Feste e litigi

Ero attaccata alla sbarra a muro nella saletta di casa nostra e stavo eseguendo qualche esercizio per riprendere un po' la forma dopo le feste di Natale, che erano già volate vie. Per fortuna erano state delle feste molto tranquille e il giorno seguente avrei iniziato ad andare a scuola e a ricominciare la mia solita routine.

Rimettere le punte, dopo due settimane, era stato abbastanza difficile, e sentivo tutti i muscoli delle gambe atrofizzati.

Scesi in pliè, tenendo tutti i muscoli ben tesi, sentivo nella mia mente le parole che ci diceva sempre Corrado quando facevamo lezione. Tentavo di fare tutto al meglio come lui pretendeva, anche se sapevo che, se fosse entrato in quel momento in sala, avrebbe trovato mille errori. Risalii dal pliè e sistemai i piedi in quinta posizione prima di salire sulle punte; trattenni il respiro e alzai anche le braccia in quinta.

Ero girata di spalle allo specchio, quindi non potevo vedere se la mia posizione era buona; riscesi dalle punte lentamente e cominciai a eseguire qualche esercizio di tecnica.

«Martina?» mi sentii chiamare da fuori la porta. «Martina?» ripeterono ancora.

Sospirai scendendo dalle punte. «Sono qui!» urlai.

Andrea aprì la porta della sala e venne verso di me, aveva in mano il telefono di casa; me lo porse. «È Lucia» mi disse.

«Hai risposto tu?» mi venne spontaneo chiedergli. Lucia aveva una bella cotta per Andrea, che chissà se sarebbe mai stata ricambiata.

«Sì» rispose lui guardandomi interrogativo. «Fai presto che tra poco mangiamo.»

Annuii.

«Pronto?» dissi portandomi il telefono all'orecchio.

«Martinina? No, non va bene Martinina, come si fa con il tuo nome? Cioè, voglio dire, se ti chiamassi Angela potrei chiamarti Angelina, ma con il tuo nome non suona bene...»

«Lucia?»

«Oppure se ti chiamassi Marianna potrei chiamarti Mariannina...»

«Lucia, hai finito?»

Rise.

«Sì, ora sì. Come stai, bella bionda? Che stavi facendo? Ho avuto un'interessante conversazione con tuo fratello!»

«Sto bene, grazie» dissi scuotendo la testa anche se non poteva vedermi. «Mi stavo allenando, che vi siete detti?»

«Allora, io ho chiamato e ho detto: "Ciao, sono Lucia, c'è Martina?" E lui ha detto: "Chi?" E io: "Lucia!" E lui: "Oh, aspetta". Basta, è finita qui.»

Stavolta fui io a ridere, era proprio da Andrea intrattenere una conversazione del genere e nel raccontarmi Lucia aveva imitato alla perfezione la voce di mio fratello.

«Interessante, non trovi? Credo sia stata la conversazione più lunga che abbiamo mai avuto. Comunque... ti avevo chiamato per invitarti a una festa, stasera!»

«Una festa?»

«Sì, non è proprio una festa, è più un insieme di persone che si riunisce in casa di un amico e chiacchiera mangiando e bevendo, si chiama festa perché festeggiamo l'ultimo giorno di festa, poi domani si torna alla normalità.»

«Già...» risposi pensierosa. Mi morsi il labbro cercando di pensare a cosa risponderle: non mi era permesso uscire quando il giorno dopo c'era scuola. «Non lo so, è che...»

«Non ti è permesso uscire perché domani c'è scuola, lo so, lo so, ma almeno prova a chiedere, no? Che ti costa?»

«Sì, beh, posso provare.»

«Magnifico! La festa è alle otto, se ti danno il permesso vengo a prenderti con un paio di amici, ti direi porta anche David, ma so che ha la febbre.»

«Mi sembra proprio che ti dispiaccia» le feci notare, sarcasticamente. A Lucia piaceva David, ma preferiva avermi tutta per sé quando uscivamo.

Lucia ridacchiò un po'. «A dopo, allora» disse. «A dopo» risposi prima di riagganciare.

Scossi ancora un po' la testa, poi posai il telefono a terra e andai a infilarmi le mie bellissime punte nere. Prima di farlo mi guardai intorno per essere certa che nessuno mi vedesse. Non avevo detto a nessuno dei miei fratelli del regalo di Ilian, non sapevo come avrebbero reagito e sinceramente non volevo saperlo.

Con mio grande dispiacere mi tolsi le punte e andai a cambiarmi per pranzare.

***

Dopo il pranzo, i miei fratelli, come al solito, erano tutti sbracati sul divano. Guardai l'orologio: erano già le cinque e io dovevo tornare a casa per chiedere il permesso a Donato e, eventualmente, sbrigarmi per prepararmi.

Mi alzai dalla sedia. «Chi mi accompagna a casa?» chiesi quasi urlando per svegliarli.

«Sei a casa» protestò Corrado.

«Dai, ragazzi, devo andare» mi lamentai.

«Mmmh, resta a dormire qui» propose Francesco.

«Daiii.»

Giovanni si alzò dal divano, sbadigliò e si stiracchiò. «Andiamo, ti accompagno io» mi disse.

Andò a mettersi il cappotto e io lo seguii.

Quando arrivai a casa c'era solo Mirko ad aspettarmi, Donato era uscito per fare delle commissioni per l'imminente riapertura della scuola di danza.

«Sai quando torna?» chiesi a Mirko.

«Non lo so, è uscito un'ora fa e ha detto che ci avrebbe messo un paio di ore a fare tutto.»

Guardai di nuovo l'orologio: erano le sei; Donato non sarebbe mai tornato in tempo.

Mi morsi il labbro e mi diressi in camera mia.

Non potevo chiamare a telefono Donato per chiedergli il permesso, stava facendo delle commissioni il che voleva dire che era impegnato, e avrei ottenuto solo un "no" e io volevo davvero andare a quella festa.

Sospirai stendendomi sul letto. Proprio in quel momento Lucia cominciò a bombardarmi di messaggi su WhatsApp: voleva sapere se potevo andare alla festa anche per organizzarci.

Le feci una nota vocale per riassumere la situazione, la sua risposta fu: "Vieni e basta, non hai bisogno del permesso".

Storsi il naso. Se solo fosse così semplice.

Si stava facendo sempre più tardi e io non mi ero ancora preparata per poter andare alla festa e Donato non accennava a ritornare a casa.

Andai di nuovo da Mirko per chiedergli informazioni.

«Se vuoi lo chiamo, ma c'è qualcosa che non va?» mi disse.

«No, nulla, è solo che Lucia mi ha invitato ad andare a casa di un suo amico e domani c'è scuola, quindi dovrei chiedere il permesso a Donato, ma se lui non torna...»

«Non puoi chiamarlo?»

«Preferirei di no.»

Mirko sembrò riflettere, guardò in alto, poi ritornò a guardare me.

«Possiamo fare così: tu preparati e con il mio permesso vai alla festa.»

«No, Mirko, non posso, cioè tu...»

«Ci parlo io con Donato, tanto è mia nipote che ti ha invitato, no? So che è una ragazza tranquilla.»

«Non so se...»

Non ero proprio sicura che a Donato sarebbe andata bene in quel modo, ma si stava facendo tardi e temevo che aspettare il ritorno di Donato avrebbe significato restare a casa.

«Stai tranquilla, non si arrabbierà» mi disse Mirko leggendomi nel pensiero.

Annuii. «Sei sicuro?»

«Sì, vatti a preparare.»

Gli sorrisi, poi corsi a dargli un bacio sulla guancia e a scegliere cosa mettere per la serata.

***

La casa dell'amico di Lucia non era molto grande, o forse erano le persone a essere molte. Era la mia prima vera festa da sola; prima di allora ero andata ad altre feste, ma sempre con i miei fratelli o con David.

«Vieni, ti presento i miei amici» mi disse Lucia prendendomi per un braccio e sistemandomi un bicchiere di Coca Cola in mano.

La seguii senza dire nulla: Lucia era inarrestabile.

«Ragazzi, lei è la mia carissima amica Martina. Martina, loro sono Nicola, Roberto, Jennifer, Giorgia e Michele.»

«Piacere» dissi sorridendo a tutti.

«Ma tu non vieni a scuola nostra?» mi chiese Jennifer. «Non ti ho mai visto...»

Scossi la testa. «No, infatti no. Vado al Sandro Pertini.»

«Scientifico?»

«No, classico.»

Storsero tutti il naso quando lo dissi. «Non è poi così difficile» ammisi cercando di fingere nonchalance.

In fondo era vero, a parte il greco, in cui non ero proprio una cima, non era mai stato difficile per me; avevo la sufficienza in tutte le materie e anche qualcosa in più, avrei avuto la media dell'otto se non fosse proprio per il greco.

«Sei single?» mi chiese all'improvviso uno di loro, ma non riuscii a capire bene chi.

«No, è fidanzata e ha sette fratelli maggiori, non fare lo scemo, Nico» lo ammonì Lucia; era stato Nicola a parlare.

Ridacchiai per la faccia che fece Nicola a sentire «sette fratelli maggiori»; ormai ci ero abituata, ma era comunque sempre divertente.

Da quell'affermazione di Lucia furono tutti molti incuriositi e iniziarono a farmi mille domande sulla mia vita. Cercai di non rendere molto deprimente la storia della morte dei miei genitori: non volevo trasformare la festa in un mortorio. Non era semplice riassumere in due parole tutta la mia vita, ma ci provai comunque.

«Wow, quindi siete tutti ballerini?» mi chiese Michele.

Annuii. «Sì.»

«È meraviglioso» disse Giorgia.

«Oh! E sai fare anche quel balletto là, come si chiama... lo schiaccia qualcosa...»

«Lo schiaccianoci?» dissi alzando un sopracciglio.

«Sì, quello!» esclamò contento Roberto.

«L'abbiamo messo in scena qualche volta, quest'anno stiamo preparando Romeo e Giulietta...»

«Sì e lei sarà Giulietta! Dovreste vederla, è bravissima!» disse Lucia andando in estasi, eppure mi aveva visto ballare una sola volta.

«Voglio vederti ballare!» esclamò a sua volta Jennifer.

Resterai per un attimo sconcertata da tutto quell'entusiasmo, poi mi venne un'idea. «Potreste venire al saggio di fine anno a giugno, se vi va.»

«Mi piacerebbe tantissimo» disse Jennifer.

«Sì, anche a me» confermò Giorgia.

Arrossii, ma poi per fortuna la discussione si spostò e smisero di farmi domande sulla mia vita: non amavo tutta quell'attenzione.

La serata fu molto piacevole, mi divertii tantissimo: passammo il tempo a chiacchierare di tante cose, a giocare ai giochi di società e a mangiare qualche schifezza. C'erano anche degli alcolici, ma non ne bevvi; avevo avuto già modo di assaggiarne alcuni, ma li trovavo disgustosi: l'alcool decisamente non faceva per me.

Prima che si facesse troppo tardi chiesi agli amici di Lucia di accompagnarmi a casa, furono ben felici di offrirmi un passaggio.

Prima di salutarli ci scambiammo i contatti Facebook e i numeri di cellulare per sentirci qualche volta.

Non ero nemmeno arrivata a casa e già mi avevano aggiunto a un gruppo su WhatsApp.

***

Ridacchiai ancora rientrando in casa, mentre Nicola scriveva sul gruppo di sentire già la mia mancanza.

Chiusi la porta alle mie spalle con un piede e pensai a cosa rispondergli.

«Dove sei stata?»

Alzai la testa al suono di quelle parole e mi trovai di fronte un Donato arrabbiatissimo.

Deglutii facendo un passo indietro. «Non hai parlato con Mirko?» chiesi. Sapevo che l'idea di Mirko mi avrebbe messo nei guai.

«Sì, ho parlato con Mirko, ma voglio sapere da te dove sei stata.»

«A una festa.»

«Dove?»

«A casa di un amico di Lucia.»

«Dove?»

«Non so bene l'indirizzo...»

Donato si passò le mani nei capelli sciolti e sospirò cercando di mantenere la calma.

«Adesso rispondi a quest'altra domanda: sono io o è Mirko tuo fratello?»

Capii la gravità della situazione e cercai di scusarmi. «Donato, io...»

«Rispondi» mi disse fermo.

«Tu.» Abbassai lo sguardo. «Sei tu mio fratello.»

Donato si avvicinò di qualche passo a me, lo sentii solo, perché non lo stavo guardando. «E a chi devi chiedere il permesso per uscire?»

Sospirai. «A te.»

«E l'hai fatto?»

Scossi la testa in segno di diniego senza rispondere.

«Non ti ho sentito.»

Alzai lo sguardo su di lui incrociando i suoi occhi: il suo sguardo era un misto di rabbia e delusione, non volevo farlo arrabbiare, non era mia intenzione. «No, non l'ho fatto» farfugliai. «Ma Mirko...»

«Mirko un corno, Martina!» esclamò Donato facendomi sobbalzare. «Devi dare conto solo a me, non a Mirko, sono io tuo fratello, sono io che ho la tua tutela legale! Se ti fossi fatta male sarebbe stata mia la responsabilità, non di Mirko, mia! Lo capisci?»

«Sì, lo capisco, ma tu non tornavi e io volevo andarci e allora Mirko ha detto che...» mi fermai vedendo che l'espressione di Donato stava diventato sempre più furiosa. «Scusa» farfugliai alla fine. «Chiederò a te la prossima volta.»

«Non la prossima volta, sempre.» Donato abbassò gli occhi, poi sospirò. «Martina, io mi sono preso una grande responsabilità quando ho scelto di tenervi tutti sotto lo stesso tetto e di prendere la tua tutela e quella di Andrea, ed è per questo che ho fissato delle regole, ferree ma necessarie. Una di queste regole, lo sai bene, è che non si esce quando il giorno dopo c'è scuola, a meno che io non decida di fare un'eccezione, ma devi chiedermi il permesso.»

«Lo so. Non accadrà più. Mi dispiace.»

Donato annuì, poi fece un respiro profondo. «Vai a dormire» mi disse.

Senza aggiungere altro feci quanto mi aveva detto. Spensi il cellulare senza rispondere ai messaggi che mi avevano inviato: non ne avevo voglia.

***

La mattina dopo, Mirko e Donato non si parlavano nemmeno: avevano discusso per colpa mia.

Mi sedetti al tavolo in cucina di fronte a Mirko, che stava sorseggiando il caffè e leggendo il giornale; Donato mi mise il caffè latte davanti. «Ti accompagno io oggi a scuola» mi disse.

Annuii guardando Mirko, il quale non distoglieva lo sguardo dal giornale.

Donato passò dietro a Mirko per prendere i fazzoletti sul tavolo, lui si spostò dando una gomitata nello stomaco a Donato; Donato si lamentò mugugnando, ma senza dire niente. Quando Donato uscì dalla stanza per andarsi a cambiare, Mirko stava ridacchiando da dietro il giornale: l'aveva fatto apposta.

«Mi dispiace che avete litigato» dissi a Mirko quando fui sicura che Donato non potesse sentirci.

«Non è colpa tua, Martina» mi disse Mirko abbassando il giornale e ripiegandolo in quattro parti.

«Sì, non dovevo andare alla festa senza il suo permesso.»

Mirko scosse la testa. «No, è stata colpa mia, non dovevo mettermi in mezzo. Devo smetterla, ancora non ho capito che non posso mettermi in mezzo tra voi e lui. Prima lo capirò, prima sarà meglio per tutti.»

«Mirko, io...»

«Andiamo?»

Le parole mi morirono in gola: dietro di me Donato mi aspettava con le braccia incrociate sul petto.

«Sì, mi lavo i denti e andiamo» gli risposi.

In macchina, verso la scuola, c'era un silenzio imbarazzante; Donato guidava mordendosi il labbro inferiore e cambiando bruscamente marcia.

Sapevo che era molto arrabbiato e, probabilmente, con il senno di poi, non avrei dovuto affrontare quel discorso con lui, ma non riuscii a trattenermi.

«Tu e Mirko avete litigato per colpa mia?» gli chiesi.

Donato guardò in alto e sbuffò. «No, abbiamo litigato per colpa sua, perché non doveva darti il permesso.»

«Io potevo dirgli di no» gli feci notare.

«Sì, ma tu hai sedici anni e volevi andare a una festa, lui ne ha trentacinque e dovrebbe essere una persona responsabile.»

«Non ha fatto niente di così grave, la verità è che ti dà fastidio quando qualcuno si mette in mezzo tra noi e te.»

«Sì, e allora?»

«Mirko non è uno qualunque, è il tuo fidanzato da tredici anni, vivete insieme e...»

«Stai cercando di darmi consigli sulle relazioni?» disse scoppiando a ridere.

«No...» bisbigliai.

«Ah, volevo ben dire» continuò ridendo ancora un po'.

Iniziai a innervosirmi: mi stava trattando per l'ennesima volta da bambina. «Fanculo» borbottai prima di girarmi dall'altra parte.

«Cosa hai detto?» chiese lui.

«Ho detto: vaffanculo, Donato!» gridai girandomi di nuovo verso di lui.

Senza staccare gli occhi dalla strada Donato mi diede una manata in pieno volto, sarebbe dovuto essere uno schiaffo, ma mi colpì sulla bocca invece che sulla guancia. Mi rifugiai la bocca nella mano destra e chiusi gli occhi per trattenere le urla per il dolore che sentii.

Mi girai a guardarlo: non provavo da tempo tanta rabbia nei suoi confronti, mi aveva addirittura messo le mani addosso perché non accettava la verità. Lui continuava a guardare la strada e a guidare, quasi come se non fosse successo niente.

Sentivo il labbro inferiore pulsare; mi aveva fatto davvero male.

«Fammi scendere!» urlai.

«Come?» chiese rallentando un po'.

«Ho detto: fammi scendere. Vado a piedi» dissi e, approfittando del traffico, aprii la portiera e scesi dalla sua macchina.

Donato provò a dire qualcosa, ma gli chiusi la portiera in faccia e cominciai a camminare il più veloce possibile.

Eravamo quasi arrivati a scuola, per cui non era molto il tragitto da fare a piedi.

Continuai a camminare il più velocemente possibile, poi mi girai indietro per vedere se mi stava seguendo, ma non vidi nulla.

Sbuffai rabbiosa. Arrivai al cancello della scuola, ma mi fermai. Mi toccai il labbro: bruciava terribilmente. Estrassi il cellulare dalla tasca e vidi che stava già cominciando a gonfiarsi.

Sbuffai di nuovo guardando ancora la scuola. Non avevo voglia di entrare, non avevo voglia di affrontare un giorno di scuola. Così decisi di non entrare. Mi voltai di spalle e cominciai a camminare, senza sapere esattamente dove andare. 




Bene! Ecco il nuovo capitolo! Spero vi piaccia! Vi avevo promesso una sorpresa (siamo arrivati a più di 30K visualizzazioni) e infatti eccola qui! 

Come avete visto alla fine del capitolo Martina non sa dove andare, quindi ho pensato che potreste decidere voi dove farla andare, vi darò tre opzioni, sotto nei commenti votate quella che più vi piace, l'opzione con più commenti vince e nel prossimo capitolo la troverete. 

Iniziamo! 

A) Dai fratelli 

B) Da Ilian 

C) Prende un pullman senza sapere esattamente dove porta 

Votate! 

P.S.: Ieri sono andata al teatro san Carlo a Napoli a vedere Lo Schiaccianoci, è stato meraviglioso! 

Un bacio,

Mary <3

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