Capitolo extra: Il prestito
Buon giovedì ragazze, oggi vi regalo un altro capitolo extra, dal titolo penso sappiate di cosa parlerà e soprattutto chi ci sarà... quindi bando alle ciance e buon divertimento!
Un raggio di sole mi sfiorò la guancia e iniziai a sentire un leggero fastidio invadermi il viso, il calore del sole mi stava costringendo ad aprire gli occhi e a svegliarmi, ma io non volevo.
Così provai a girare il viso dall'altra parte, ma i miei occhi si aprirono comunque. Deglutii per dare sollievo alla mia gola secca e mi leccai le labbra, a quel mio gesto seguì un involontario sbadiglio. Mi stiracchiai leggermente e cercai sul comodino accanto a me il mio orologio, quando vidi che ora era saltai immediatamente in piedi. Era tardi, dovevo tornare a casa, ma mi ero addormentato di nuovo nel letto di Mirko.
Senza svegliarlo, mi misi in fretta i pantaloni e la maglietta, mi infilai i calzini e cercai le scarpe nella stanza.
Sorrisi quando trovai una scarpa sotto il letto e una accanto alla sedia, in fondo alla stanza. Non avevamo neanche chiuso la porta di casa sua, che io e Mirko ci eravamo spogliati in preda alla passione e una delle mie scarpe era rimasta lì, all'ingresso della sua camera da letto.
La andai a recuperare e, mentre me le allacciavo, mi fermai a osservare Mirko che dormiva beatamente. Era una visione celestiale quell'uomo. Dormiva di fianco, con una mano sotto il cuscino e l'altra stesa lungo il corpo, aveva il lenzuolo che gli copriva solo la parte inferiore del corpo, mentre il suo busto era completamente nudo.
Mi avvicinai piano a lui, riflettendo se svegliarlo o no. Dovevo assolutamente tornare a casa, non potevo aspettare che si svegliasse, ma non volevo neanche andarmene senza dirgli niente, non mi piaceva l'idea di farlo svegliare in un letto vuoto senza di me. O almeno a me non sarebbe piaciuto.
Salii con le ginocchia sul suo letto e allungai la mano, sfiorai con l'indice la linea perfetta della sua colonna vertebrale, lui strinse le spalle e si mosse appena. Gli accarezzai la spalla e gli baciai l'incavo del collo, a quel punto Mirko si girò, aprii gli occhi e mi sorrise.
«Buongiorno» farfugliò.
«Buongiorno» risposi scoccandogli un bacio sulla bocca. Mirko mi tirò a sé ponendomi una mano dietro il collo, mi baciò più intensamente e fece scendere l'altra mano lentamente lungo il mio corpo; rabbrividii quando mi sfiorò gli addominali.
Mi staccai da lui con l'intenzione di fermarlo. «Devo andare a casa» gli dissi.
Mirko non riuscì a celare un'espressione delusa, ma annuì. Feci finta di niente, Mirko sapeva che avevo delle responsabilità a casa e non potevo certo passare tutta la giornata con lui.
«Cosa dirai?» disse quando mi staccai da lui e aggiustandomi la maglietta maltrattata.
«Che ero uscito a prendere i cornetti.» Dovevo in qualche modo spiegare un rientro in casa la mattina. Non avrei detto ai miei fratelli che avevo passato la notte fuori, ma che ero uscito prima che loro si fossero svegliati per andare a comprare i cornetti, era un piano perfetto. Considerando, soprattutto, che alla vista dei cornetti neanche avrebbero provato a obiettare la mia versione.
Mirko annuì di nuovo. «È stato strepitoso stanotte» mi disse e io arrossii.
«Sì, anche per me» affermai, «ma la prossima volta vorrei provare qualcosa di diverso...»
Di solito, anche per l'esperienza maggiore, era sempre Mirko a prendere il sopravvento tra di noi e a me sarebbe piaciuto provare a dirigere il gioco per una volta.
Mirko ridacchiò. «A casa tua puoi fare quello che vuoi, ma qui comando io.»
«Sei perfido» gli dissi ironicamente.
«Mai quanto te che mi lasci da solo in questo letto.»
Non risposi, incassando il colpo.
Sospirai e mi affaccendai a prendere le mie cose per andarmene. Quando recuperai il mio cellulare trovai un messaggio di Corrado, mi chiedeva che fine avevo fatto e mi diceva che Andrea aveva la febbre, di nuovo. Dovevo portare assolutamente quel ragazzino a fare un controllo.
Sbuffai.
«Che succede?» mi chiese Mirko.
«Andrea ha la febbre.»
«Di nuovo?»
«Già.»
«Non è normale.»
«Lo so.»
«Stasera ci vediamo?»
Alzai gli occhi su Mirko, mi fissava con la testa appoggiata alla mano destra. «Non lo so» farfugliai e abbassai gli occhi per non incrociare il suo sguardo: non volevo dirgli di avere un altro appuntamento, così mi inventai una bugia. «Di solito, quando Andrea ha la febbre, devo stargli sempre dietro e la notte mi cerca, per cui...»
Non finii la frase e Mirko annuì. «Capisco. Ci sarebbero altri due fratelli che potrebbero sostituirti» disse riferendosi a Simone e a Corrado, «ma va be'... lo capisco.»
Aggrottai la fronte accigliandomi. Ma va be', lo capisco. No, non lo capiva se mi lanciava queste frecciatine.
«Potrebbero, ma sono io il tutore legale di Andrea e...»
«Bacchettone» sussurrò Mirko.
«Come hai detto?»
«Ho detto che sei un bacchettone» mi disse.
Non mi offesi affatto per quello che disse, perché lo stava dicendo con quel sorriso a cui non sapevo resistere, il sorriso di chi sa di aver detto qualcosa di sbagliato e prova piacere nel farlo.
«Bacchettone nel senso che bacchetto?» gli chiesi avvicinandomi a lui, facendo finta di non capire cosa intendesse.
Scosse la testa in segno di diniego. «No, nel senso che hai una mazza su per il...»
Gli tappai la bocca con la mano prima che potesse finire la frase. «Non concludere» lo minacciai.
Mirko ridacchiò e io lo baciai. Gli promisi che ci saremmo visti al più presto e poi lasciai casa sua.
***
Quando rientrai in casa, fui investito da una serie di domande, proprio quello che avrei voluto evitare, ma preso dalla preoccupazione di tornare a casa il prima possibile avevo dimenticato di comprare i cornetti.
«Sono corso qui quando mi hai detto di Andrea» risposi a Corrado che, giustamente, mi aveva chiesto a quali cornetti mi riferissi, visto che non li avevo in mano.
«Ah, peccato» borbottò Giovanni.
«Donato...» mi sentii chiamare dalla voce lamentosa di Andrea. L'avevano fatto stendere sul divano del salotto, con una plaid di lana e un cuscino dietro la testa.
Mi avvicinai a lui, mi abbassai sulle ginocchia e gli toccai la fronte. «Scotti. A quanto ce l'avevi la febbre?»
«Trentotto e sei» rispose Corrado al posto suo.
«Devi prendere la tachipirina» dissi ad Andrea.
Andrea sbiancò a quelle parole. Tutti noi, da bambini, avevamo odiato mettere la supposta; mia mamma ci costringeva perché era l'unico metodo per far abbassare in fretta la febbre, e quando iniziai a occuparmi dei miei fratelli dovetti darle ragione: era davvero l'unico metodo, gli altri medicinali servivano a poco.
«Non voglio» si lamentò Andrea.
«Certo che non vuole» si intromise Corrado, «A chi è che piace infilarsi roba nel culo?»
Strinsi gli occhi a quelle parole. «Corrado...» provai nella speranza che non continuassero quel discorso, e invece...
«Ai gay, forse» disse Simone.
Ecco fatto, l'avevano detto.
Corrado ridacchiò. «Già, probabilmente a loro sì.»
Mi morsi il labbro cercando di non dar a vedere quanto quel discorso mi toccasse e mi stesse facendo male.
«Non ho mai capito come fanno...» si intromise Giovanni.
«Chi sono i gay?» chiese Martina, all'epoca aveva circa otto anni.
Simone e Corrado risero, ma non risposero. Martina era curiosissima, perciò non demorse.
«Donato, chi sono i gay?» mi chiese.
Spalancai la bocca non sapendo che dirle.
«Sono...» iniziai, «uomini che amano altri uomini» farfugliai cercando di non guardarla negli occhi: mi sentivo in imbarazzo per quel discorso e tanto.
«Ed è una cosa sbagliata?» chiese lei.
«No,» scossi la testa, «non lo è.»
«Beh...» ricominciò Simone.
«Smettetela» ringhiai. «Basta» dissi e loro finalmente si zittirono.
Ritornai a occuparmi di Andrea. «Ti prendo una pasticca» gli dissi e lui annuì.
Andai nel bagno a cercare quella medicina e quando uscii fui bloccato da delle grida provenienti dalla camera da letto in fondo al corridoio.
Quando spalancai la porta, trovai Francesco steso a terra e Daniele che gli puntava una spada giocattolo alla gola.
«Sei morto!» urlò Daniele al fratello.
Daniele alzò la sua spada lentamente quasi come se volesse creare suspense, come nei film. Sorrisi e, poco prima che si abbattesse sul povero Francesco, parlai.
«Ragazzi?» domandai. Daniele si girò di scatto per guardarmi e a quel punto Francesco sgusciò dalla sua posizione, raccolse la sua spada e si mise di nuovo in posizione di combattimento.
«Oh, uffa» si lamentò Daniele. «Avevo vinto!»
Trattenni una risata. «Siete tutte e due sudati, calmatevi un po' e asciugatevi. Andrea ha la febbre, vedete di stargli alla larga.»
«Andrea ha la febbre?» chiese Francesco illuminandosi, «Quindi non andrà a scuola domani?»
«No, penso proprio di no.»
Daniele e Francesco si guardarono complici e io capii che stavano pensando. «Non ci provate nemmeno, guai a voi se vi sale la febbre, vi mando lo stesso a scuola, però prima vi scaldo il sedere, chiaro?»
Daniele e Francesco sbuffarono. «Va bene» si lamentarono.
«Cos'hai sul collo?» mi chiese Daniele.
Mi toccai il collo alla sua domanda ed entrai meglio nella loro stanza per specchiarmi. Guardai con orrore il succhiotto che mi aveva fatto Mirko la notte prima e spostai sopra la maglia come a volerlo coprire. «Niente, niente» mi affrettai a dire. «Fate meno casino» dissi loro e poi ritornai a prendermi cura di Andrea.
***
Mi tremarono le gambe quando entrai nel ristorante nel quale avevamo deciso di incontrarci. Non so perché mi sentivo così, forse perché non l'avevo detto a Mirko, perché in fondo era un appuntamento con un altro uomo e, anche se non era un appuntamento romantico, mi sentivo comunque come se lo stessi tradendo.
Varcai la soglia e dissi all'uomo che mi accolse di avere una prenotazione.
«A che nome?» disse lui. Era un uomo vestito elegantemente, con giacca formale e pantalone nero, una camicia bianca e una cravatta nera. Forse era anche per quello che mi sentivo in quel modo, per il posto. L'avessi scelto io non sarebbe stato di certo così.
«Sakiridov» farfugliai.
L'uomo annuì e si spostò indicando la sala. «La stanno già aspettando» mi disse.
Mi condusse alla sala e sulla destra, seduto a guardare il menù, c'era il mio appuntamento: Ilian.
Mi accomodai di fronte a lui. «Ciao, Ilian» gli dissi.
Ilian alzò lo sguardo e chiuse il menù. «Ciao» mi disse. Il cameriere portò un menù anche per me e ci disse di prenderci tutto il tempo per l'ordinazione.
Mi guardai intorno: era un posto davvero chic, i tavoli erano marroni e in tinta con l'arredamento e i colori della sala; tutte le persone erano vestite elegantemente. Per fortuna io avevo messo la giacca.
Ilian aveva insistito per portarmi a cena e parlare con calma del prestito che gli avevo chiesto. Non avevo potuto dirgli di no: mi stava salvando la pelle e la stava salvando a tutta la mia famiglia.
«Come stai?» mi chiese.
Sbattei le palpebre smettendola di guardarmi intorno e mi concentrai su di lui. «Bene, grazie» dissi. Mi sentivo in imbarazzo: chiedere aiuto non mi piaceva per nulla, soprattutto se si trattava di chiedere soldi. «Tu come stai?»
«Bene, lo spettacolo alla Scala sta andando a meraviglia» disse.
Gli sorrisi. Ilian meritava quel successo: era un grande ballerino. «Mi fa piacere per te» gli dissi sinceramente. «Sarebbe bello venire a vederti.»
«Posso farti avere i biglietti, se vuoi.»
Scossi la testa, stava già facendo troppo. «Non ha importanza.»
«Come vuoi...» borbottò.
Poggiai una mano sul tavolo e mi concentrai a guardare il menù, non conoscevo più della metà delle offerte del ristorante.
Sentii sfiorarmi la mano e, quando la guardai, Ilian aveva allungato la sua fino a toccare la mia; non la ritrassi subito e lui la spostò sulla mia. Provai a toglierla, ma me la inchiodò sul tavolo. «Ilian» farfugliai per farlo smettere.
Non gli avrei permesso di costringermi a fare qualcosa che non volevo, non di nuovo. Il nostro bacio era ancora vivo nella mia mente; mi faceva innervosire.
Era stato un giorno alla scuola di danza, quando ancora mio padre era vivo e seguivamo i suoi corsi. Ero entrato nello spogliatoio e avevo trovato Ilian mangiare di nascosto un pacco di patatine, appena mi aveva visto aveva nascosto il pacchetto dietro la schiena e aveva deglutivo in fretta.
«Non dirlo a tuo padre e nemmeno al mio» mi aveva detto. Io avevo sorriso e l'avevo rassicurato che non avrei detto niente a nessuno. Lui mi aveva offerto quelle patatine, ricordo che avevano un odore e un sapore orribile, solo a un russo potevano piacere quelle cose.
Poi mi ero seduto sconsolato e triste sulla panchina, ancora stavo male per la mancanza di Mirko e mio padre mi dava il tormento continuamente. Aveva cambiato atteggiamento con me: era ancora più attento a quello che facevo.
«Che hai?» ricordo che mi chiese Ilian, sedendosi accanto a me.
Io avevo alzato le spalle e gli avevo detto di sentirmi un po' triste, allora lui si era avvicinato a me piano, mi aveva sfiorato la guancia e mi aveva costretto a incrociare i suoi occhi di ghiaccio.
Aveva posato le sue labbra su di me prima piano e poi sempre con più passione. Mi aveva preso la testa tra le sue mani e aveva affondato con la sua lingua nella mia bocca, ricordo ancora il sapore di paprica che si fece strada nella mia bocca. Non riuscii a fermalo o forse nemmeno volevo in quel momento. Lui mi fece sbattere la testa contro il muro per tenermi fermo e io mugugnai per il dolore, poi, con un gesto veloce, era riuscito a farmi stendere sulla panca e a salire sopra di me. Cercai di spostare il viso e per un attimo riuscii a staccare le sue labbra dalle mie. «Fermo» affannai. «Ti prego, fermo» gli avevo detto. Lui si era fermato e mi aveva guardato in silenzio e affannando.
«Che hai?» mi chiese in quel momento Ilian, distraendomi dal mio ricordo del nostro bacio.
Tirai la mano da sotto la sua riuscendoci stavolta.
«Mi dà fastidio» gli dissi, ritirando ancora un po' la mano.
Lui annuì, poi mi sorrise. «Hai un compagno, non è così?» mi disse e io sbarrai gli occhi, incredulo. Non avevo detto a nessuno della mia omosessualità e quel giorno l'avevo respinto, non subito, ma l'avevo fatto.
«Tranquillo, il tuo segreto è al sicuro con me» mi disse per tranquillizzarmi, vedendo la mia espressione di paura e sgomento.
«Sì, in realtà sì.»
«Mh, e da quanto state insieme?»
Scossi la testa. Fino a un certo punto ero disposto a dirgli le mie cose intime, eravamo amici, era vero, ma era pur sempre la mia vita privata. «Non mi va di parlarne» gli dissi.
«Capisco... e lui accetta che tu non dica niente ai tuoi fratelli? Sul fatto che sei gay?» disse e io per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva, perché in quel momento era tornato il cameriere per chiederci se avevamo deciso cosa ordinare.
Il cameriere ci scrutò con titubanza e forse anche con un po' di disgusto; Ilian ordinò per entrambi e poi lui sparì dalla nostra vita.
«Smettila» lo ammonii.
«Che c'è?» disse lui e ridacchiò della mia espressione. Mi stavo arrabbiando, mi stava mettendo in imbarazzo in quel posto con la gente con la puzza sotto il naso.
«Devi smetterla di fare così e di dire certe cose.»
«Io non ho nessun problema a parlare di queste cose in pubblico» mi disse.
«Beh, io sì.»
«D'accordo, la smetto. Parlami di lui...»
Non gli avrei parlato di Mirko, assolutamente.
«Parliamo del prestito, piuttosto.»
Ilian si tolse quel sorriso dalle labbra e sbuffò. «Che noia, non mi va di parlare di soldi. Però, se ci tieni... quanto ti serve?»
Quella domanda mi spiazzò, non perché non sapessi quanto mi serviva, anzi, lo sapevo benissimo, ma non ero pronto a dirlo ad alta voce.
«Io...» deglutii, «servirebbero dieci mila euro per estinguere il muto di casa nostra, papà non è riuscito a finire di pagarlo e con quello che guadagniamo alla scuola di danza non riusciamo a ripagarlo. Circa cinque mila euro per delle ristrutturazioni nel bagno dello spogliatoio maschile, sta cadendo un tubo e...»
«Donato,» mi fermò Ilian, «dimmi quanto ti serve e basta.»
«Cinquanta mila euro» dissi.
«D'accordo» disse.
«È un problema?»
Scosse la testa in segno di diniego. «Assolutamente.»
«Te li restituirò, ogni centesimo.»
«Lo so.»
«Grazie» dissi.
«Ma voglio qualcosa in cambio» disse.
Spalancai gli occhi, sorpreso. Come qualcosa in cambio? Non ero pronto a quello.
«Ilian, se devi minacciarmi per...»
«Piano con le parole,» mi ammonì, «non ho intenzione di minacciarti, vorrei solo qualcosa in cambio.»
«Cosa?»
«Ti direi te e il tuo corpo, ma a quanto pare è già impegnato e non mi piace avere le cose degli altri» disse.
Sbiancai ancora a quella proposta e mi accorsi solo quando tossì che il cameriere ci stava servendo del vino.
«Lo stai facendo di proposito?» ringhiai quando il cameriere ci lasciò di nuovo soli, pensavo che ci odiasse a morte.
Ilian sorrise, con lo stesso sorriso che avevo visto fare quella mattina a Mirko, solo che quello di Mirko era sopportabile perché lo amavo, quello di Ilian mi faceva solo innervosire.
«No, affatto, è il cameriere che spunta sempre quando non deve.» Io scossi la testa alzando gli occhi al cielo. «Comunque, dicevo, voglio tenere qualche lezione nella vostra scuola di danza.»
«Tutto qui?» mi sorpresi a chiedere, mi sembrava una proposta più che accettabile. Ilian era un grande ballerino e la sua fama avrebbe portato solo prestigio alla scuola di danza.
«Sì» disse lui.
Annuii, ma poi un pensiero mi balenò per la mente.
«Con che metodo insegni?» gli chiesi.
Io e i miei fratelli avevamo deciso di non insegnare con il metodo di nostro padre, ma Ilian era stato formato con quel metodo e con quello russo.
Ilian bevve un sorso di vino. «Con quello con cui io e te siamo cresciuti» disse semplicemente.
Annuii, lo immaginavo.
«Allora? Affare fatto?» chiese.
Ci riflettei un po' prima di accettare. Quei soldi ci servivano e tutto sommato sarebbe stata una lezione di tanto in tanto, e io di certo non sapevo come quella presa di potere lo facesse sentire, perciò gli strinsi la mano.
«Affare fatto» dissi.
Ah! Inoltre volevo dirvi che ho pubblicato un'altra storia, si chiama Royal Love, andate a dare un'occhiata! :)
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