Fuga da Alcatraz
La prima volta che ho capito che Martina iniziava a piacermi, è stata durante una lezione di Corrado. La osservavo costantemente e non riuscivo a staccare gli occhi da lei. Aveva appena compiuto quindici anni e io ne avevo sedici, ci conoscevamo ormai già da tantissimo tempo, ma quella volta fu come vederla per la prima. Non era più semplicemente la mia compagna di corso, era qualcos'altro, qualcosa che si fece strada lentamente nel mio cuore impossessandosene.
Cercavo di starle a distanza, non perché volevo liberare il mio cuore, ma per poterla osservare interamente, in tutta la sua bellezza. I suoi capelli neri tirati in uno chignon alto, i suoi occhi sempre attenti e concentrati ma al tempo stesso traditori, perché la costringevano a guardare verso il basso, forse per l'insicurezza, forse per la voglia di cercare di fare sempre meglio.
Più la osservavo e più capivo perché mi piacesse: non era perfetta ma era unica, ed è per questo che mi piaceva. Aveva il suo modo per fare qualsiasi cosa, anche per mettere la pece sulle punte; ancora oggi ricordo i suoi movimenti: prima la pianta del piede, poi la mezza punta e poi la punta.
C'era qualcosa che mi bloccava, però. Non saprei dire cosa, probabilmente la paura di non essere ricambiato, di non piacerle. Certo, lei era gentile con me, mi sorrideva e mi trattava con molto garbo, ma lei era così con tutti e io non saprei dire se mi trovasse attraente o se mai aveva solo pensato a noi due insieme.
Parlavamo tutti i giorni, cercavo sempre di scambiare qualche battuta con lei durante le lezioni, ma nonostante ciò non ho mai avuto il coraggio di chiederle di uscire. Fin quando un giorno, parlando in chat su Facebook, non riuscii a trattenermi e le scrissi che mi piaceva. Due parole: mi piaci, e poi mi sentii così stupido e idiota, volevo ritrattare, dirle che stavo scherzando mentre aspettavo la sua riposta, ma poi arrivò, due parole: anche tu.
All'epoca quelle due parole suscitarono in me una gioia immensa, almeno fino a quando non mi regalò altre due parole: ti amo.
Da quel momento in poi è stato tutto così veloce e naturale, la baciai nel corridoio della scuola di danza, un bacio casto e veloce a cui ne seguirono altri, prima l'ho baciata e poi le ho chiesto di uscire. Se ci penso adesso mi viene da ridere.
Lei, all'inizio, per i primi mesi della nostra relazione ha voluto tenere segreto il fatto che stessimo insieme, non voleva che i suoi fratelli lo sapessero e io ero d'accordo con lei; io e Daniele eravamo molto amici prima che mi fidanzassi con sua sorella ed ero d'accordo sul mantenere il segreto, segreto che poi ci è sfuggito di mano ed è rimasto tale per più di un anno.
Ho davvero creduto che la nostra relazione sarebbe finita quando i suoi fratelli hanno scoperto di noi, la loro reazione fu forse esagerata, ma probabilmente dettata dal fatto di aver scoperto qualcosa di inaspettato.
E quando tutto sembrava andare per il meglio, liscio, sono subentrati i miei genitori a rovinare tutto.
Ed era per questo che con il cuore in gola stavo correndo a prendere il pullman diretto all'aeroporto. Sapevo che me ne sarei pentito, ma non potevo fare altrimenti: dovevo andare via da lì.
Ero stato ricoverato per qualche giorno in quell'ospedale, avevo accettato di fare tutti gli accertamenti del caso per avere più tempo per progettare il piano di fuga. Mi ero sottoposto a esami del sangue, Ttac, visite psichiatriche e quant'altro, fino a far credere ai miei genitori di essere convinto di essermi sbagliato. "Non lo so che cosa ho visto" ripetevo agli psicologi che mi chiedevano: hai davvero visto tuo fratello? E loro erano contenti. Così contenti che, lentamente, come premio mia madre mi portava qualcosa da casa a mia scelta, tutte cose che sapevo mi sarebbero servite per la mia fuga.
Ero riuscito a contattare Martina e successivamente con telefoni di fortuna anche gli altri fratelli per avere aiuto da loro, aiuto che non avevano esitato a darmi. Avevano prenotato per me un viaggio di sola andata per l'Italia, non potevo farlo io stesso perché non avevo i mezzi, ma li avrei ripagati, di ogni centesimo e anche di più.
Salii sul pullman con un nodo in gola che si stringeva man mano che ci avvicinavamo all'aeroporto. Mi sembrava di fare qualcosa di sbagliato.
Il pullman si fermò davanti l'imponente aeroporto di Mosca e io lo osservai per qualche minuto. Fui l'ultimo a scendere dal mezzo; quella sensazione di disagio e senso di colpa non mi aveva abbandonato per un minuto da quando ero andato via dall'ospedale.
Stavo facendo la cosa giusta?
Era davvero quello che volevo?
Dovevo dare una seconda chance ai miei genitori?
Quello che stavo per fare avrebbe cambiato non solo la mia vita, ma anche la loro. Era davvero quello che volevo?
Scesi dal pullman e mi avviai verso l'interno dell'aeroporto. Appena mi avvicinai al banco per l'imbarco, sentii le mie mani tremare mentre dicevo alla ragazza che era dall'altra parte che avevano prenotato un volo per me. Probabilmente lei si accorse della mia agitazione e del mio nervosismo; sentivo il sudore scendere sulla fronte e brividi di freddo pervadermi il corpo.
Per qualche secondo pensai che avrebbe chiamato qualcuno, magari la sicurezza per farmi perquisire: ero agitato, sudato e provato da giorni in ospedale che non mi rendevano certo attraente. Potevo immaginare come apparivo ai suoi occhi, così respirai a fondo e decisi di darmi un contegno, dovevo calmarmi o sarebbe saltato tutto il mio piano.
Passai le ore in attesa della partenza dell'aereo pensando all'ironia della vita: avevo fame, sete, il conto in banca pieno, ma non avevo soldi con me! È buffa la vita!
Ovviamente in quell'attesa non mancai di guardarmi continuamente attorno: la paura che i miei genitori mi avessero scoperto e che avessero anche capito la mia idea mi perseguitava da quando ero uscito dall'ospedale.
Ma per fortuna non fu così.
Riuscii a prendere l'aereo senza alcun impedimento e quando mi allacciai la cintura di sicurezza, sprofondai nel sedile tranquillizzandomi finalmente.
Durante il viaggio ero anche riuscito ad addormentarmi, erano giorni che non dormivo bene e quelle ore in aereo furono una benedizione per quanto mi sentivo stanco.
Quando l'aereo atterrò, ad aspettarmi, all'aeroporto di Napoli, c'era tutta la famiglia al completo, compreso Mirko. Sorrisi a vederli schierati lì davanti a me. Feci qualche passo, lasciai cadere a terra lo zaino e aspettai che mi investissero con i loro abbracci. Fui avvolto completamente da non so quanti fratelli, in una situazione diversa mi sarebbe mancata l'aria, ma in quella fu la cosa di cui più avevo bisogno.
***
Avevamo finalmente avuto l'onore di conoscere Alberto, l'amico avvocato di Mirko. Donato si era comportato bene, anzi, più che bene, aveva messo da parte la gelosia ingiustificata per la loro amicizia ed era stato un ottimo padrone di casa.
Alberto non era un brutto uomo, anzi, ma non era neanche bellissimo. Aveva i capelli castano chiaro, una folta barba, era alto e tutto sommato aveva un fisico decente. Era stato difficile trattenere le risate o non fare battutine per i miei fratelli, ma c'erano riusciti.
Alberto sembrava un uomo simpatico, gentile, ma soprattutto disposto ad aiutarci.
David aveva chiesto il nostro aiuto, il suo piano era semplice, ma senza di noi non avrebbe mai potuto attuarlo.
Voleva andare via dalla Russia, per sempre, e non stare più sotto la supervisione dei suoi genitori. Aveva finalmente compiuto diciotto anni, ma per un patrimonio così ingente come quello di Ilian aveva bisogno di un aiuto.
Così, proprio come voleva Ilian nella sua lettera, Alberto aveva creato un documento legale in cui si dichiarava che, nonostante il patrimonio fosse solo ed esclusivamente di David, in caso di spese particolari avrebbe dovuto avere l'approvazione scritta e firmata di uno di noi.
Tutto ciò l'aveva chiesto David, perché, nonostante fosse maggiorenne, non si sentiva ancora in grado e pronto a gestire tutti quei soldi e personalmente non potevo non capirlo.
«Allora, David» disse Alberto sorridendogli. Eravamo tutti a casa di Mirko, David era seduto a capotavola, alcuni dei miei fratelli erano rimasti in piedi e altri si erano seduti attorno al tavolo con lui. Alberto era in piedi. «Questo è il documento che mi avete chiesto» affermò estraendo dalla sua borsa in pelle un plico di fogli.
Pose i fogli davanti a David, che abbassò subito la testa su di essi. «Leggi tutto attentamente e se c'è qualcosa che non capisci sono disponibile a spiegartelo.»
Alberto era un bravo avvocato, oltre che un brav'uomo.
Restammo in silenzio mentre David leggeva con attenzione il documento. Non so a cosa stessero pensando i miei fratelli in quel frangente di tempo, ma io non riuscivo a non pensare a quanto avessi voglia di baciarlo. Probabilmente non era la situazione adatta per fare pensieri del genere, ma era tantissimo che non lo vedevo, che non sentivo la sua voce. Avevo bisogno di un contatto fisico con lui, di abbracciarlo, di coccolarlo; ne sentivo davvero la necessità, come di bere o di mangiare.
In più ci si metteva anche la sua condizione fisica e mentale, che mi spingeva a sentire il bisogno di proteggerlo e di farlo sentire meglio.
Era stato un colpo per me quando l'avevo visto in quello stato: magro, nervoso, agitato e visibilmente provato. Inevitabilmente ero tornata alla mente all'anno in cui iniziammo a capire i sentimenti che provavamo l'uno per l'altra. David era una persona diversa: era più allegro, sempre con il sorriso sulle labbra, sicuro di sé e di quello che voleva. La persona, invece, che era tornata dalla Russia era completamente diversa. Tutte le preoccupazioni, il lutto e l'ostilità dei genitori verso la nostra relazione l'avevano cambiato, sul suo volto era sparito il sorriso che tanto amavo, ma ero sicura che sarei riuscita a farlo tornare.
«Ho fatto» disse David alzando la testa dal foglio.
«Tutto chiaro?» chiese Alberto.
«Sì, tutto.»
David passò il foglio a Donato che era accanto a lui e lo guardò. «Sarebbe meglio se firmaste in ordine d'età e con il vostro nome completo, compresi secondi nomi se li avete» disse Alberto rivolgendosi a Donato.
Donato annuì, ispezionò velocemente il foglio e poi firmò. Passò il foglio a Simone, poi Simone a Corrado e così via, fino ad arrivare a me.
Ero minorenne, ma Alberto disse che potevo firmare, così presi la penna dalle mani di Daniele e firmai sotto il suo nome. David mi accarezzò la schiena quando mi piegai sul tavolo per farlo.
Gli porsi la penna, mancava solo la sua firma.
David guardò il foglio per un tempo interminabile, aveva la penna puntata sul suo spazio per firmare, ma sembrava che non volesse proprio farlo.
Io e i miei fratelli iniziammo a guardarci, complici. Era possibile che David avesse avuto qualche ripensamento.
David sospirò e si morse il labbro, poi puntò di nuovo la penna sul foglio, ma non scrisse. Scosse la testa.
«David,» parlò Alberto, «capisco che è un passo importante quello che stai per fare, e capisco anche i tuoi dubbi, ma vedrai che un giorno capiranno.»
Alberto si riferiva ai genitori di David. Stava togliendo loro la possibilità di aiutare il proprio figlio a gestire il suo patrimonio e li stava escludendo quasi completamente dalla sua vita, siccome aveva intenzione di restare in Italia.
David annuì e si morse ancora il labbro.
Gli accarezzai la schiena, come lui aveva fatto con me poco prima. Mi guardò e mi sorrise, un piccolo sorriso, ma era già qualcosa.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì firmò.
Quasi simultaneamente sentii anche i miei fratelli sospirare di sollievo.
David porse il documento ad Alberto che ne conservò una copia.
Donato si alzò dal tavolo e andò da lui. «Lascia che ti offra qualcosa da bere» disse indicando ad Alberto il frigo. L'avvocato sorrise a Donato ed entrambi si spostarono verso la cucina; Mirko li osservò incuriosito mentre parlavano animatamente.
«È incredibile,» disse scuotendo il capo, «l'altra volta era sul punto di rompere il marmo, adesso sembrano conoscersi da una vita! Cosa ne è del mio fidanzato?»
Ridacchiammo alle parole di Mirko.
David si alzò dal tavolo e mi venne vicino. «Posso parlarti in privato?» chiese.
Annuii. «Certo» gli dissi.
Stavamo per spostarci per andare via dalla stanza, ma Donato ci riprese. «Non lontano dalla mia vista, per favore» disse.
Mirko si rivolse a noi: «Eccolo qui!»
«Cinque minuti, davvero» disse David.
Donato sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «Va bene, cinque minuti» sentenziò.
Portai David nella mia stanza e appena chiusi la porta alle mie spalle, mi gettai sulla sua bocca, lo baciai appassionatamente e lui ricambiò.
«Ti amo» disse accarezzandomi piano il viso. «Devo parlarti seriamente, però.»
«Va bene» dissi mettendo il broncio. «Mi sei mancato tantissimo, ma aspetterò.»
David sorrise di sbieco e mi baciò velocemente. «Abbiamo tutto il tempo per quello.»
Annuii ridacchiando.
Io e David ci sedemmo sul mio letto e lui iniziò a raccontarmi tutto quello che non sapevo, tutto quello che era successo in quel lasso di tempo in cui i suoi genitori ci avevano costretto alla lontananza.
Mi raccontò nel dettaglio di quel famoso giorno alla scuola di danza, il giorno del suo compleanno, il giorno che gli era costato un ricovero in ospedale, il giorno in cui aveva visto suo fratello.
Fui sorpresa di sentirlo, David non ci aveva detto del perché era ricoverato lì e perché i genitori non volevano farlo uscire, ci aveva chiesto aiuto e non avevamo esitato a farlo, senza chiedere né come né perché.
«Hai davvero visto Ilian?» gli chiesi.
David annuì, sicuro. «Sì, ne sono sicuro, era lui.»
«Ma non l'hai visto in volto, però» gli feci notare.
«Hai ragione, ma... Non lo so, Martina, sento che è ancora vivo.»
«Anch'io» gli confessai. «Ho sempre pensato che non fosse morto, ma che avesse solo inscenato la sua morte, solo che non volevo darti false speranze.»
David scosse la testa. «Non ci avevo mai pensato prima di vederlo alla scuola di danza, ma adesso non riesco a pensare ad altro.»
«Cosa intendi fare?»
«Lo cercherò» disse. «Non smetterò mai di farlo... Adesso posso anche permettermi la CIA!»
Risi e lui rise con me. Lo baciai. «Giusto» dissi ridacchiando ancora.
Qualcuno bussò alla porta della mia stanza e io e David sobbalzammo ridestandoci e, quando sentimmo dall'altra parte della porta la voce di Daniele, mi venne da ridere, anche se avevo voglia di mettermi le mani nei capelli: era tornato tutto come sempre... o quasi.
Eccomi! Puntuale come ogni giovedì! Che ne pensate? Il capitolo ha soddisfatto le vostre aspettative? Spero proprio di sì!
Un bacio e al prossimo giovedì,
Mary <3
ps: vi consiglio di ascoltare la canzone del video, è veramente bella!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top