Capitolo extra: I fratelli Leonardi in lockdown
Ciao tutte! Ebbene sì, ho deciso di regalarvi, prima della fine di quest'anno terribile, un altro capitolo extra. E cosa potevo mai scrivere, se non dei fratelli Leonardi in lockdown? Me li sono immaginati tutti insieme, senza poter uscire o andare alla scuola di danza, e questo è il risultato!
Immaginate però, prima di leggere, che Simone non è ancora sposato, che Mirko non si è proposto a Donato, che Daniele è ancora sotto la tutela di Simone e che... e che il tutto è dal punto di vista di Martina... Non vi dico altro!
Buona lettura!
«Non ho ben capito» esordì Francesco, quando la trasmissione si concluse. Il presidente Conte aveva appena tenuto una conferenza stampa, interrompendo il film che stavamo vedendo, per dare a tutta l'Italia una notizia importante: dal giorno dopo, saremmo stati tutti in lockdown. Ognuno a casa propria, tutti i negozi chiusi, tranne quelli di prima necessità, uscite ridotte al minimo.
Rivolsi uno sguardo a Donato e mi accorsi che tutti noi eravamo col fiato sospeso, in attesa di una sua parola. Francesco era stato l'unico a parlare, ma per me era chiaro che, invece di una spiegazione, volesse una conferma di ciò che ci aspettava.
«Hai sentito ciò che ha detto» disse lui, cercando il telecomando per poi spegnere il televisore. «Da domani non si esce.»
Le parole di Donato furono così dure che la reazione mia e dei miei fratelli fu un inquietante e assordante silenzio. In altre occasioni forse in casa Leonardi si sarebbe scatenato l'inferno, invece in quel momento nessuno osò pronunciare una singola parola, il silenzio rotto solo dal fiato affannato di Andrea, i cui occhi erano lucidi e le cui spalle erano strette da Giovanni, che aveva subito provveduto a calmarlo per non fargli venire un attacco di panico. In casa nostra, Andrea era l'unico a essere claustrofobico ma devo ammettere che, all'idea di non poter uscire di casa per chissà quanto, anch'io iniziai a non sentirmi tanto bene.
La prima cosa che mi venne in mente di fare fu inviare un SMS a David, che trovai ancora sveglio. Era in Russia e sarebbe dovuto venire in Italia la settimana dopo, perciò mi affrettai a chiedergli se potesse venire ugualmente da me. La sua risposta fu "Non credo" il tutto seguito da un'emoticon triste e una che piangeva.
«Andate a letto, che è tardi» ci disse Donato.
«Ma quindi domani niente scuola?» domandò Francesco.
«È l'unica cosa che ti importa, vero?» lo rimbeccò Corrado.
«È l'unica notizia positiva» replicò Francesco, per poi fargli una linguaccia e scappare via prima che Corrado reagisse.
Io restai a fissare la chat con David ancora per un po', poi mi accorsi di un dettaglio che difficilmente avrei dimenticato: Donato stringeva la spalla di Simone e tutti e due bisbigliavano preoccupati.
***
«Giochiamo a... a carte!» esordì Daniele, saltando in piedi per farsi vedere meglio da noi altri che eravamo seduti sul divano.
«Mh...» commentò Andrea in segno di dissenso, mentre noi altri ci limitammo a fissarlo.
«No, okay. Allora giochiamo... Ci sono! A quel giochino alcolico che facemmo quella sera... Com'è che si chiamava?»
«"Non ho mai"» lo aiutò Francesco.
«Esatto, quello!»
«Niente giochini alcolici» si intromise Corrado. «Se poi vi sentite male non possiamo andare in ospedale. Non avete da studiare?»
«No, li abbiamo fatti tutti i compiti e poi che palle!» Daniele si accasciò di nuovo sul divano, sconfitto. Salvo poi, dopo qualche secondo, avere una nuova illuminazione. «Giochiamo a Merda!»
«È comunque un gioco con le carte» gli fece notare Andrea.
Daniele gli riservò un'occhiata di sbieco, per poi dirgli: «Perché non te ne vai a videochiamare ancora la tua fidanzata?»
«Amorino mio, ti amo tanto» lo prese in giro Francesco, imitando la voce di Andrea e facendo ridere tutti gli altri tranne me.
«Amorino mio, mi manchi tanto» proseguì Daniele e poi continuarono a prendere in giro Andrea e a battibeccare su cosa fare per trascorrere il tempo.
Ormai erano passate già due settimane e l'unico che di tanto in tanto usciva era Donato, ma solo per fare la spesa e per comprare l'essenziale. Non sapevo quanto ancora sarebbe andata avanti quella situazione, ma io non ne potevo più. Da giorni mi sentivo in ansia e nervosa, perfino il caos che solo i miei fratelli sapevano creare per me era insopportabile. Odiavo le loro voci sempre troppo alte, il televisore perennemente acceso e che parlava sempre degli stessi argomenti, il fatto di non poter ballare e di non averne neanche tanto la voglia, dato che avrei potuto andare nella saletta privata di casa nostra. Tuttavia sapevo che solo in parte fosse colpa della pandemia e del lockdown.
Mi scoppiava la testa e quando Donato tornò dalla spesa decisi che tutto ciò dovesse finire.
Lo aiutai con le infinite buste della spesa che aveva con sé, prima di dirgli: «Posso uscire? Solo cinque minuti.»
Donato mi guardò stranito, con ancora addosso la mascherina e i guanti di lattice. Tutti nella stanza si zittirono per ascoltarci.
«Non puoi uscire, lo sai. Fosse per me, neanche io uscirei, ma dobbiamo mangiare per sopravvivere.»
«Lo so, lo so, ma solo cinque minuti. Vado a comprare una cosa e torno.»
Donato sbuffò, allargò le braccia e le batté sulle cosce. «Vi avevo chiesto di farmi una lista delle cose che vi servivano e tu ora mi dici che ti serve una cosa? Potevi chiamarmi, no?»
«Non... Sono... Io... Cose da donne...»
Donato sbuffò di nuovo, anche se quella volta fu più un risolino mezzo camuffato dalla mascherina che un vero e proprio sbuffo.
«Sono anni che ti compro gli assorbenti, ormai. So anche come li vuoi!» disse. «Verdi...»
«... con le ali...» continuò Daniele, prima di alzarsi per rovistare tra le buste della spesa.
«... ma quelli sottili o ti danno fastidio» concluse Francesco.
Okay, devo ammettere che quello fu al tempo stesso inquietante e dolce. Il fatto che sapessero che tipo di assorbenti usassi e che molte volte Donato li aveva comprati per me era vero, e forse avevo sbagliato scusa, ma avevo proprio bisogno di uscire.
«D'accordo...» dissi. «Non è questo di cui ho bisogno.»
«E allora cosa?» chiese Donato.
Poi si tolse i guanti e trascinò le buste fino in cucina.
Non sapevo proprio come dirlo, ma Donato era di spalle e gli altri sembravano distratti dalla spesa. Allora sganciai la bomba.
«Forse sono incinta.»
Ecco, l'avevo detto. Adesso dovevo solo aspettare la mia morte.
«Cosa?!» esclamò Corrado, venendomi incontro. D'istinto mi feci indietro, impaurita. «Com'è possibile?»
«Ecco, io...» balbettai, mentre il cuore mi batteva furioso nel petto. «Non ne sono proprio sicura ma... Quindici giorni di ritardo e...»
E avevo letto i sintomi su internet e tutto sembrava corrispondere. Non erano i sintomi del ciclo, quelli a cui ero abituata io, e non mi era mai capitato un ritardo tanto lungo quanto quello.
«Non dici sul serio» provò a sdrammatizzare Daniele.
Non risposi, perché ero serissima. Guardai Donato e lui si era portato una mano alla fronte e se la massaggiava, come a volersi tranquillizzare. Simone, invece, si era messo a scrivere furiosamente un SMS, forse a Beatrice, la sua fidanzata infermiera; e gli altri sembravano solo visibilmente preoccupati.
Se avevo pensato che sfogarmi mi avrebbe aiutato, in quel momento dovetti ricredermi, dato che mi sentivo peggio di prima. Il sudore mi scorreva sulla schiena e sentivo il viso in fiamme.
«D'accordo, calma» disse d'un tratto Giovanni. «Ragioniamo. Tu e David usate il preservativo?» La domanda di Giovanni provocò fastidio tra i miei fratelli, ma lui continuò imperterrito: «Oh, per favore! Se ha questo dubbio di certo non stanno tutto il tempo a fissarsi negli occhi quando si vedono, no? Quindi?»
Arrossii ancora di più. «Sì, sempre.»
«E si è mai rotto o... qualcosa del genere?»
«No, non mi sembra.»
«Allora forse non è niente.»
«Sì, insomma» si rianimò Andrea. «Forse è solo questo periodo... Lo stress...»
Il ragionamento di Andrea era molto intelligente, più di quello che avevo fatto io, eppure i dubbi persistevano e c'era un unico modo per dissiparli.
Ci pensò Donato.
«Vado a comprare un test di gravidanza» disse, prima di rimettersi mascherina e guanti e uscire di casa.
***
Donato aveva comprato il test più semplice da fare, quello più comprensibile da capire e quello più affidabile, eppure io non riuscivo a capire come usarlo, complice le mani che mi tremavano. Lo stick era già caduto due volte sul pavimento del bagno e io temevo di averlo rotto e che non sarebbe servito a nulla, in più, Daniele e Francesco erano fuori la porta e non la smettevano di chiedere a che punto fossi.
«Hai fatto?» chiese di nuovo Daniele.
Sbuffai e lessi di nuovo il foglietto illustrativo, non capendoci nulla. «Smettetela e andatevene!»
«Ma dai, che ci vuole? Basta sputarci sopra, no?» disse Francesco da dietro la porta.
Fu Daniele a rispondergli, spiegandogli come funzionassero i test di gravidanza casalinghi. La reazione disgustata che ebbe Francesco, lo ammetto, mi fece ridere di gusto.
Però, quando posai di nuovo lo sguardo sullo stick, tornai seria e mi concentrai. Riuscii con fatica a seguire le istruzioni, lo chiusi e, ignorando Francesco e Daniele ancora fuori la porta, marciai verso il salone, dove c'erano gli altri, e lo poggiai sul tavolo.
«Tra tre minuti avremo la risposta» mormorai, poi mi andai a sedere sul divano.
Simone fece partire il cronometro, mentre tutti gli altri si sistemarono attorno alla tavola in attesa del responso.
Ero così tesa che non riuscivo a trovare conforto nel comodo divano e, nonostante non facesse freddo, i brividi mi scuotevano l'intero corpo.
«Così, per curiosità» disse a un tratto Francesco, «se fossi incinta e fosse maschio, come lo chiameresti?»
Siccome non mi aspettavo una domanda simile, voltai di scatto il viso verso di lui e sgranai gli occhi. «Cosa?»
«Sì, beh...»
«Non lo chiamerà di certo Francesco...» lo rimbeccò Corrado.
«Perché no? Allora Francesca, se è femmina.»
«Perché Daniela è un brutto nome?» fece notare Daniele.
«No, ma non la chiamerà così» continuò Corrado.
«E perché?»
«Ragazzi» mi lamentai, ottenendo l'attenzione di tutti. «Basta, per favore.»
Francesco e Daniele fecero sparire il sorriso dai loro volti e Francesco precisò: «Era solo per sdrammatizzare.»
Lo sapevo. Di certo non potevano essere seri a parlare di possibili nomi da mettere a un possibile figlio o figlia, ma ero così nervosa che non ero in vena di scherzare. Se il test fosse uscito positivo, cosa avrei fatto? Non ero maggiorenne, ancora studiavo, non avevo il diploma di danza. Ero una ragazzina. Non avrei saputo crescere un bambino.
La sveglia del cellulare di Simone mi fece sobbalzare. Il tempo era trascorso. I tre minuti erano finiti e ora avrei saputo la verità.
«Chi lo legge?» domandò Simone.
Corrado afferrò lo stick prima che gli altri potessero rispondere. L'espressione che assunse nel leggere il responso non era per niente rassicurante. Aveva la fronte aggrottata e un sopracciglio arcuato.
«Sei incinta» disse.
Mi crollò il mondo addosso. «Cosa?» scattai, alzandomi, ma subito avvertii le gambe cedermi. «Sul serio?»
«No» fece lui, «non sei incinta, ma che ti serva da lezione. Ci hai fatto morire di paura, stavi per morire di paura tu, la prossima volta starai più attenta.» Corrado lasciò che anche gli altri guardassero lo stick e un sospiro unanime di sollievo si diffuse nella stanza.
Anche io ero sollevata e subito cercai con lo sguardo Donato, il quale aveva un mezzo sorriso stampato sul volto.
«Mi devi quattordici euro e novanta, e credo nessuno potrà ripagarmi della figura fatta col farmacista» disse, ironico.
La sua battuta fece ridere gli altri e anche me; finalmente mi rilassai.
***
Quella notte fui costretta a svegliarmi a causa di dolori lancinanti alla pancia. Con mia sorpresa, quando andai in bagno scoprii che mi erano appena arrivate le mestruazioni. Fu la prima volta in vita mia che mi sentii davvero contenta che fossero arrivate. Tuttavia il dolore era davvero forte, così andai in cucina per prepararmi una borsa d'acqua calda e per cercare degli antidolorifici.
Erano le tre del mattino e quando varcai la soglia della cucina, ci trovai Donato. Era sul divano e faceva zapping. Donato era stanco ed era chiaro da molti dettagli, soprattutto da quelli fisici: le occhiaie violacee, il viso sempre più magro, i capelli sempre più ingestibili. Come al solito, anche in una situazione come quella che stavamo vivendo, lui si teneva tutto dentro e pensava solo al nostro bene, trascurandosi.
In silenzio mi andai a sedere accanto a lui, gli tolsi il telecomando da mano e spensi il televisore. «Mi è venuto il ciclo» gli dissi.
Lui mi guardò appena. «Doveva accadere, prima o poi.»
«Mi dispiace avervi spaventati, ma davvero pensavo che fosse possibile. Ho avuto paura anch'io.»
Donato si voltò per guardarmi meglio. «Sai qual è stata la prima cosa che ho pensato? Che se fossi rimasta incinta non avrei potuto portarti a fare controlli senza la paura di questo virus... che avrei dovuto fare economia per i soldi che ci sarebbero voluti per aiutarti, che non avrei saputo come aiutarti senza rivolgermi a qualcuno di competente, perché io certe cose non le so bene, non so come funziona...»
Come al solito, avresti pensato a proteggermi.
«Sarebbe stata una cosa nuova anche per me, ma avrei imparato anch'io. L'unica cosa che sapevo e che so è che avrei avuto il vostro sostegno.»
«Quello sempre.»
«Anche se mi aspettavo che avreste ammazzato David o qualcosa di simile...»
Donato rise. «Sì, in effetti ci ho pensato. Buon per lui che è così lontano.»
«Già... Senti, ho proprio bisogno di qualcosa per i dolori, in casa c'è del Buscopan?»
Donato ci rifletté per un attimo. «Non so, non credo. Ma, siccome vogliono sempre uscire, quasi quasi sveglio Francesco e Daniele e li mando in farmacia.»
Ridemmo ancora e poi mi accoccolai addosso a Donato. Lui fece qualche rimostranza, perché non voleva che lo abbracciassi e che gli stessi troppo vicina, dato che quel giorno era uscito e non era sicuro di non avere il virus, ma avevo bisogno di stare pelle contro pelle con mio fratello, almeno per cinque minuti.
Eccoci! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia rallegrato almeno un po'.
A presto,
Mary <3
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top