Il mio fidanzato
«Ilian! Come stai?» chiese Donato a Ilian, quando si sciolsero dall'abbraccio.
«Molto bene, grazie.» rispose Ilian.
Ilian si girò a guardarmi e un brivido mi attraversò la schiena, lo stesso brivido che avevo ogni volta che lo vedevo. Mi sorrise e io ricambiai debolmente il suo sorriso farfugliando un "ciao".
«David non c'è?» domandò Ilian a Donato.
«Oh, sì, certo. Credo si stia ancora spogliando. Te lo faccio chiamare?»
«Sì, grazie mille.» Ilian diede una pacca sulla spalla a Donato in modo affettuoso, anche se accostare le parole "affettuoso" e "Ilian" era alquanto azzardato.
«Martina, perché non vai a chiamare David?» mi disse mio fratello. Ero rimasta immobile, dietro la scrivania. Forse ero stata un po' scortese a non andare a salutarlo, ma non ero riuscita a muovermi.
Annuii a Donato e mi mossi per andare a cercare David, ma la voce di Ilian mi bloccò. «Ma come, Donato? Mandi una ragazza nello spogliatoio maschile?» disse. Una delle tante "qualità" di Ilian era il suo orribile maschilismo.
Donato ridacchiò, forse pensando che fosse una battuta. «Hai ragione, vado io. Faccio subito.» rispose, prima di lasciarci soli.
Ilian mi guardò, con i suoi occhi di ghiaccio e lo sguardo impenetrabile.
«Come stai?» mi chiese.
«Bene.» mi limitai a dire.
«Con la danza come va?»
«Bene.»
Sul volto di Ilian apparve un sorriso malizioso, di quelli che faceva sempre quando stava per fare o dire qualcosa di male. Ilian provava piacere nel vedere soffrire le persone, ne ero convinta. «Ti guardi ancora i piedi?» domandò e il suo sorriso si allargò sempre di più. Guardarmi i piedi era il mio più grande difetto quando ballavo.
L'ultima volta che avevo visto Ilian, era stata qualche mese prima: i miei fratelli lo avevano invitato a tenere una lezione di danza classica al nostro corso. Ilian era uno dei più bravi ballerini del balletto russo, lui e David avevano origini russe e, insieme ai genitori, erano venuti in Italia per lavoro. David aveva trascorso praticamente tutta la sua vita in Italia – dove era anche nato –, Ilian, invece, che all'epoca aveva ventisette anni, era venuto in Italia all'età di dieci anni. Ilian era rimasto qualche anno nel nostro paese, poi i genitori lo avevano rimandato in Russia, dove aveva continuato a studiare danza. Diplomatosi era tornato in Italia e, con la sua compagnia, girava per i migliori teatri. Ilian era tremendamente severo, molto più dei miei fratelli, ma più che severità la sua era cattiveria, cattiveria allo stato puro. Provava gusto a umiliare e a offendere e dalle poche lezioni che aveva tenuto nella nostra scuola, eravamo usciti tutti piangendo.
Nell'ultima lezione che avevamo avuto la fortuna di seguire, si era incaponito che dovesse farmi levare il vizio di guardarmi i piedi. Passò tutta la lezione a torturarmi e, alla fine, stanca delle sue provocazioni e minacce, lo mandai a quel paese. In tutta risposta mi trascinò – prendendomi per l'orecchio – fino alla sbarra a muro e mi fece stare lì per tutto il tempo sulle punte. I quarantacinque minuti più lunghi della mia vita.
Per quanto potesse essere meschino e subdolo nelle sue lezioni, il comportamento che più di tutti mi preoccupava era quello che aveva con suo fratello, con David. Molte volte David mi aveva confessato di temere il fratello, le sue reazioni spropositate, la sua violenza gratuita. Per fortuna David lo vedeva raramente.
«Un altro paio di lezioni con me e toglieresti quel vizio per sempre.» mi disse, vedendo che non rispondevo.
«Non ne ho bisogno, grazie.» Avrei voluto dire "non ho bisogno delle tue stupide lezioni", ma mi trattenni.
Dallo sguardo che mi lanciò Ilian, però, capii che nemmeno la risposta che gli avevo dato gli era andata molto a genio. «Ti farei ingoiare anche quella tua lingua biforcuta.» minacciò.
«Non ne ho bisogno, grazie.» ripetei. Ilian ebbe un sussulto, non si aspettava quella risposta, ma eravamo fuori dalla sala e non poteva farmi niente, non ne aveva il diritto.
Ci guardammo per qualche secondo, poi per fortuna la nostra conversazione venne interrotta da Donato che rientrava seguito da David. David non aveva avuto il tempo di cambiarsi, era evidente: aveva ancora la canotta bianca con sotto i jeans e i suoi capelli castani erano bagnati dalla doccia. Donato non gli aveva dato il tempo di finirsi di preparare.
«Ilian» disse David al fratello, avvicinandosi per salutarlo. Ilian lo abbracciò e in quel momento David mi guardò, capii che era preoccupato.
«David.» Ilian prese il volto del fratello tra le mani. «Come stai?»
«Bene, come mai sei qui?» Era evidente che David volesse arrivare subito al punto. C'era sicuramente un motivo per cui Ilian era venuto a trovare il fratello, non certo per sapere come stava.
«Ho bisogno di parlarti un momento.»
«Oh, vi lasciamo soli.» disse Donato guardandomi. Non volevo lasciare David con quella bestia.
«Oh, no. Donato, tu resta, ho bisogno di parlare anche con te.» gli disse Ilian.
L'unica di troppo ero io, insomma. Bene, almeno con loro c'era Donato.
Mi mossi per uscire da dietro la scrivania, ma Donato mi fermò. «Ah, Marty, ma tu non volevi dirmi qualcosa?» mi chiese.
Mi bloccai. Sì, ero andata da lui per chiedergli il permesso per uscire, ma il quel momento davanti a Ilian e a David non volevo farlo.
«Sì, ma non è urgente, parliamo dopo.»
«Sicura?»
«Sicurissima.» dissi, sforzandomi di sorridere.
Riuscii finalmente ad uscire dalla stanza e mi andai a nascondere dietro la tenda che portava agli spogliatoi femminili: volevo ascoltare quello che Ilian aveva da dire a mio fratello. Scostai leggermente la tenda, in modo che potessi vedere uno spiraglio di quello che stava accadendo lì fuori. David sembrava parecchio teso, lo capii dai muscoli in tensione delle sue spalle. Mi bastava un dettaglio per capire il suo stato d'animo, così come lui riusciva subito a capire il mio.
Eravamo fidanzati segretamente da un anno e due mesi. Ci conoscemmo alla scuola di danza, io avevo sei anni e lui ne aveva sette, diventammo subito amici e, crescendo, ci innamorammo. Mi piaceva la nostra relazione: David era un ragazzo serio, responsabile, con lui non mi annoiavo mai, mi faceva stare bene. Non potevo desiderare di meglio. La nostra relazione iniziò nel più strano dei modi, oramai ci conoscevamo da tantissimo tempo e provavamo gli stessi sentimenti l'uno per l'altra, anche se nessuno dei due aveva il coraggio di dirlo all'altro. Un giorno, mentre parlavamo in chat, mi scrisse che gli piacevo, non ci riflettei nemmeno un secondo per dirgli che anche lui mi piaceva e ci fidanzammo. Semplice, come tutte le cose belle. La cosa che più adoravo della nostra relazione era ballare insieme. Per il fisico molto simile e per il feeling che avevamo, i miei fratelli mi mettevano spesso in coppia in lui. Adoravo i nostri passi a dure, non riuscivamo a ballare con nessun altro. Certo, eravamo due bravi ballerini e, all'occorrenza, avevamo ballato anche con altri partner, ma non era la stessa cosa. Tra di noi c'era un'intesa insostituibile: il modo in cui ci guardavamo, le emozioni che trasmettevamo al pubblico... Riuscivamo a fare questo solo quando ballavamo insieme. I miei fratelli non avevamo ancora capito che tra di noi ci fosse qualcosa, per loro era normale trovare un partner di ballo ideale, non confondevano l'amore con la danza, anche loro in passato avevano avuto delle partner con cui avevano un feeling particolare, ma non erano diventate le loro fidanzate.
«David, hanno offerto un lavoro ai nostri genitori in Russia.» iniziò Ilian, spiegando il motivo per il quale era venuto.
Vidi David stringere i pugni: si stava innervosendo. I suoi genitori si sarebbero trasferiti in Russia, David sarebbe dovuto restare a vivere con Ilian, quindi?
Ilian riprese a parlare: «Si trasferiscono la settimana prossima e io andrò con loro.» Ma come? E David? Non vuole mica portare anche lui in Russia?, pensai.
«Che vuol dire?» chiese David in cerca di spiegazioni.
«Lo so che tu vuoi continuare la scuola qui, la danza, perciò io, la mamma e papà abbiamo pensato a una soluzione, sempre che per Donato vada bene.» disse Ilian girandosi a guardare mio fratello. Donato era fermo e osservava Ilian fare il suo discorso con l'espressione corrucciata.
«Donato, se per te va bene, vorrei che ospitassi mio fratello per qualche giorno, fin quando non troverò una soluzione migliore, sai quanto mi fidi di te.» David in casa nostra? In casa mia?
Donato era serio mentre Ilian gli sorrideva. Si grattò un attimo la fronte: era una decisione difficile da prendere. Si guardarono in silenzio per qualche secondo, poi finalmente Donato aprì la bocca per parlare...
«Che stai facendo?» mi dissero, coprendo la risposta di Donato.
Mi girai a quella parole e mi ritrovai di fronte Simone: mi stava fulminando con lo sguardo e capii perché era così arrabbiato. Deglutii, sorpresa ad origliare.
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