spesso quando lo sentivo imprecare, era molto simile al nostro: dannazione!

David si alzò dal letto e iniziò a vestirsi, mi indicò i vestiti e, senza capirne bene il motivo, iniziai a mettermi la mutandina e a infilarmi la maglietta senza mettere il reggiseno.

David era riuscito a vestirsi quasi del tutto, tranne che per le scarpe, quando sentimmo la voce inconfondibile di Ilian.

«David?» urlò da fuori la porta.

David mi fece segno di nascondermi nell'armadio dei vestiti, così corsi verso di esso. David mi aiutò ad entrare e gettò gli altri miei vestiti nell'armadio con me.

«David?» sentii ripete ancora.

«Da!» esclamò a sua volta David.

Sentii aprire la porta della sua stanza e Ilian che vi entrava.

«David, che ci fai qui?» chiese Ilian al fratello.

Ero grata che Ilian stesse usando l'italiano, così potevo capire cosa si dicevano.

«Io...» Ci fu un momento di pausa, evidentemente David stava elaborando la bugia da dire. «Ero venuto per prendere delle cose importanti che avevo lasciato qui.»

«Oh...»

«Tu, piuttosto, che ci fai qui? Non mi avevi detto che tornavi.»

L'ultima frase di David suonò un po' come: «Se me l'avessi detto non mi sarei fatto trovare qui».

«Lo so, è stata una cosa improvvisa, avevo delle questioni da sistemare, resto un paio di giorni, forse tre.»

David non rispose, non potevo vederlo, ma probabilmente aveva annuito.

«Visto che ti ho trovato qui perché non resti a dormire con me per questi giorni? Così mi fai compagnia e parliamo un po'.»

«Parlare di cosa?» scattò sulla difensiva David.

«Non lo so, magari di quello che stai combinando.»

«Ne abbiamo già parlato.»

«Al telefono non rende. Anche perché pare che non ti entri proprio in testa.»

«Non è vero.»

«Ah, no? Prima mi chiama Donato perché fai le risse, poi scopro che marini la scuola, che i tuoi voti sono una merda e i vicini poco mi fa mi hanno detto che porti qui le ragazze.»

Le ragazze? La ragazza, semmai.

«Non è proprio così...» bisbigliò David, sapevo che l'aveva detto perché c'ero io ad ascoltare, ma a Ilian non fregava minimamente che la ragazza che portava era una sola.

«Vuoi dire che non è vero? Vuoi dire che non è vero che hai picchiato senza motivo un ragazzo della scuola di danza, che hai marinato più di una volta la scuola e che hai preso diverse insufficienze?»

«Sì, questo è vero, non è vero che porto qui le ragazze.»

«Quella è l'ultima cosa che mi preoccupa.»

David non rispose, di nuovo.

«Ascoltami bene, David, perché non te lo ripeterò di nuovo. Fanne un'altra, una sola e te ne torni con me in Russia. Ti iscrivo al collegio che ho frequentato io, così vediamo se hai ancora voglia di comportarti così.»

«Non succederà.»

«Non succederà cosa, David?»

«Non avrai bisogno di riportarmi in Russia con te.»

«Perché? Voglio sentirtelo dire.»

«Mi comporterò bene, d'ora in poi.»

«Giuralo.»

«Ya klyanus'

***

Quella sera David tornò prima a casa per dire ai miei fratelli che Ilian era tornato e poi tornò da suo fratello, dove trascorse la notte. Riuscii a uscire da casa di David senza farmi vedere, dalla finestra, come una ladra, sperando che i vicini impiccioni non mi avessero visto.

Quella notte non dormii per niente bene al pensiero di David in casa con Ilian. Non avevo mai assistito a una conversazione personale tra David e Ilian e, a detta di David, quella era stata piuttosto tranquilla.

Il giorno dopo, Ilian ci invitò tutti a mangiare a casa sua, per ringraziarci dell'ospitalità che stavamo dando al fratello.

Eravamo seduti al tavolo da pranzo quando Corrado disse l'unica cosa che non avrebbe dovuto dire.

«Ilian, perché domani non tieni una lezione da noi?»

Io, David, Daniele e Francesco ci guardammo di sottecchi. Nessuno dei nostri fratelli maggiori sapeva cosa accadeva in quell'aula quando Ilian teneva le sue lezioni. Una volta Daniele provò a dirlo a Donato, ma Donato lo rimproverò dicendo che saremmo dovuti essere onorati del fatto che Ilian ci dedicasse del tempo, che era il primo ballerino del balletto russo e che non avremmo potuto chiedere di meglio.

«Certo, sarà un piacere, come sempre. Sono proprio curioso di vedere se avete fatto progressi» disse Ilian guardando noi "allievi".

Francesco abbozzò un sorriso, noi ci limitammo a fissarlo.

Nessuno di noi aveva voglia di un'altra lezione con Ilian, soprattutto dopo l'ultima chiacchierata che avevo avuto con lui, ero certa che avrebbe trovato il modo di farmela pagare per quello che gli avevo detto.

Sperai però che l'avesse dimenticato.

***

E invece mi sbagliavo.

Non l'aveva dimenticato.

Ogni volta che mi correggeva, ogni volta che sbagliavo, mi riprendeva dandomi pacche sulle braccia o sulle gambe e umiliandomi con quel suo modo di parlare subdolo.

Cercai in tutti i modi di evitare di dargliela vinta, mi sforzai di non guardarmi i piedi, ma, cosa più difficile, mi sforzai di non rispondere alle sue continue frecciatine nei miei confronti.

Riuscii a sopportare la lezione solo grazie a David che mi guardava, lanciandomi sguardi che riuscivano a calmarmi più delle parole.

Quando finalmente la lezione finì tirai un respiro di sollievo, anzi, lo tirammo tutti.

Il mio sollievo però durò ben poco perché sulla soglia della porta Ilian mi richiamò.

«Dolcezza, aspetta un secondo» mi disse.

Dolcezza? Quella parola che sarebbe dovuta essere gentile sulle sue labbra assumeva un tono completamente diverso, da mettere quasi i brividi.

Mi girai a guardarlo, sentii che dietro di me si era fermato anche David.

«Resta un altro po', voglio rivedere l'ultimo esercizio, non mi è piaciuto come l'hai eseguito.»

Deglutii. Non volevo rimanere da sola con lui, ma non potevo rifiutare.

Annuii e silenziosamente mi andai a posizionare alla sbarra.

«La porta. Grazie, David.» disse Ilian sorridendo al fratello.

David mi guardò preoccupato, poi Ilian gli chiuse la porta in faccia e venne verso di me.

Cercai di non incrociare il suo sguardo e iniziai a eseguire l'esercizio.

Di tanto in tanto Ilian mi correggeva dicendo cose come: "Stendi le gambe, stai dritta con la schiena etc".

«Brava.» mi disse a un certo punto. «Vedo che stai togliendo quel brutto vizio. Oggi ti sei guardata solo un paio di volte i piedi. È perché c'ero io, o ti stai sforzando?»

«Mi-mi sto sforzando.» dissi con voce tremante mentre scendevo in pliè.

«Bene. Vedo che ti stai sforzando anche di ingoiare quella tua lingua biforcuta che mi riservi sempre.»

A questa non risposi. Non era vero, gliene avrei volute dire tante, ma sapevo che se gli avessi risposto la situazione si sarebbe aggravata e non volevo finire come l'ultima volta.

Continuai in silenzio l'esercizio, con Ilian che mi osservava come un falco, pronto a correggermi al primo sbaglio. Sentivo il sudore scendere da dietro la nuca e percorrere tutto l'arco della schiena. Stavo sudando, ma sentivo freddo e tremavo, ma cercai di tenere ben salde le mani alla sbarra, non volevo che lo notasse, ne sarebbe stato felice.

Ilian mi venne dietro e appoggiò la mano alla sbarra, si avvicinò di più con il volto a me. «Le mie punizioni servono sempre.» disse.

Nemmeno a questo risposi sentendo il cuore iniziare a battere all'impazzata.

«Il problema è che,» continuò nel suo soliloquio, ormai rispondevo raramente, «potresti dimenticare l'insegnamento e allora temo che avremmo bisogno di replicare...»

Mi girai, non per guardarlo, ma perché l'esercizio lo prevedeva. «Ilian...» pronunciai il suo nome quasi sussurrando, poi mi schiarii la voce. «Ti ho chiesto scusa e mi hai già punito per l'altra volta...» Per la volta in cui l'avevo mandato a quel paese.

«Questo è vero, ma purtroppo o per fortuna, dipende dai punti di vista, al momento qui dentro sono io il maestro, e si fa come dico io. Perciò faccia al muro e sali sulle punte.»

«Ti...» Stavo per implorarlo, stavo per dirgli "ti prego" sul punto di scoppiare in lacrime, ma lui mi precedette.

«Faccia al muro, ho detto.» ringhiò.

Mi girai verso il muro, sentendo già i dolori di restare sulle punte per un tempo imprecisato.

Sospirai e dalla quinta salii sulle punte.

Restai per qualche secondo in silenzio, poi parlai. «Per quanto tempo devo restare così?» chiesi.

«Oh, tranquilla, giusto il tempo di una chiacchierata.»

Chiacchierata? E cosa avevamo da dirci?

Girai di nuovo il volto verso il muro, cercando di non staccare lo sguardo dall'intonaco bianco, mentre lui si appoggiava con il gomito alla sbarra.

«Allora...» cominciò, «Cosa c'è tra te e mio fratello? Vi guardate in modo strano...»

Ebbi un fremito, ci aveva scoperto? Di certo David non gli aveva detto niente, ne ero sicura.

«Niente.» risposi il più in fretta possibile.

«Siete fidanzati?» insistette.

«No.»

«Vi state frequentando?»

«No.»

«Lui ti sta corteggiando?»

«No.»

«Nemmeno scopamici?» rise da solo all'ultima affermazione.

Espirai dal naso. «No.» ripetei per l'ennesima volta.

«Sei sicura? Perché, vedi, non vorrei mai venire a sapere una cosa simile, mi sentirei tradito, da mio fratello, da te, dai tuoi fratelli, e non vorrei essere costretto a portare David in Russia con me.»

Tremai a quell'affermazione, non sapevo però se per la stanchezza che sentivo già nelle gambe o per quello che aveva detto.

«Non servirà.»

«Come?»

«Non c'è bisogno. Non c'è niente tra me e David.» gli dissi prima di scendere dalle punte, non ne potevo più.

«Chi ti ha detto di scendere?» chiese, incazzato.

«Non ce la faccio più.» gli dissi con l'affanno.

«Sali.»

Scossi la testa in segno di diniego, ero stanca. «Martina, sali ho detto.»

«Sono stanca, ti prego lasciami andare, perché mi stai facendo questo?»

L'ultima frase mi uscii quasi come una lamentela, davvero non capivo l'accanimento di Ilian nei miei confronti.

«E me lo chiedi anche? Non fai che mancarmi di rispetto.»

«Non è vero.» gli dissi indietreggiando da lui siccome si stava avvicinando sempre di più.

«Sì che è vero. È dalla prima lezione che ho tenuto qui che non fai altro che mancarmi di rispetto. Ridesti alla mia pronuncia errata di una parola italiana.»

«Ilian, avevo dodici anni...» gli dissi quasi per difendermi.

«Ed eri già una bambina viziata e irrispettosa, sei proprio identica a lui, la stessa lingua biforcuta, lo stesso carattere ribelle e incurante delle regole.»

«Lui chi?» provai a chiedere, ma la mia domanda non ebbe risposta.

«Per fortuna ci pensò tuo padre a rimetterlo in riga.»

Capii che stava parlando di uno dei miei fratelli, ma non sapevo bene chi.

«Che uomo che era tuo padre! Lui sì che era un insegnante, non ti avrebbe mai permesso di trattarmi in questo modo. E invece i tuoi fratelli ti hanno permesso fin troppo.»

«Non parlare di loro così.» esplosi, «Loro sono mille volte meglio di te, tu sei solo uno stronzo egoista!» urlai.

A quel punto qualcuno aprì la porta della sala.

«Martina!» mi riprese Corrado. Lo guardai sperando che capisse che ero stata portata a quel punto da quell'essere subdolo e meschino. «Come ti permetti di parlare così a Ilian?» Provai a dire qualcosa in mia difesa, ma fu inutile. «Chiedi scusa!» mi intimò.

Non avrei mai voluto abbassarmi a quei livelli, era lui che doveva chiederlo a me, non viceversa.

Quando Corrado vide che non accennavo a parlare, mi venne vicino e mi afferrò il braccio sinistro. «Martina, chiedi subito scusa o ti giuro che io...»

Non lo lasciai finire. «Scusa, Ilian.» dissi. Poi abbassai lo sguardo mordendomi furiosamente il labbro. L'avevo fatto, avevo gettato la mia dignità e il mio orgoglio sotto i piedi, e lui c'era riuscito di nuovo: Ilian aveva avuto il suo tanto agognato rispetto. 

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