I calzini

«Secondo te cosa intendeva con quella frase?» chiesi a David. Stavamo parlando della frase che Laura aveva detto riguardo Giovanni quando eravamo nello spogliatoio qualche giorno prima. Non sapevo il perché, ma quella frase non riuscivo proprio a dimenticarla; c'era della malizia nella sua voce e io volevo andare a fondo a quella storia.

«Non lo so.» David alzò le spalle. «Forse hanno una relazione.» la buttò lì.

Una relazione? Laura e Giovanni, assolutamente no! Non è possibile!

«Oh, Dio, no!» Sembrava quasi che lo stessi implorando.

David alzò di nuovo le spalle. «Allora non lo so, forse ci stai solo pensando troppo.»

«Tu dici?»

«Sì.» affermò, sicuro. «Non dovresti dare peso a niente di quello che dicono loro...» David mi guardò in modo accusatorio, era ancora arrabbiato perché non gli avevo raccontato nulla di quelle megere.

«Infatti non lo faccio.» dissi guardando altrove.

Stavamo camminando mano nella mano, finalmente eravamo riusciti a uscire da soli.

«Sì, come no. Martina, è bullismo quello che hai subìto.» mi fece notare.

Vista dalla sua angolazione, sì, potremmo anche dire che avevo subìto del bullismo da parte delle ragazze della scuola di danza, ma, dal mio punto vista, non era bullismo: non me ne fregava nulla di quello che dicevano.

«Hai ragione.» ammisi. «Ma io non l'ho mai considerato bullismo, a me non interessava niente di ciò che dicevano.»

«Pensala come vuoi, avresti dovuto dirmelo.» disse, prima di fulminarmi con lo sguardo.

«Scusa.» dissi baciandogli la guancia. «Ti prometto che da oggi in poi non ti nasconderò più niente.»

Continuammo a camminare mano nella mano; eravamo già stati in pizzeria e, in quel momento, stavamo facendo una passeggiata nella piazzetta della città.

«Ti va?» disse d'un tratto David, indicando una gelateria.

«Un gelato?» chiesi io.

«In realtà pensavo più a una crepes.»

Una crepes? Erano anni che non ne mangiavo una.

«Allora?» mi chiese, quando fummo davanti la gelateria.

Annuii. «Va bene.» Ogni tanto un'eccezione la potevo anche fare.

Entrammo in gelateria e David ordinò due crepes con la Nutella; ci sedemmo a mangiarle su una panchina di fronte la gelateria.

La addentai con foga, non avevo chissà quale fame, ma avevo dimenticato quanto fosse buona la Nutella. Appena la cioccolata toccò il mio palato, sentii una sensazione di piacere invadermi il corpo, come poteva del cibo fare questo effetto?

«Mmmh...» bofonchiai prendendo un altro morso.

«Ehi, calma.» mi disse David ridacchiando.

«Era da tantissimo che non mangiavo la Nutella, so che domani me ne pentirò già, ma ne è valsa la pena.»

«Te ne pentirai? Addirittura?» chiese, quasi sconvolto.

«Oh, David, tu sei un maschio, queste cose non puoi capirle.»

«Voi donne vi fate troppi problemi.»

Alzai le spalle. «Forse.» ammisi. «Per un po' me ne sono fatti davvero tanti.»

«Che vuoi dire?» chiese David alzando un sopracciglio, pensieroso.

Non so perché, non pensavo a quella storia da tantissimo, ma dopo avergli promesso di dirgli sempre tutto, non potevo non raccontarglielo. Così gli raccontai di quando decisi di non mangiare più.

Fu dopo aver visto un video di una ballerina spagnola su YouTube, circa due anni prima. Era una ballerina bellissima, magnifica, ed era anche molto più magra di me. Mi misi in testa così che per diventare brava come lei dovevo dimagrire e, siccome i miei fratelli mi hanno fatto sempre mangiare sano, l'unica soluzione per perdere peso era eliminare dei pasti.

Iniziai saltando la colazione, mi svegliavo di proposito tardi, o perdevo troppo tempo sotto la doccia. Poi iniziai a saltare anche i pranzi, dicevo di aver mangiato qualcosa a scuola o per strada, e infine iniziai a saltare anche la cena. Per la cena era un po' più complicato, ma comunque riuscivo a cavarmela; dicevo di non sentirmi bene, o di avere mal di testa, e mi alzavo da tavola dopo aver dato solo un paio di bocconi alla cena.

Durò solo due settimane, il tempo che Donato mettesse insieme i punti. Dopo essersene accorto mi costrinse ad ammetterlo, ad ammettere che stavo diventando anoressica. Donato quella volta fu molto severo con me, come non l'ho mai visto più in vita mia, mi minacciò che non mi avrebbe fatto alzare da tavola se a ogni pasto non lasciavo il piatto vuoto. Mi controllava e, per rendere più facile il suo compito, mi cambiò posto a tavola, da quel momento siedo sempre accanto a lui.

Fu una breve, ma intensa parentesi. Non so cosa mi spinse a fare una cosa del genere, quelle due settimane furono orribili per me, l'inferno. Ero sempre stressata, stanca, nervosa, non riuscivo a dormire, avevo gli incubi tutte le notti, il battito perennemente accelerato e non facevo altro che andare in bagno a controllare il peso.

Se Donato non se ne fosse accorto, non so davvero cosa sarebbe potuto succedere.

«E non ti è più successo?» mi chiese David, quando finii il mio racconto.

Scossi la testa. «No.»

David mi circondò con il suo grande braccio e mi strinse a sé, mi baciò la tempia e mi disse: «Ti amo.»

Sorrisi e ricambiai il suo "ti amo".

Quando finimmo di mangiare la crepes, ci alzammo dalla panchina e ci dirigemmo verso casa, erano le undici e trentacinque e non avevo voglia di sforare il coprifuoco.

Arrivammo fuori la porta di casa, sospirai, la nostra uscita era già finita e dovevamo tornare di nuovo a non guardarci e a non toccarci. Stavo per mettere le chiavi nella toppa, quando David mi tirò a sé e mi baciò intensamente.

La sua lingua affondò nella mia e rimasi per un attimo intontita, poi ricambiai il suo bacio. Lo presi per i fianchi e lui mi mise le mani attorno al viso, le nostre lingue erano intrecciate e avevamo gli occhi chiusi mentre ci assaporavamo.

D'un tratto sentii tossire.

Sobbalzammo entrambi e ci girammo verso Corrado, che in piedi con la porta di casa spalancata, ci guardava sorridendo.

«Avete finito?» ci chiese alzando un sopracciglio, divertito.

Ci staccammo senza dire niente. Era finita la favola.

Entrammo in casa e, appena mettemmo piede nel salone, Giovanni spuntò dalle camere da letto, urlando.

«Ragazzi, avete preso per caso i miei...» si bloccò appena mi vide. «...calzini?» concluse.

Perché si era bloccato nel vedermi? Avevo qualcosa fuori posto?

Entrai meglio in casa e mi specchiai allo specchio posto sulla parete destra accanto alla porta d'ingresso. No, non avevo niente che non andava.

«I tuoi calzini?» domandò Andrea, perplesso.

«Sì.» rispose Giovanni piano. «I miei calzini, sapete quelli...»

«Intendi quelli che si mettono per non fare figli?» lo prese in giro Simone.

Oh, Dio, che orrore! Giovanni stava cercando i suoi preservativi, non volevo sentire altro di quella conversazione.

«Io vado a dormire.» dissi, anche se nessuno mi stava a sentire.

Mi chiusi in camera mia e mandai un veloce messaggio a David nel quale gli auguravo la buona notte.

***

«Spero siate contenti!» urlò Giovanni, appena misi piede in cucina per fare colazione.

«Ieri sono andato in bianco, per colpa vostra.»

«Colpa nostra?» chiese Daniele, esterrefatto.

«Sì, colpa vostra. Qualcuno di voi ha preso i miei... calzini e non ho potuto concludere niente.»

Alzai gli occhi al cielo, ancora con questa storia dei "calzini"? A volte era imbarazzante essere l'unica donna in una casa con otto maschi.

«Non potevi comprarli?» gli chiese Donato.

Nel frattempo io andai a prepararmi un tè caldo.

«Non ho fatto in tempo e quando eravamo sul punto... beh...»

«Oh.» disse Francesco.

«Già, oh!» rispose sempre più arrabbiato, Giovanni.

Preparai la mia tazza, ci misi dentro la bustina di tè verde, poi presi lo zucchero dalla credenza e lo sistemai sul tavolo.

«Comunque non vedo perché devi prendertela con noi, hai interrogato tutti e nessuno ha preso i tuoi dannati calzini!» esclamò Corrado.

«Qualcuno ha mentito, è sicuro.» disse Giovanni.

«Non è possibile che tu li abbia persi? O forse pensavi di averne altri?» gli chiese Donato.

«No, sono sicuro.»

«Non per accusare nessuno, ma vi vorrei ricordare che non siamo gli unici maschi in questa casa.» disse Simone guardando Giovanni, ma tutti i miei fratelli si girarono verso David.

Per quanto ne sapevo David non era stato interrogato da Giovanni, ma era assurdo, perché avrebbe dovuto prendere i suoi preservativi?

Osservai la scena in silenzio, gettando di tanto in tanto l'occhio al bollilatte nel quale avevo messo a scaldare l'acqua.

«David?» chiese Giovanni avvicinandosi lentamente a lui.

L'acqua iniziò a bollire, così mi avvicinai per toglierla dal fuoco. Lo presi facendo attenzione a non ustionarmi.

«Li hai presi tu?»

A quella domanda mi girai a guardare David che veniva interrogato, mentre versavo l'acqua nella tazza.

«Sì.» rispose David, e io mollai la presa sul bollilatte facendo andare tutta l'acqua bollente sulla tavola e per terra.

Merda. 

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