I fratelli Leonardi


«Mi ha chiamato la vostra scuola, per uno di voi» esordì Donato mentre eravamo a cena, facendoci andare la carne di traverso.

Ad andare ancora a scuola eravamo in tre: io frequentavo il terzo anno del liceo classico, Daniele e Francesco erano all'ultimo anno del liceo scientifico, in classe insieme, perché Francesco, l'anno prima, era stato bocciato.

«Per chi ti ha chiamato?» chiese Corrado, nella speranza che Donato ci dicesse per quale motivo la scuola lo aveva chiamato.

A Donato piaceva farci tremare le vene e i polsi, farci rimuginare su chi di noi ne aveva combinata una nuova, prima di dirci chi sarebbe andato alla gogna. Tra me e mio fratello Donato c'erano ben sedici anni di differenza; aveva trentadue anni e, essendo il maggiore, era il più severo. Per quanto mi ricordi, non me ne ha mai fatta passare una nella vita, non abbassava mai la guardia. Era sempre molto serio, sorrideva poco ed era quasi sempre preoccupato per qualcosa.

«Non lo so. Ditemelo voi.» ci disse Donato, squadrandoci ad uno ad uno. Ecco, era giunto il momento: voleva la confessione. Voleva che uno di noi tre confessasse. Ci dava la possibilità di dirgli la verità e la sua punizione, forse, sarebbe stata più clemente.

Io, Daniele e Francesco ci lanciavamo occhiate in silenzio, scrutandoci l'uno con l'altro. Potevo essere stata io la causa per cui la scuola aveva chiamato Donato? O forse era stato Daniele? O Francesco? Per quanto mi riguardava avevo la coscienza sporca, eccome, ma i miei fratelli, l'avevano pulita? La scuola aveva dei validi motivi per chiamare Donato e raccontargli del mio comportamento, ma se la scuola non aveva chiamato per me? Avrei confessato inutilmente.

Il silenzio si stagliava imbarazzante sulle nostre povere teste, anche i non accusati mangiavano in silenzio, in attesa del responso. Un altro sguardo ai miei fratelli e decisi di aprire bocca.

«Io...» iniziai, ma mi resi conto che anche Daniele e Francesco avevano parlato, in contemporanea con me.

Ci bloccammo tutti e tre perplessi; avevamo tutti e tre qualcosa da confessare. Deglutii, avrei potuto stare zitta.

«Bene, bene, bene.» disse Donato per poi appoggiarsi allo schienale della sedia e incrociare le braccia sul petto. «Pare che tutti e tre avete qualcosa da dirmi.» Sembrava quasi che la situazione lo divertisse. La scuola lo aveva chiamato solo per uno di noi, ma in quel momento toccava a tutti e tre confessare. «Chi vuole iniziare?» disse, vedendo che nessuno dei tre parlava. Non potevo saperlo con certezza, ma ero quasi sicura che anche i miei fratelli si fossero pentiti di aver aperto bocca. Avremmo dovuto aspettare che Donato ci dicesse la verità. «Francesco?» chiese a mio fratello. Sapevo bene che, da gentiluomo qual era Donato, sarebbe andato in ordine d'età. Sperai che i miei fratelli le avessero combinate più grosse della mia.

Francesco si grattò la testa imbarazzato, tossì per schiarirsi la voce e cominciò a parlare: «L'altro ieri non sono entrato e ho falsificato la firma di Corrado per la giustifica.»

Corrado alzò la testa quando sentì pronunciare il suo nome. Aprì la bocca, ma poi la richiuse, serrando la mascella in uno sguardo truce. Probabilmente, avrebbe voluto cantargliele, ma avrebbe aspettato il responso che Donato aveva in serbo per noi.

«Complimenti.» disse Donato, sarcastico. «Daniele?»

Daniele parlò subito, senza perdere tempo. «Ho preso un'insufficienza al compito di matematica.» disse.

Donato respirò a fondo, serrando gli occhi e passandosi una mano tra i capelli lunghi. Era evidente che si stesse trattenendo dall'esplodere. «Esattamente quanto?» chiese. «Due.» sussurrò Daniele, anche se a tavola avevamo sentito tutti.

«Martina?» chiese, infine, a me.

Non sapevo come confessare il mio crimine in modo che non sembrasse troppo esagerato. Da quello che avevano raccontato i miei fratelli, quello che avevo fatto io non era niente in confronto a quello che avevano fatto loro. Non ero una testa calda: quel genere di ragazza che dà grattacapi inutili. Ma ho sempre odiato il mio carattere, perché spesso, anzi, più che spesso, non sopportavo di prendere ordini e più di una volta, da bambina, il mio non riuscire a tenere a freno la lingua, mi è costato caro.

«Io ho...» Mi presi una pausa per respirare a fondo. «Ho risposto male alla professoressa e mi ha messo una nota.»

«Tu cosa?» urlò Donato. Dalla sua reazione capii che la scuola non aveva chiamato per me, ma che sarebbe stato meglio se non l'avesse saputo.

«Mi dispiace, io non volevo davvero dire quelle cose. È solo che ero molto nervosa quel giorno e lei continuava a richiamarmi...»

«D'accordo, basta!» mi zittì Donato. «Niente scuse, siete in punizione per due settimane, tutti e tre.»

«Cosa? Ma non è giusto!» esclamò Daniele.

«Non è giusto. Hai detto che la scuola ha chiamato solo per uno di noi tre, perché dobbiamo essere puniti tutti?» si lamentò, a sua volta, Francesco. Io stetti zitta, non avevo il coraggio di protestare, mi sentivo troppo in imbarazzo per quello che avevo fatto e sapevo che, se avessi protestato, avrei ottenuto l'opposto di quello che volevo.

«Io non ci trovo niente di ingiusto e, se anche Simone e Corrado sono d'accordo, voi tre siete in punizione per due settimane: niente uscite, niente tv e internet, solo scuola, casa e danza. Chiaro?»

Simone e Corrado annuirono, d'accordo con lui. Raramente avveniva il contrario.

«Sì, Donato.» ci arrendemmo tutti e tre.

La scena pietosa finì e potemmo continuare a mangiare, anche se noi tre non avevamo per niente fame, pensando alle due settimane di punizione che ci aspettavamo.

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