Big brother is watching you!


Dieci anni prima...

David era nascosto nell'armadio nella stanza di suo fratello Ilian. Si era rannicchiato nel suo grande armadio, tra i vestiti, per fuggire da suo padre. Ne aveva combinate un'altra delle sue e il padre gli aveva promesso che gliel'avrebbe fatta pagare non appena avesse messo le mani su di lui. E David sperava con tutto il suo cuore che non ci sarebbe riuscito.

«David?» chiese qualcuno entrando nella stanza dentro la quale David era nascosto. «David?» chiesero ancora, ma lui non rispose. Trattenne il fiato e cercò di non emettere alcun suono.

D'improvviso qualcuno spalancò l'anta dell'armadio dentro il quale era nascosto, rivelando il suo nascondiglio.

«David?» chiese ancora suo fratello. «Che ci fai qui? Papà ti sta cercando.»

David si allarmò per quello che gli aveva detto il fratello. «Non gli dire che sono qui, ti prego» farfugliò.

Ilian guardò suo fratello interrogativo. David sembrava molto spaventato, aveva gli occhi sgranati e tremava.

«Papà!» urlò Ilian d'improvviso.

David si avvicinò al fratello e si attaccò alla sua maglia. «No, ti prego, no!» esclamò.

«Papà!» urlò ancora Ilian, ma stavolta guardando il fratello negli occhi. David gli tirò ancora la maglia e continuò a pregarlo di non chiamare suo padre. «David non è qui!» disse e David si rilassò.

Lasciò andare la maglia del fratello, tirò un respiro di sollievo e ritornò nella sua posizione.

«Non mi pregare» disse Ilian al fratello. «Non pregare, non supplicare, non piangere, non ti mostrare indifeso, vulnerabile, mai. Davanti a nessuno.»

David tirò sul col naso e deglutì. «Come si fa?» chiese. «Come si fa a non piangere se fa male?»

Ilian si guardò intorno, poi si mosse e andò a sedersi accanto al fratello, nell'armadio.

«Sopporti» gli disse. «Chiudi gli occhi e sopporti, ma non piangere. Più trattieni le lacrime e più diventi forte.»

«Davvero?» chiese David con un tono di leggera speranza nella voce.

«Sì, davvero» disse Ilian annuendo.

David restò in silenzio a riflettere, poi si alzò dalla sua posizione e uscì dall'armadio, ma Ilian lo trattenne.

«Dove vai?» gli chiese.

«Da papà» disse David con nonchalance, evidentemente il suo discorso gli aveva dato la forza per affrontare il padre, ma Ilian sapeva bene che David, un bambino di appena sette anni, non avrebbe potuto fare niente contro un uomo come suo padre.

«Net!» urlò Ilian. «Net! David, podozhdite!» urlò ancora nel tentavo di fermare il fratello.

Anche Ilian si mosse dalla sua posizione e uscì dall'armadio, ma prima che David potesse aprire la porta della stanza del fratello fu Alexander a spalancarla.

«Ah, sei qui» disse al figlio.

Ilian corse fino ad arrivare al fratello, lo prese per un braccio e lo tirò dietro di sé, nascondendolo dietro la sua schiena.

Alexander guardò il suo figlio maggiore interrogativo. «Che fai?» gli chiese, «Lo difendi? Mi avevi detto che non era qui...»

David si aggrappò alla schiena del fratello, aveva già perso tutto il coraggio, ma trovò comunque la forza per far uscire la sua testolina dal nascondiglio per vedere l'espressione arrabbiata del padre.

«Esci da lì, David» gli disse il padre. «Se lo fai di tua spontanea volontà sarò più clemente.»

David era pronto a uscire, ma Ilian lo nascose di nuovo dietro la sua schiena.

«Oh, Ilian,» gli disse il padre avanzando verso di loro, «hai deciso proprio oggi di fare il fratello maggiore?»

Ilian non abbassò la testa, deglutì. Il padre lo prese per il colletto della maglia e lo tirò a sé. «Ti insegno io a impicciarti negli affari che non ti competono» gli disse. 

***

Un fratello maggiore, pensavo, un fratello maggiore dovrebbe proteggerti, farti sentire protetto, difenderti dalle persone che possono farti soffrire, insegnarti ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Un fratello maggiore, pensavo, non dovrebbe mai comportarsi come Ilian si era comportato nei confronti di David.

Mai, o almeno era questo quello che mi aveva raccontato David, Ilian si era comportato da fratello maggiore con lui, come Donato si comportava con noi.

E quel giorno, al supermercato, ero sempre più convinta di quel che pensavo.

Eravamo io, Donato, Daniele e Francesco a fare la spesa. Da bravo fratello maggiore, Donato aveva saputo che Daniele e Francesco sarebbero rimasti a casa da soli e si era preoccupato di portarli con noi.

Io spingevo il carrello, mentre i miei fratelli giravano per gli scaffali del supermercato. Davanti a me Francesco camminava lentamente, era strano quel giorno, come se fosse confuso, stranito, parlava poco e sapevo che non solo io avevo notato quel cambiamento in lui, ma anche Donato e quando Francesco andò a sbattere contro una pila di colombe avanzate da Pasqua non riuscì a trattenersi.

«Francesco, tutto bene?» gli chiese.

Francesco annuì abbassando la testa. «Sì, sì, tutto bene, ero distratto» rispose.

«Sicuro?» chiese Donato scrutandolo bene.

«Sì. Sicuro.»

Donato lo guardò ancora e Francesco cercò di non guardarlo negli occhi, ma Donato lo costrinse a farlo. «Guardami un attimo, Francè...» gli disse minacciosamente.

Francesco ridacchiò. «Pe-perché?» chiese. «Che vuoi vedere?»

«Tu guardami e basta» gli disse.

Francesco alzò lo sguardo su di lui e Donato si avvicinò meglio per constatare la sua tesi.

«Non hai le lentine» affermò. «E nemmeno gli occhiali.»

Francesco deglutì. «Lo-lo so, gli occhiali sono dall'ottico ad aggiustare e Corrado ha dimenticato di comprarmi le lentine, ma va bene, ci vedo.»

«No, tu non ci vedi, e ti fa male stare senza occhiali o lentine, lo sai.»

«Mi fa solo un po' male la testa...» confessò Francesco pentendosene subito, soprattutto perché l'espressione di Donato mutò, facendosi incazzata.

«Da quanto tempo non le porti?»

«Tre, forse quattro... giorni.»

Donato butto fuori l'aria dal naso per calmarsi. «Dopo le andiamo a comprare» disse.

«Ma non serve, Corrado ha detto che...»

«Le andiamo a comprare» ripeté Donato e il suo tono non ammetteva obiezioni.

Finimmo di fare la spesa e dopo Donato trascinò Francesco a comprare le lentine, gliele fece mettere nella farmacia e poi continuammo il nostro shopping.

Eravamo andati in un centro commerciale e io avevo voglia di andare in libreria. Mi piaceva leggere, ma non era per comprare un libro che volevo andarci.

Strinsi la lettera di Ilian che avevo in tasca mentre mi aggiravo tra i libri. Camminai lentamente guardandomi attorno, volevo andare nel reparto in cui ci sono i libri dedicati ai viaggi e alle culture straniere; speravo, infatti, di trovare un vocabolario o qualcosa che mi aiutasse a tradurre quella lettera.

David mi aveva dato un compito arduo e non potevo chiedere aiuto a lui: i suoi genitori ci stavano mettendo i bastoni tra le ruote, gli avevano sequestrato il telefono e ogni mezzo per comunicare con me. L'unico modo per capirci qualcosa era tradurre quella lettera.

Andai in quel reparto solo quando ebbi la certezza che Donato e gli altri miei fratelli non mi stessero seguendo.

Tra i vari libri di viaggi ne trovai uno sulla Russia, lo aprii e tra le prime pagine c'era scritto tutto l'alfabeto cirillico. Estrassi il cellulare dalla tasca e fotografai le poche pagine che mi servivano.

«Uh, il kamasutra!» esclamò Daniele dietro di me.

Sobbalzai, chiusi velocemente il libro e lo posai.

Mi girai per guardare mio fratello con il libro del kamasutra in mano, e lui si girò giusto in tempo per scansarsi e non beccarsi il ceffone di Donato dietro la testa. «Andiamo a casa?» disse ridacchiando Daniele, mentre Donato gli strappava il libro tra le mani e lo posava. «Devo finire i compiti.»

Donato sospirò. «Sì, adesso vi accompagno. Martina, hai finito? Vuoi comprare qualcosa?» mi chiese.

«Sì, ho finito. Possiamo andare» dissi.

Avevo tutto quello che mi serviva, o almeno lo speravo.

***

Io e Donato accompagnammo Francesco e Daniele a casa e poi decidemmo di restare a cenare da loro, visto che Mirko aveva una cena di lavoro.

Stavo apparecchiando la tavola e Corrado stava cucinando, quando Donato esordì con l'intenzione di far arrabbiare Corrado.

«Ho comprato le lentine a Francesco» disse.

Corrado non rispose subito, prese un pizzico di sale e lo gettò nel pesce che stava cucinando all'acqua pazza. «Ah, sì?» rispose a Donato.

Mi allungai per prendere i piatti osservando la reazione di Donato, prima di rispondere a Corrado venne verso di me e prese i piatti dalla credenza, visto che ci arrivavo con difficoltà. Me li porse e io continuai ad apparecchiare.

«"Ah, sì"?» ripeté Donato, scioccato. «È tutto quello che hai da dire?»

Corrado a quel punto alzò la testa su di lui e lo guardò interrogativo. «Oh, giusto, quanto ti devo dare?» chiese.

«Non mi devi dare niente!» scattò Donato. «Voglio solo sapere perché non le hai comprate prima, cosa hai avuto da fare di così importante da lasciarlo senza occhiali e senza lentine?»

Donato teneva particolarmente alla vista di Francesco, sapeva che nostro fratello tendeva troppo spesso a ignorare il suo problema, e Donato aveva paura che andasse ad aggravarsi sempre di più. E, in generale, Donato prendeva sempre a cuore qualsiasi problema ci riguardasse.

«Andiamo, che cosa vuoi che ti dica? Vuoi un applauso perché sei un fratello maggiore migliore di me? Gli hai comprato le lentine, bravo, l'avrei fatto a breve io o poteva comprarsele da solo, ha pur sempre diciannove anni...»

«A breve? Corrado, sono giorni che Francesco va in giro senza lentine o gli occhiali.»

«Cosa?» scattò Corrado girandosi di spalle alla cucina. «Non è vero, me l'ha detto ieri di aver bisogno delle lentine ed era domenica, oggi ho avuto da fare e non sono riuscito a fermarmi in farmacia.»

«Lui mi ha detto che sono tre o addirittura quattro giorni che non li ha» puntualizzò Donato. In effetti era così, era quello che aveva detto Francesco.

Corrado sbuffò, rabbioso. «Francesco!» urlò per chiamare Francesco e farlo venire nella stanza dove eravamo noi. «Francesco!»

Francesco si presentò dopo poco in cucina, entrando correndo; si guardò intorno, stranito. «Che c'è?» chiese.

«Di' a Donato quando mi hai detto di aver bisogno delle lentine» gli disse Corrado. Io, nel frattempo, avevo finito di apparecchiare e li osservavo in silenzio.

Francesco deglutì, guardò Donato, poi Corrado. «Ma dai!» ridacchiò. «Ancora con questa storia? È tutto risolto, ora.»

Corrado sospirò, spazientito. «Dillo» ringhiò.

Francesco abbassò lo sguardo sui suoi piedi. «Ieri» farfugliò.

«Cosa?» chiese Donato che non aveva sentito bene o forse per esserne ancora più sicuro.

«Ieri, gliel'ho detto ieri» specificò dando ancora una volta ragione a Corrado.

«Ma mi hai detto di non averle da più tempo!»

«Lo so ed è vero, ma gliel'ho detto solo ieri.»

«Perché?»

Francesco scrollò le spalle e non rispose.

Donato sospirò. «Va bene, avevi ragione, ma...» disse rivolgendosi a Corrado.

«Ma un cazzo, Donato! Voglio delle scuse, adesso» disse facendo sobbalzare tutti nella stanza. «Sei venuto qui tutto spavaldo dicendo di aver comprato le lentine a Francesco e insinuando che io non avevo svolto i miei doveri, quando qui sono l'unico che si fa il culo. Non solo devo preoccuparmi di Francesco, ma anche di Daniele, visto che Simone è come se non ci fosse in casa e Giovanni è praticamente inutile; mentre tu, senza offesa, ma hai solo Martina a cui pensare.» Corrado si fermò, ma solo un attimo per riprendere fiato. «E non penso che ti dia grandi problemi, visto che va bene a scuola e tutto sommato è una ragazza tranquilla; io, invece, ho a che fare con uno che è più ciuccio di un mulo, e un altro che non fa altro che sforare il coprifuoco.»

«Che?»

«E, in più, tu hai la tua vita, il tuo fidanzato, la tua casa, mentre io sono ancora qui senza uno straccio di vita sentimentale e a dovermi occupare ancora dei miei fratelli minori. Perciò» disse Corrado avvicinandosi al volto di Donato puntandogli l'indice contro, «non ti azzardare mai più a dirmi come devo prendermi cura di Francesco, ti è chiaro?»

Donato deglutì, poi abbassò lo sguardo. «Scusa» sussurrò. «Hai ragione. Scusa. Sono stato un po' assente ultimamente e non so più bene come vanno le cose qui. Mi sono solo preoccupato per mio fratello, come ho sempre fatto.»

«Te ne sono grato, ma non c'è bisogno. Ho tutto sotto controllo.»

«Va bene» disse Donato e la discussione finì lì.

Guardai Francesco mentre il silenzio regnava in cucina e realizzai che evidentemente la pensava come me: era stato un brutto sfogo quello che aveva avuto Corrado, ma era la verità. Più di una volta c'eravamo sentiti un peso per i nostri fratelli maggiori e probabilmente anche loro a volte lo avevano pensato, ma la nostra vita era andata così e loro avevano dovuto sacrificare molto per noi.

Però, io ero sempre della mia opinione, e sapevo, anche se Corrado sembrava aver detto il contrario, che tutti loro sentivano di avere una grande responsabilità e, anche se non erano stati pronti per questo, si erano rimboccati le maniche e l'avevano fatto: si erano presi cura di noi.

***

Con in mano la lettera di Ilian, pensavo a come sarebbe stata diversa la vita di David se lui si fosse comportato come i miei fratelli, se avesse preso più a cuore suo fratello minore, invece di andargli più volte contro.

Ero in camera mia ed era notte fonda. Avevo fatto i compiti tornata a casa e mi ero alzata di nascosto dal letto per tentare di tradurre quella lettera, volevo farlo di notte, così che non sarei stata interrotta.

Aiutandomi con l'alfabeto che avevo fotografato, riuscii in qualche modo a trascrivere la lettera di Ilian sul computer. Non sapevo se avrebbe avuto un senso, ma non potevo non provare.

Aprii Google Translate e scrissi quello che ero riuscita a carpire da quella lettera. Aspettai pazientemente che mi fornisse una traduzione e poi lessi, sperando di esserci riuscita: «Io, Ilian Alexander Sakiridov, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, dichiaro di voler porre fine alla mia vita.»

Respirai profondamente. David aveva ragione: era dura da leggere, ma dovevo farlo, dovevo capire.

«Lascio tutti i miei averi a... Cazzo!»

Non potevo credere a quello che stavano leggendo i miei occhi. «A mio fratello?!» chiesi a me stessa avvicinando il volto al computer.

Scossi la testa, non era possibile.

«A mio fratello» ripetei la frase lentamente, «David Nikolai Sakiridov.»

Cazzo.

Ilian si era premunito anche di specificare chi fosse suo fratello! Non potevo credere ai miei occhi. Sul serio? Sul serio Ilian aveva lasciato tutto a David?

Respirai a fondo, dovevo continuare. «A eccezione della mia automobile, che lascio a mio padre, Alexander Sakiridov, ma solo perché David è ancora minorenne e non ha la patente.» Risi quando lessi l'ultima frase.

Scossi la testa. Oh, Ilian! Che affronto a tuo padre!

«Lascio a mia madre, Katerina Ivanova, la somma di cinquantamila rubli, ma a patto che li usi solo per se stessa, mi assicurerò che sia così.»

Sorrisi ancora.

La lettera continuava e, come mi aveva detto David, c'erano delle cose riguardanti anche il suo suicidio, ma fu la parte finale che mi lasciò basita e capii che era quello che David voleva che io leggessi.

«Inoltre, voglio che i fratelli Leonardi aiutino mio fratello David nella gestione del mio patrimonio finanziario. Loro e nessun altro.»

Cazzo!

Mi passai entrambe le mani tra i capelli e cercai di elaborare quello che avevo letto e dovetti ricredermi: per una volta, o forse per l'ultima, Ilian si era preso cura di suo fratello, ma il vero problema era che c'eravamo di mezzo anche noi e questo, ad Alexander, non sarebbe piaciuto affatto.


Eccomi... sono stremata! Non credo di aver mai scritto un capitolo così lungo, per cui, fate le brave! 

Come al solito spero che il capitolo vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate, al prossimo giovedì!

Mary <3 

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