Claustrofobia
«Niente» risposi cercando di essere il più possibile convincente.
Giovanni mi guardò con sufficienza. «Martina,» mi disse, «ho parlato con Laura.»
«Oh...» Accompagnai quel verso con un'espressione colpevole.
«Già...»
«Senti, Giovanni, l'unica cosa che volevo fare era aiutarti a tornare il prima possibile, volevo che Laura dicesse a sua madre che non ha motivo di denunciarti.»
Giovanni si passò una mano sul volto. «Ascoltami, Marty. Io capisco che tu sia preoccupata per me, capisco la preoccupazione di tutti voi, ma in questo modo non fai altro che creare ulteriori casini. Ti prego, stanne fuori.»
Quella ramanzina l'avevo ricevuta già da Donato.
«Va bene» gli promisi. «Ma tu stai bene?»
«Sì, sto bene.»
«Bene bene?»
«Bene.»
«Okay» mi arresi.
«Ci sentiamo, fai la brava.»
«Va bene, a presto» gli dissi.
Quando chiudemmo la conversazione mi diressi subito a cambiarmi per uscire con David.
Decisi di mettermi una gonna, visto che il tempo ancora lo permetteva, e una camicetta bianca. Mi truccai gli occhi con un velo di eyeliner e misi un po' di fard.
Mi pettinai i capelli e poi uscii dal bagno.
Andai incontro a David che era seduto su una sedia del tavolo in cucina e chiacchierava con Francesco. Appena mi vide alzò gli occhi su di me e aprì la bocca quasi estasiato.
«Sei bellissima» farfugliò, e tutti i miei fratelli ridacchiarono, prendendolo in giro.
«Grazie» mi limitai a dirgli arrossendo leggermente.
David si alzò dalla sua posizione e mi circondò il fianco con il braccio destro. «Andiamo?» mi chiese sussurrando. La sua sembrava quasi una preghiera: non voleva restare ancora in casa davanti agli sguardi dei miei fratelli che ci stavano prendendo in giro alla grande.
Annuii, lasciando che mi conducesse fuori casa.
«Non fate tardi» sentii dire a qualcuno, probabilmente a Donato.
***
Io e David passammo una serata magica, andammo a mangiare una pizza e poi decidemmo di fare una passeggiata in riva al mare.
Ci togliemmo le scarpe e camminammo sul bagnasciuga per un po'. Avevo un po' paura di stare lì, al buio; il mare era nero e iniziava a tirare una leggera brezza. Cercai di riscaldarmi incrociando le braccia sopra al petto, ma quando David si accorse che avevo freddo, mi circondò con il suo possente braccio e mi trasse più a sé. Mi attaccai al suo petto e ispirai il suo profumo.
Camminammo ancora e poi, senza preavviso, David mi trascinò sulla sabbia fresca. Fece molta attenzione a farmi cadere su di lui, invece che sulla sabbia.
Lo baciai di slancio. «Pazzo.» gli dissi.
Lui sorrise ricambiando il mio bacio. «Sarebbe più da pazzi se ti proponessi di fare un bagno nudi.»
Lo guardai impaurita: non aveva mica intenzione di gettarmi in acqua?
«Non lo faresti, vero?» chiesi.
David roteò gli occhi in alto e a destra, come se ci stesse riflettendo. All'improvviso mi prese in braccio e si avvicinò a grandi passi al mare.
«No!» urlai.
«Devo confessarti una cosa» disse cercando di essere il più serio possibile.
«Cosa?» ridacchiai. La situazione era alquanto divertente, anche se non volevo essere assolutamente buttata in acqua.
«Sono un serial killer e voglio ucciderti» disse prima di avvicinarsi ancora di più all'acqua.
Lanciai un urlo e mi attaccai più saldamente a lui. «Ti prego, no!» esclamai fingendomi impaurita. «Non uccidermi, ti prego.»
«D'accordo» disse e con mio grande sollievo ritornò verso la sabbia.
Mi lasciò andare e, quando rimisi i piedi a terra, gli diedi un buffetto sulla spalla. «Non farlo più!» lo rimproverai.
«Ti ammazzerò quando saremo a casa.» sussurrò al mio orecchio, poi si avvicino a me e mi baciò il collo. Sentivo il suo respiro sul viso. «Per adesso ti ammazzo di baci.» disse prima di riempirmi letteralmente di baci, sia sul collo che sulla guancia e sulla bocca.
Ricademmo di nuovo sulla sabbia, ma stavolta restammo sdraiati a guardare le stelle.
David mi teneva abbracciata a sé e io avevo poggiato la testa sul suo petto.
«Cosa voleva Giovanni?» mi chiese all'improvviso.
Alzai le spalle. «Niente, solo che non mi impicciassi degli affari suoi.»
«Effettivamente ha ragione, sei un'impicciona.»
Gli diedi un pugno nello stomaco. Si lamentò per il dolore. «Sto scherzando.» si difese.
Risi e lui rise con me.
«È bello che tu voglia aiutare tuo fratello, ma effettivamente non hanno tutti i torti se ti chiedono di starne fuori, potresti combinare qualche casino e sentirti in colpa per quello che hai fatto.»
Non potei che essere d'accordo con lui. «Già.» annuii sconsolata. Meglio evitare di fare ancora casini.
Restammo ancora a coccolarci sulla sabbia fredda, fin quando non ci accorgemmo che era l'ora di tornare a casa.
***
Spalancai la porta di casa ridacchiando perché David stava per inciampare nelle scale. Entrammo in casa ancora ridendo. Stranamente ad aspettarci non c'era nessuno, di solito trovavo sempre qualcuno dei miei fratelli svegli, anche solo per farci notare che eravamo in ritardo di qualche minuto.
David approfittò della situazione e mi trasse a sé, tirandomi per il polso. Mi costrinse a girarmi verso di lui e mi prese il viso tra le mani scoccandomi un tenero bacio. Chiusi gli occhi e mi godei il contatto con le sue labbra. Aprii la bocca e permisi alla sua lingua di invadermi, giocammo per un po', ma a un certo punto mi lasciai andare, forse troppo e, presa dalla passione, infilai le mani sotto la sua maglietta, cercando il contatto con la sua pelle.
«Come ha fatto quell'imbecille a chiudersi dentro non lo so!» sentii borbottare alle mie spalle.
Mi staccai immediatamente da David. Donato stava entrando in salone quasi marciando, a stento si accorse di noi.
«Ehi!» disse quasi sorpreso di vederci.
Andò verso il cassetto delle posate e lo aprì, scavò per un po', e poi mi informò della situazione, anche se non avevo chiesto niente.
«Tuo fratello è rimasto chiuso nel bagno.» disse.
«Chi?»
«Andrea.»
Donato alzò un attimo la testa per guardarmi, nei suoi occhi lessi la preoccupazione, la stessa preoccupazione che sentivo crescere di più. Andrea era claustrofobico.
Senza aspettare che Donato dicesse altro, corsi verso il bagno. David mi seguì senza chiedere niente.
Davanti alla porta c'erano Simone e Corrado che, appena mi videro, aprirono la bocca in contemporanea per spiegarmi che stava succedendo, ma gli anticipai attaccandomi alla porta.
«Andrea?» chiesi.
Sapevo, anche se non potevo vederlo, che Andrea era rannicchiato dall'altra parte della porta appoggiato al legno, con le ginocchia al petto e la testa nascosta tra le gambe, tremando e singhiozzando come ogni volta che aveva un attacco di panico.
Scoprimmo per caso che nostro fratello era claustrofobico. Andrea era sempre stato il tipo di persona che parla poco, soprattutto di se stesso. Non ci aveva mai confessato di avere paura degli spazi chiusi, fin quando una volta, alla scuola di danza, non rimanemmo chiusi dentro a causa di un black out.
La porta della scuola di danza era collegata con la centrale elettrica, si apriva automaticamente solo schiacciando il pulsante che c'era dietro la scrivania. Quando mancava la corrente la porta si bloccava e non si apriva più, fin quando non tornava la corrente. Era un meccanismo di difesa, principalmente ideato per eventuali furti.
Ricordo ancora le sue urla e i suoi pianti di disperazione. Si gettò letteralmente sulla porta, cercando in tutti i modi di aprirla, ma, prima che rompesse il vetro della porta con i pugni, Donato lo afferrò e tentò di calmarlo.
Mi straziò vederlo in quello stato, soprattutto perché parlargli e fargli capire che sarebbe andato tutto bene non servì a nulla. Si calmò solo quando tornò la corrente.
E, in quel momento, attaccata alla porta del bagno, sapevo esattamente in che stato era.
«Sì?» rispose dopo un po'.
«Come stai?» mi pentii quasi subito di avergli fatto quella domanda.
«Male» farfugliò, poi lo sentì singhiozzare.
«Donato sta cercando un modo per aprire la porta, ma per favore, Andrea, almeno spostati, non possiamo nemmeno sfondarla se resti lì» lo pregò Simone.
«No...» gli sentimmo dire. «...la finestra...»
«Cosa?» chiedemmo tutti e quattro.
«Sto pensando di buttarmi dalla finestra» disse.
La sua idea non era male, se non fosse che abitavamo al secondo piano, e non era il caso che si buttasse dalla finestra, si sarebbe fatto molto male.
Corrado si schiantò sulla porta, colpendola con i pugni. «Non fare cazzate o appena esci di qui le prendi!»
Simone lo tolse dalla porta prendendolo per il braccio destro. «Ti sembra questo il modo di rassicurarlo?» gli chiese.
«Che altro gli posso dire? Vuole buttarsi dalla finestra!»
«Non vuole buttarsi dalla finestra, sta delirando, come al solito» si intromise Donato, che era tornato dalla cucina e aveva in mano un cacciavite.
Donato era tranquillissimo e sinceramente non sapevo come faceva a mantenere la calma in quel modo. Gli attacchi di panico di Andrea per me erano spaventosi.
«Andrea?» chiese Donato.
«Donato!» urlò lui da dietro la porta. «Hai trovato una soluzione...?» Tirò su con il naso. «Ti prego dimmi di sì...» disse prima che un singulto gli stroncasse le altre parole.
«Sì, ma tu devi spostarti dalla porta, okay?»
«Okay...» rispose semplicemente Andrea.
Simone stava quasi per parlare, arrabbiato del fatto che Andrea aveva dato retta solo a Donato, ma si trattenne.
L'idea di Donato era quella di scardinare la porta, a questo serviva il cacciavite. Non avremmo dovuto romperla, Andrea dall'altra parte non si sarebbe fatto male e si sarebbe risolto tutto a meraviglia.
Ci mettemmo un po' ad attuare il piano di Donato, per tutto il tempo, però, Andrea stette buono, lo sentivamo solo tirare su con il naso, ma aveva smesso di singhiozzare forte e respirare a scatti.
Quando finalmente riuscimmo ad aprire la porta, Andrea si fiondò fuori. La prima persona che trovò fu Donato: lo abbracciò e restò a piangere ancora nel suo abbraccio.
Andrea scivolò lentamente a terra e Donato assecondò i suoi movimenti, fin quando non si trovarono a terra, in ginocchio. Donato lo teneva ben saldo a sé e lo cullava cercando di farlo calmare.
Esattamente come quel giorno, quella scena mi straziò.
***
Il giorno dopo, mentre eravamo seduti a tavola a fare colazione, cercavamo in tutti i modi di far parlare Andrea. Andrea non era un gran chiacchierone, ma temevamo che dopo un attacco di panico smettesse del tutto di parlare e si chiudesse sempre di più in se stesso. Al contrario, noi invece volevamo fargli capire che con noi poteva parlare, poteva aprirsi.
«Domani ho bisogno di un aiuto con le lezioni dei ragazzi del primo anno» cominciò Corrado. «Chi mi aiuta? Andrea?»
Andrea guardò Corrado, alzò le spalle indifferente e poi disse: «Ti solito ti aiuta Daniele.»
«Sì, ma io non posso» si affretto a dire Daniele. «Non posso proprio perché devo studiare per il compito in classe che abbiamo martedì.»
«Martedì abbiamo un compito in classe?» chiese Francesco spaventato. Non c'era nessun compito in classe, era una scusa, ma era divertente vedere Francesco nel panico.
«Sì... abbiamo il compito di matematica» disse piano Daniele a Francesco.
«Sul serio?»
Come al solito Francesco si beccò uno schiaffo dietro la testa da Corrado. «Se prestassi più attenzione in classe, lo sapresti» gli disse.
«Quindi anche tu devi studiare» disse Andrea a Francesco.
Francesco annuì, poi guardò Corrado. «Pare di sì.»
«Capisco... E scommetto che anche Martina ha qualcosa da fare» bofonchiò Andrea.
«Beh, in effetti...» cominciai.
«Ragazzi, voi non vi state comportando così perché ho avuto un attacco di panico l'altro giorno, vero?»
«No!» rispondemmo in coro.
Alzai gli occhi al cielo, quanto sembrava una bugia?
Andrea ci guardò con uno sguardo di sufficienza.
«Non ci puoi biasimare se siamo un tantino preoccupati» gli fece notare Simone.
«Io sto bene» disse Andrea. «Ho solo bisogno di... tempo. Io non sono come voi, lo sapete, ho bisogno solo di capire quello che sento e cercare di conviverci, non mi forzate, vi prego.»
«Nessuno vuole forzarti» disse Donato.
«Grazie» disse Andrea sorridendo.
«Sì, ma a me serve davvero un aiuto domani» disse Corrado facendoci ridere tutti.
«Non c'è problema, lo farò io» gli disse Andrea.
Corrado gli fece l'occhiolino.
Sorrisi vedendo mio fratello forse più sereno. Diceva di voler stare da solo e in pace per stare bene, ma si era appena aperto con noi e stava già meglio.
«Uh, è tardissimo, devo andare!» esclamò Donato all'improvviso guardando l'orologio che aveva sul polso.
«Dove vai?» gli chiese Daniele.
«Ho un appuntamento» rispose in fretta Donato mentre era già quasi fuori la porta.
Per poco Francesco non si affogò con il caffè e latte che stava bevendo.
«Tu?» esclamò sorpreso Daniele. «Tu hai un appuntamento?» chiese sempre più sconvolto.
Donato annuì in fretta arrossendo, e senza salutarci andò via.
Quando Donato chiuse la porta alle sue spalle ci guardammo tutti un po' perplessi. Era davvero strano che Donato avesse un appuntamento. Da quando lo conoscevo non ricordavo di una singola volta che fosse uscito con qualcuno, forse qualche volta ce l'aveva nascosto, ma era la prima volta che ci informava di questo raro evento ed era davvero, davvero... Strano!
Ciao a tutti! E' passata mezzanotte ed è ufficialmente giovedì! Ho pensato di pubblicare il capitolo a quest'ora perché volevo che vi svegliaste con la notizia del capitolo online! Quindi spero che siate già sotto le coperte, in caso contrario buona lettura!
Spero che il capitolo vi faccia, come sempre aspetto i vostri commenti!
Baci, al prossimo giovedì.
Mary <3
ps: la storia è stata per un po' in #8 posizione e mi sono goduta per un po' la top ten, non avete idea della gioia! :D
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