I miei genitori
Diciassette anni prima...
«Simo?» disse Donato al fratello scuotendolo piano. Simone era chino sulla scrivania della scuola di danza con la testa appoggiata sui libri e dormiva. «Simo?» ripeté Donato, stavolta svegliandolo.
Simone alzò la testa di scatto dai libri, sbatté le palpebre confuso, guardò prima il fratello, poi guardò i libri, fece una smorfia al pensiero dei compiti di matematica ancora lì.
«Ti sei addormentato.» gli disse Donato.
«Già...» farfugliò Simone con la voce impastata dal sonno.
«Dov'è Corrado?»
Simone spalancò gli occhi come se gli fosse venuta in mente una cosa spaventosa. Guardò Donato, poi iniziò a guardarsi furiosamente attorno. «Simone, dov'è Corrado?» gli chiese ancora Donato.
«Non lo so.» si lamentò Simone alzandosi dalla sua posizione e muovendosi come a voler cercare il fratello.
«Che vuol dire che non lo sai? Te l'ho lasciato cinque minuti!» esclamò Donato visibilmente contrariato.
Toccava a Donato badare al fratellino, ma lo aveva lasciato cinque minuti con Simone per finire i suoi compiti in santa pace.
«Hai ragione, ma mi è venuto sonno e mi sono appisolato sui libri, lui stava così buono seduto, credevo che sarebbe rimasto lì!»
«Corrado? Simone, stiamo parlando dello stesso bambino? Corrado sarebbe rimasto lì?» disse Donato facendogli capire l'assurdità della sua affermazione.
«Oh, lo so, lo so, hai ragione, che facciamo?»
«Cerchiamolo, non può essere andato chissà dove.»
Simone annuì. I due fratelli decisero che avrebbero cercato il fratello separatamente. Donato lo andò a cercare negli spogliatoi femminili, nella quale per fortuna non c'era nessuno, Simone salì allo studio del padre, che era posto su un soppalco e al quale si poteva avere accesso tramite una piccola rampa di scala.
Simone e Donato si ritrovarono nel punto dove erano iniziate le ricerche, entrambi con notizie negative: non avevano trovato Corrado.
Simone scosse il capo, incredulo. «Dove può essere andato? Non sarà mica uscito?» chiese al fratello.
«Spero di no, perché noi non...»
«Donato, guarda!» lo interruppe Simone.
Simone indicava dietro di lui con gli occhi terrorizzati.
Donato rimase un po' sconcertato alla reazione del fratello, lo studiò, poi si girò e, quando vide quello che gli aveva indicato il fratello, si ritrovò a dargli ragione.
Dalla finestra che dava sulla sala di ballo riuscirono a vedere Corrado, seduto in un angolino sulla destra che fissava in silenzio la lezione che stava tenendo il padre.
Donato e Simone corsero verso lo spiraglio dal quale avevano visto il fratello e si attaccarono al muro per guardare meglio.
«Oh, no, no, no, no, no.» si lamentò Simone guardando ancora dentro la sala.
Corrado aveva il brutto vizio di intrufolarsi di nascosto nella sala da ballo, quando il padre teneva lezione, al padre dava fastidio e aveva cercato in tutti i modi di fargli togliere quel vizio, ma evidentemente non c'era ancora riuscito.
«Papà ci ammazzerà.» si lamentò a sua volta Donato, sapendo che la colpa sarebbe ricaduta su di loro che avrebbero dovuto controllare il fratello e non l'avevano fatto.
«Casomai ammazza te, aveva detto a te di guardarlo.» gli fece notare Simone girandosi a guardarlo.
«Te l'ho lasciato cinque minuti!» ripeté Donato, esasperato.
Simone fece una smorfia a quell'affermazione, era anche colpa sua se Corrado era fuggito.
«Che facciamo?» chiese Simone al fratello.
«Forse se Corrado è entrato senza farsi sentire da papà, possiamo anche farlo uscire.»
«Tu dici?» gli chiese Simone con un tono di speranza nella voce.
«Possiamo provare.»
Donato e Simone si spostarono da quella posizione per andare verso la porta della sala, avrebbero dovuto fare tutto lentamente e silenziosamente, o il padre li avrebbe scoperti.
Donato si fece avanti trovando il coraggio per aprire la porta. Il padre era seduto su una sedia e reggeva un lungo bastone di legno nella mano destra, osservava le ragazze dell'ultimo anno eseguire una variazione. Donato non si girò a guardarlo, cercò subito con lo sguardo il fratellino.
«Corrado.» bisbigliò Donato al fratello per non farsi sentire.
Corrado si girò verso Donato e aggrottò la fronte perplesso.
«Corrado, vieni qui.» gli disse Donato accompagnando le parole da un gesto della mano.
Corrado scosse la testa in segno di diniego e incrociò le braccia sopra al petto.
«Corrado!» lo chiamò ancora Donato.
Corrado non si girò, nonostante avesse sentito il fratello. A quel punto anche Simone provò a chiamare il fratello per farlo uscire, ma fu del tutto inutile.
«Corrado, vieni qui!» ripeté Donato con un tono di voce leggermente più alto.
«No!» esclamò il bambino forte, troppo forte.
Si fermarono tutti a sentire quell'esclamazione, anche il padre dei ragazzi, ma non capì subito la situazione a causa delle ragazze che gli coprivano la visuale.
«Che succede?» chiese.
Bastarono due semplici parole per far drizzare i capelli sulla testa a Donato. In quel momento ebbe l'istinto di tirare Corrado via di lì e scappare, invece restò fermo mentre il padre avanzava verso di loro.
Il padre si trovò faccia a faccia con il suo figlio maggiore, si guardarono per qualche secondo, poi rivolse l'attenzione al suo terzogenito, che si era alzato dalla terra.
Corrado provò a correre verso il fratello, ma il padre lo afferrò per il colletto della maglia. Si dimenò cercando di far mollare la presa, ma in tutta risposta ricevette un sonoro sculaccione sul sedere.
«Come ti devo dire che non devi entrare di nascosto qui dentro?» tuonò il padre tenendo ben saldo Corrado per la maglia.
«Non lo faccio più, non lo faccio più.» si affrettò a dire il bambino, poi si mosse ancora e riuscì a far mollare la presa del padre, andandosi a nascondere dietro la schiena di Donato.
«Sarà meglio per te o la prossima volta assaggerai la mia cinta!» lo minacciò il padre indicandolo.
Corrado era ben nascosto dietro il fratello, aveva tenuto fuori solo la testa, che aveva rifugiato nel fianco di Donato quando il padre gli aveva urlato contro.
Il padre guardò i suoi due figli che erano ancora in piedi davanti a lui. «Per quanto riguarda voi due.» gli disse, «Facciamo i conti dopo.»
Donato e Simone deglutirono senza dire niente. Uscirono dalla sala in silenzio.
Appena furono fuori, Donato afferrò Corrado e lo tenne fermo per le spalle.
«Non lo fare mai più!» gli disse. «So che ti annoi a stare qui, ma non puoi andartene girando come ti pare, e soprattutto non devi più entrare in sala senza permesso.»
«Ma io l'ho chiesto il permesso.»
«Non è vero, Corrado, non dire bugie, non l'hai chiesto.»
«Sì, l'ho chiesto a Simone!»
Donato si girò a guardare Simone interrogativo. «Cosa? Non è vero, non me l'hai chiesto.» disse Simone.
«Sì, e tu mi hai detto: fa' quello che vuoi.»
Simone restò spiazzato, era proprio una cosa da lui e forse in un momento di distrazione si era lasciato sfuggire quell'affermazione.
«Me l'avrà chiesto mentre mi stavo addormentando.» si giustificò con Donato.
Donato roteò gli occhi al cielo sbuffando.
«Ascolta, Corrado, a papà non piace che entri in sala mentre lui fa lezione, non lo fare più, va bene?»
Corrado annuì senza rispondere.
Donato si rilassò un attimo sprofondando su una delle sedie poste dietro la scrivania, Corrado gli saltò in braccio e si sedette sulle sue ginocchia, Simone ritornò a malincuore ai suoi compiti di matematica.
Restarono lì per un po' in pace, fin quando il padre non uscì dalla sala appena finita la lezione.
«Voi due.» disse indicando Donato e Simone, «Nel mio studio, ora.» ordinò.
Donato e Simone guardarono il padre salire le scale che portava al suo studio, poi si alzarono a loro volta e salirono le scale arrivando fino in cima, sospirarono entrambi prima di aprire la porta, spaventati da quello che sarebbe potuto accadere.
Entrarono nello studio e chiusero la porta alle loro spalle.
Restarono in piedi, uno accanto all'altro, mentre il padre di fronte a loro li fissava.
«Chi di voi doveva badare a Corrado?»
Ci fu un lungo silenzio, silenzio nel quale i fratelli si scambiarono sguardi complici, poi Donato parlò.
«Io...»
Donato incrociò lo sguardo del padre per abbassarlo immediatamente.
«Simone, lasciaci soli.» disse il padre a Simone.
«Ma pa-papà, io veramente...» forse Simone voleva provare a dire che Donato gli aveva affidato Corrado quei cinque minuti, quei maledetti cinque minuti nel quale Corrado era fuggito mettendoli nei guai.
«Fuori, Simone.» ripeté il padre che stava per perdere la pazienza e Simone lo sapeva bene.
Senza dire niente, lasciò che il padre parlasse da solo con Donato.
«Lo sai che è colpa tua, vero? Se avessi badato come si deve a Corrado, non sarebbe successo.»
Donato si morse il labbro, non avrebbe mai dato la colpa a Simone.
«Non è colpa mia se Corrado è irrequieto.»
«Donato, questa non è una giustificazione. È colpa tua, sia perché dovevi badarci tu e sia perché ancora non hai imparato a farti rispettare da loro, è normale che i tuoi fratelli fanno quello che vogliono quando sono con te se non hanno rispetto per te.»
Donato non rispose, si limitò ad abbassare il capo, sapeva che il discorso del padre era giusto. I suoi fratelli non gli davano retta perché lui non riusciva a sgridarli o a punirli come faceva il padre. In realtà non lo riteneva nemmeno giusto, lui era semplicemente il fratello maggiore, per le punizioni e le ramanzine bastava suo padre, e invece il padre non era della stessa opinione.
«L'hai sgridato? L'hai sgridato per quello che ha fatto?» chiese il padre.
Donato scosse la testa debolmente. «No.» sussurrò.
Quello che aveva fatto era stato parlare con toni gentili, cercando di far capire al fratello che non si era comportato bene e, a suo parere, era anche di più di quanto potesse fare.
«Avresti dovuto. L'avresti dovuto sgridare e fargli capire che a causa del suo comportamento tu sarai punito, e invece non solo lui commetterà di nuovo quell'errore in più tu verrai messo in punizione e lui continuerà a comportarsi come sempre. E non avrà imparato nulla.»
«Io non voglio che loro mi odino.»
«Odiarti? Perché dovrebbero?»
«Se inizio a comportarti come te mi odieranno di sicuro.»
Donato si morse il labbro, si rese conto di quello che aveva detto, ma comunque troppo tardi per evitare il ceffone che gli arrivò in pieno viso.
«I miei figli non mi odiano!» urlò il padre a pochi centimetri dal viso del figlio, il quale aveva la testa girata di lato e sulla guancia si stava formando l'impronta delle cinque dita del padre.
«Loro mi temono, come te in questo momento, ed è giusto così.»
Donato avrebbe voluto negare a quell'affermazione, ma come poteva dargli torto se aveva iniziato a tremare appena aveva messo piede nello studio del padre?
«E ti sembra bello?» sputò fuori Donato, «Ti sembra bello farsi temere?»
«Sì.» affermò sicuro il padre annuendo, «È l'unico modo per farsi rispettare, lo capirai, un giorno.»
«Non credo.» Donato scosse la testa. Riteneva che la severità del padre fosse esagerata, c'erano altri modi per educare i figli. «Ci sono altri modi per farsi rispettare.»
«E quali sarebbero, sentiamo?» lo sfidò il padre.
«Non lo so.» rispose Donato preso alla sprovvista. Non era certo in grado di dare consigli sull'educazione, sapeva solo che quel modo di educare non gli piaceva per niente.
Il padre sospirò, spazientito. «Stammi a sentire, Donato, io sono stanco di punirti a causa dei tuoi fratelli, tu sei il loro fratello maggiore e se non riesci a non essere troppo clemente con loro, cambierò metodo con te e, credimi, non ti piacerà per niente.»
Donato deglutì. Se aveva pensato che il comportamento del padre fosse già molto severo non immaginava come sarebbe potuto diventare.
Il padre si avvicinò a Donato, diede un buffetto sulla guancia al figlio, proprio nel punto dove gli aveva mollato uno schiaffo. Donato strinse gli occhi in una smorfia di dolore.
«Ti è chiaro, o vuoi una dimostrazione pratica?» disse sorridendo al figlio.
«Ho-ho capito.» balbettò Donato.
«Bene.» gli disse il padre scompigliandoli i capelli, gesto che Donato odiava. «Puoi andare.» Donato uscì dallo studio del padre senza dire una parola.
Il padre lo aveva praticamente costretto a cambiare atteggiamento con i suoi fratelli. Da sempre gli faceva pesare il fatto di essere il fratello maggiore e quindi quello con maggior responsabilità, e a lui stava anche bene, ciò che non riusciva proprio ad accettare era di essere severo con i suoi fratelli, era una cosa che non sopportava. Molte volte per rabbia o per esasperazione era stato sul punto di sgridare o addirittura di mollare un ceffone a uno dei suoi fratelli, ma il solo pensiero di vederli piangere o in collera con lui lo faceva stare male.
Scese le scale e ritornò accanto alla zona segreteria, incrociò lo sguardo di Simone il quale appena vide quei segni sulla guancia del fratello gli chiese scusa mimando la parola con la bocca. Donato sorrise al fratello, rassicurandolo. Era tutto okay.
Dopo poco nella scuola di danza entrò la madre con in braccio il più piccolo dei fratelli, Daniele, e il penultimo, Francesco, che appena mise piedi nella scuola corse dai suoi fratelli.
Francesco urlando andò fino da Simone e si schiantò sulle sue gambe. Simone lo prese in braccio ridendo.
«Perché non vai a dar fastidio a Corrado?» gli suggerì Simone.
Francesco sembrò felicissimo di quell'invito e corse dal fratello che era ancora dietro la scrivania.
«Ehi, no!» urlò Corrado alzandosi in piedi, «Toglietemi dai piedi questo mostriciattolo.»
Simone ridacchiò vedendo Francesco che importunava il povero Corrado.
La madre si avvicinò ai suoi due figli maggiori e scoccò un bacio sulla guancia a Simone e uno sulla guancia a Donato.
Donato le prese Daniele dalle mani e lo tenne in braccio, non voleva che la madre portasse pesi, soprattutto in quelle condizioni.
«Come stai?» chiese la madre dolcemente al figlio accarezzandogli la guancia dolorante.
«Bene.» si limitò a dire Donato, non voleva parlarne. «E tu come stai? Anzi, lei come sta?» cambiò discorso Donato accarezzando il pancione della madre, dentro il quale c'era la sua sorellina.
Donato non vedeva l'ora che nascesse la sua sorellina. Certo, avere dei fratellini era molto bello, ma una sorellina... una sorellina era una storia diversa, tutti loro aspettavano con ansia la sua nascita.
La madre si toccò il pancione. «Sta bene, sta bene. Non sopporta molto i viaggi in auto, ma sta bene.»
Donato sorrise alla madre. «E Giovanni e Andrea?» chiese.
La madre strabuzzò gli occhi e si guardò intorno. «Credevo che fossero scesi dalla macchina, ero sicura che mi stessero seguendo!»
«Stai tranquilla, mamma, vado a vedere che fine hanno fatto.» le disse Donato porgendo Daniele a Simone.
Uscì dalla scuola di ballo alla ricerca dei suoi fratelli.
Dopo pochi passi trovò la macchina della madre parcheggiata. Per fortuna i suoi fratelli erano ancora lì dentro, quello che non gli piacque vedere era che stavano facendo a botte.
Donato si scaraventò sulla portiera della macchina e la aprì. I due fratelli non si accorsero nemmeno che Donato li stava osservando.
Andrea e Giovanni erano sul sedile posteriore. Donato riuscì a prendere Giovanni per la maglia facendolo uscire dalla macchina.
«Basta!» urlò, «Si può sapere che vi prende?»
«Ha iniziato lui!» urlò Andrea.
«Non è vero, è colpa sua!»
«Non mi interessa di chi è la colpa, la dovete finire di comportavi così.»
I due fratelli misero il broncio e Donato riuscì a far uscire dalla macchina anche Andrea.
Li prese per mano per riportarli alla scuola di danza.
«Che hai fatto al viso?» chiese Andrea a Donato.
«Niente.» rispose in fretta Donato.
«Sembra che qualcuno ti abbia picchiato.»
«Non è niente.»
«E invece sì.»
«Secondo me ha sbattuto la testa, sei sbattuto?» chiese Giovanni.
«No.»
«Come fa a sbattere con la guancia, cretino?» domandò Andrea a Giovanni.
«Cretino sei tu!» urlò Giovanni.
«No, tu!»
«Tu!»
Continuarono ad accusarsi l'uno con l'altro e ricominciarono a spintonarsi provando di nuovo a fare a botte.
Donato li divise di nuovo.
«Basta! Basta!» urlò.
Erano appena arrivati davanti alla scuola di danza. Donato si girò per guardargli meglio e si abbassò sulle ginocchia per arrivare alla loro altezza.
«Sì, papà mi ha picchiato,e sapete perché l'ha fatto? Perché è molto arrabbiato oggi. Vi conviene smetterla a meno che non vogliate trovarvi sulle sue ginocchia prima di cena, sbaglio o l'ultima volta che vi ha beccato a fare a botte le avete prese entrambi?»
Andrea e Giovanni osservarono il fratello in silenzio e a bocca aperta, chi tace acconsente.
«Ecco, allora se non volete prenderle di nuovo, smettetela subito.»
Andrea e Giovanni annuirono alle parole di Donato.
Donato respirò a fondo, come se si fosse liberato di un peso.
Appena rientrarono nella scuola di danza trovò suo padre che li stava già osservando da un po', da il vetro della porta.
Andrea e Giovanni camminarono in silenzio fino a raggiungere la madre, non si sfiorarono nemmeno.
Donato li guardò sorridendo soddisfatto, la sua ramanzina aveva fatto effetto.
«Li hai sgridati?» gli chiese il padre.
Donato avrebbe voluto negare, più che altro per orgoglio, ma disse comunque di sì. «Cosa avevano fatto?»
Donato aprì la bocca per parlare, ma si bloccò: non si fidava del padre, li avrebbe puniti e non gli andava di fare la spia.
Il padre scosse la testa. «Non fa niente.» disse. «Per stavolta passi.»
Donato tirò un respiro di sollievo e tornò a guardare Andrea e Giovanni che se ne stavano buoni a guardare Simone che lanciava in aria Daniele che urlava divertito.
In fondo, si disse, non era stato male essere un po' duro con loro.
***
Ero sbracata sul divano con la testa appoggiata sulla spalla di Andrea, era domenica pomeriggio e avevamo appena finito di mangiare come dei maiali. In TV stavano trasmettendo uno di quei film che dura dalle due ore e mezza alle quattro ore circa, quei film dalla trama assurdamente banale, che lasci lì in sottofondo, tanto ti tengono compagnia per tutto il pomeriggio domenicale.
Nessuno aveva la forza di cambiare canale, il telecomando era troppo distante, per cui ci eravamo tutti accontentati di quel film. In realtà nessuno lo stava guardando; Andrea – che era seduto accanto a me – si era quasi appisolato, accanto ad Andrea, Corrado era seduto con le braccia incrociate sul petto e la testa piegata di lato sul punto di addormentarsi anche lui, io mi ero appoggiata su di Andrea ed ero anch'io in procinto di addormentarmi, David era seduto sulla poltrona e Daniele gli si era praticamente spalmato addosso, lo abbracciava addormentato sul suo petto. Era una scena divertente in fondo, anche se provavo una punta d'invidia per mio fratello, avrei voluto essere al suo posto.
Donato stava lavando i piatti e Giovanni lo aiutava a fare la cucina, Francesco era seduto sull'altra poltrona, aveva il gomito appoggiato al bracciolo della poltrona e col pugno sorreggeva la testa che gli cadeva penzoloni. Sembrava stesse fissando il televisore, ma chissà se stava capendo qualcosa del film.
Sbadigliai chiudendo un attimo gli occhi.
«Ehi, ragazzi!» urlò Simone entrando nella stanza.
Ci ridestammo un po' tutti, solo Daniele stava ancora dormendo.
«Guardate cosa ho trovato.» disse poggiando una scatola sul tavolino nel salone.
«Cos'è?» chiese Francesco strofinandosi il viso.
«È una scatola in cui i nostri genitori hanno messo delle nostre cose, molte per ricordo.»
A quel punto ci avvicinammo tutti, incuriositi. Donato e Giovanni smisero di pulire la cucina e si avvicinarono, David svegliò Daniele scuotendolo per la spalla e io mi alzai dalla spalla di Andrea.
Simone aprì la scatola e guardammo tutti cosa conteneva.
C'era un po' di tutto, per la maggior parte erano cianfrusaglie: vecchie foto, pupazzetti, giocattoli, cose così.
Donato si avvicinò meglio a guardare e tirò fuori una lettera. «Toh!» disse «La lettera del fuggitivo.» disse ridacchiando guardando Giovanni. Giovanni gliela tolse prontamente da mano.
«No!» esclamò Francesco, sorpreso, «È la lettera che scrivesti ai nostri genitori prima di scappare di casa?»
«Già.» affermò Giovanni guardando la lettera che teneva tra le mani.
Francesco si alzò dalla poltrona, «Ti prego, posso leggerla?» chiese porgendo la mano sperando che Giovanni gli desse la lettera.
«Certo che no!» disse Giovanni portando la lettera al petto. «È privata, è una cosa tra me, mamma, e papà... beh, soprattutto papà.»
«Dai!» lo implorò Francesco avvicinandosi ancora.
«No.» gli rispose categorico Giovanni.
«Oh!» esclamò improvvisamente Corrado con la testa nella scatola. «Il mio gameboy!»
Prese un giocattolo tra le mani e lo guardò quasi commuovendosi. «Papà me l'aveva sequestrato per punizione e non me l'ha più ridato, vent'anni di punizione penso siano abbastanza!» disse.
Ridemmo.
Guardai anch'io cosa c'era dentro la scatola e una foto mi colpì: erano mamma e papà all'ospedale e la mamma aveva in braccio me; ero appena nata nella foto.
«Questa sono io?» chiesi per conferma.
Donato guardò la foto e annuì. «Sì, la puoi tenere se vuoi.» mi disse.
Gli sorrisi. Sì, volevo proprio tenerla.
Fissai ancora quella foto, mentre i miei fratelli scartavano nella scatola trovando tanti altri ricordi.
In quella foto c'era un ricordo che io non avevo, che non ho mai avuto: com'era stare con i miei genitori.
Un po' tutti loro ricordavano com'era stare con i miei genitori, io no. Le parole di Ilian si insinuarono prepotenti nella mia testa mentre guardavo quella foto. Mi aveva detto che se mi avesse educato mio padre sarei stata diversa, chissà che cosa ne pensavano loro dell'affermazione di Ilian. Decisi di chiederlo.
«Ilian mi ha detto che se papà fosse ancora vivo mi avrebbe educato in modo diverso da come avete fatto voi.» la buttai lì.
Si zittirono tutti, in particolare vidi Donato irrigidirsi.
«È per questo che l'hai chiamato "stronzo egoista"?» mi chiese Daniele.
Avvampai quando Daniele disse quella cosa, sapevano che avevo urlato contro Ilian, ma non ero sicura che sapessero cosa gli avevo detto, l'avevo confessato solo a Daniele e a Francesco.
Mi limitai a fissare Daniele senza rispondere.
«Devi limitare il linguaggio quando sei con Ilian.» mi disse Donato.
Lo guardai perplessa, sul serio? Era dalla parte di Ilian?
«Senza offesa, David,» gli disse Francesco «Ma Ilian è una testa di cazzo!»
David alzò le spalle per niente offeso da quell'affermazione.
«Francesco!» lo richiamò Corrado dandogli un ceffone dietro al collo.
«Ahia!» si lamentò lui massaggiandosi il collo e mettendo il broncio.
«È la verità» disse Daniele. «Ilian è brutale nelle sue lezioni.»
«Brutale?» ripeté Donato ridendo sarcasticamente e scuotendo la testa. «Voi non sapete cosa vuol dire brutale se pensate che Ilian lo sia.»
«Donato, lui mi ha...»
«Lo so!» mi interruppe Donato, urlando. «Lo so, lo so benissimo cosa fa Ilian. E se pensi che restare sulle punte dieci minuti scarsi sia brutale, allora credimi: non saresti resistita ad una sola lezione con papà.»
«Non sono stati dieci minuti scarsi la prima volta, l'ha tenuta lì quasi un'ora!» mi difese Francesco.
«Beh?» chiese Donato alzando il sopracciglio.
Non potevo credere a quello che sentivano le mie orecchie, Donato dava ragione a Ilian!
«Beh? Devo aggiungere altro?» continuò Francesco.
«Non mi sembra esagerato.»
«Stai scherzando?» chiese Daniele a Donato.
«No, non sto scherzando. Volete sapere come ci puniva papà quando eravamo in sala? Quello sì che era esagerato.»
«Donato, ti prego...» provò a fermarlo Corrado, ma fu del tutto inutile.
«Ci faceva arrampicare sulla spalliera, dovevamo posizionarci con le spalle al muro, ci faceva alzare le gambe al petto e restavamo appesi lì per un tempo indeterminato.» Guardai Simone, Corrado e Giovanni quasi per avere una conferma di ciò che diceva Donato: Corrado aveva gli occhi serrati e il viso voltato dalla parte apposta a quella di Donato, Simone invece guardava in basso e si mordeva il labbro furiosamente, Giovanni guardava fisso davanti a sé con lo sguardo perso nel vuoto. La frase di Donato doveva aver risvegliato in loro dei ricordi dolorosissimi.
«E se a un certo punto ti cedevano le braccia, perché, credetemi, a un certo punto perdevi le forze,» continuò Donato «se papà decideva che la punizione non era finita lì ti faceva riattaccare alla spalliera, perché era lui a decidere quando la punizione era finita, non certo noi.» disse guardandomi e io capii che sapeva che avevo detto a Ilian di non poterne più ed ero scesa dalle punte. «E noi venivamo messi in punizione per molto meno di quello che normalmente fate voi, perché nessuno di noi si è mai azzardato a mandare a quel paese papà o chiamarlo stronzo egoista.»
Eravamo ancora tutti in silenzio, nessuno aveva il coraggio di replicare. Sapevo che mio padre aveva cresciuto i miei fratelli molto severamente, ma sentirlo raccontare era molto diverso.
«Perciò la prossima volta che vi sento lamentarvi per le lezioni di Ilian o anche per le nostre, vi attacco alla spalliera, così poi vediamo se avete ancora voglia di farlo.»
Donato finalmente concluse il suo discorso e tornò alle sue faccende in cucina, noi restammo per un po' in silenzio a fissarci di tanto in tanto. Donato non aveva tutti i torti, quello che avevano sopportato loro non era nemmeno lentamente paragonabile a quello che avevamo sopportato noi. E se era così, era perché Donato aveva scelto di non utilizzare con noi gli stessi metodi che aveva nostro padre, ed io ne ero ben felice. Non ero una ragazza docilissima, ma nemmeno irrispettosa come mi aveva definito Ilian e a me andava bene così e sapevo, anche se non l'avrebbero mai ammesso, che anche loro mi preferivano così.
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