Una nuova lettera per Babbo Natale
Il locale dove mi aveva portato Luca era un agglomerato di corpi, nuvole di fumo e luci psichedeliche. Mi ero subito sentito soffocare e non riuscivo a tenere completamente gli occhi aperti, a causa del fumo che subito mi aveva colpito il viso, senza che potessi aspettarmelo.
Cozzai per sbaglio un gruppo di ragazzi che stavano ballando in cerchio e subito mi scusai, mentre Luca alle mie spalle rideva di me. Ero sul punto di girarmi per chiedere cosa ci fosse di divertente, visto che invece a me quella confusione faceva solo innervosire, ma alzando il viso vidi un ragazzo, con mutande di pelle e un collare di borchie, ballare su un cubo. Rimasi ipnotizzato da quella visione.
Qualcosa dentro di me si agitò e provai una strana sensazione, come un misto tra senso di colpa e voglia di avvicinarmi a lui. Una parte di me spingeva affinché i miei occhi non smettessero di guardarlo e l'altra mi diceva di smetterla e di star facendo una cosa sbagliata. Cosa, però, non lo sapevo, sentivo solo che fosse così.
«È bello, vero?» mi urlò all'orecchio Luca, mentre ancora fissavo il cubista. I suoi movimenti erano sinuosi e delicati, nonostante il corpo muscoloso e tarchiato. Era incredibile come nessuno attorno a lui si soffermasse a rimirarlo.
Luca mi diede una pacca sulla spalla, così mi girai verso di lui e mi feci condurre al bancone del bar. Lì, a servire ai clienti, c'era un ragazzo con una lunga treccia colorata di rosa, o almeno a me parve rosa, sotto le luci forti del locale.
«Cosa vi servo?» ci chiese.
«Fai tu» sussurrai a Luca, prima di sedermi sullo sgabello. Mi voltai a guardare la situazione attorno a noi.
La cosa che mi colpì più di tutte quel giorno fu che nessuno sembrava importarsi di ciò che li circondava, come se fossero tranquillamente a casa loro. Due ragazzi, per esempio, erano seduti su un divanetto posto all'angolo alla mia destra e si baciavano alla francese, toccandosi in punti anche piuttosto espliciti. Nemmeno da soli e con la sicurezza di non essere visti avevo mai baciato Mirko con tanta foga.
Sulla pista da ballo, invece, c'erano diverse situazioni. Un ragazzo ballava da solo, indisturbato e libero. Sì, libero, perché pareva che nulla potesse intralciarlo. Teneva le braccia alzate e fissava il soffitto, gli occhi chiusi e l'espressione sognante. Accanto a lui, tre ragazzi si tenevano per mano e in alternanza si baciavano. Non mi era chiaro in che rapporto fossero, ma non riuscii a indagare, perché Luca reclamò di nuovo la mia attenzione.
«Allora?» chiese. Mi si avvicinò e mi scoccò un bacio sulle labbra. «Come ti sembra?»
«Bello» ammisi. Non aggiunsi altro e non gli confessai che c'erano cose che mi turbavano, come quell'alone di indifferenza che si aggirava nell'aria. Avrebbe dovuto tranquillizzarmi, proprio a me che ero sempre sul chi va là, tuttavia mi faceva solo agitare di più.
Chi sarebbe entrato in un posto del genere? Di sicuro non qualcuno di mia conoscenza. E allora perché ero così in ansia?
«Ti ho preso qualcosa di forte, così ti rilassi un po'» continuò Luca, passandomi un cocktail con sopra uno spicchio d'arancia e un fiore blu.
«Non è che vuoi farmi ubriacare?» scherzai.
«Ti ho già portato a letto, non mi serve.»
Risi per celare l'imbarazzo e, per lo stesso motivo, iniziai a bere molto lentamente il cocktail. Non era come me l'aspettavo, per niente forte come aveva preannunciato Luca.
Tuttavia, mi aiutò a rilassarmi almeno un po' e la serata proseguì abbastanza tranquilla. Io e Luca parlammo a lungo e di diversi argomenti, anche se il locale non era proprio il luogo adatto per fare conversazione. Luca provò a convincermi a ballare con lui, ma fui irremovibile.
«Ma scusa» fece, «tu non insegni danza?»
«Sì, ma io di solito non ballo molto, mi limito a far vedere i passi...»
«Dai, sarai bravissimo e poi non farmi iniziare a pregare, perché potresti pentirti di non avermi detto subito di sì.» Si protese su di me, gli occhi gli scintillarono e le guance erano rosse dall'alcol e dal caldo.
«D'accordo» mi arresi. «Ma solo per poco.» E per chiarire il concetto, gli mostrai il pochissimo spazio che c'era tra il mio pollice e l'indice della mano destra.
Luca mi fece l'occhiolino e poi mi prese per il polso, trascinandomi al centro della pista, tra altri mille corpi ora tutti appiccicati al mio. Il mio accompagnatore fece in modo di tenere incollati i fianchi ai miei, per tutto il tempo che ballammo insieme. Avevo già toccato il corpo di Luca e lui il mio, ma provai comunque fremiti nuovi, inaspettati. Lui appoggiò la fronte alla mia e potei sentire le goccioline di sudore scendergli fino a fondersi con il mio, di sudore. In quel momento forse capii l'estasi e il senso di libertà che stava vivendo poco prima il ragazzo che ballava da solo. Niente mi importava, niente avrebbe potuto farmi vacillare.
«Ehi.» Una voce accanto a me mi fece sobbalzare.
Aprii gli occhi e focalizzai l'immagine di un ragazzo con sulle guance dei glitter argentei. Mi resi conto che era a pochi centimetri dal mio viso e d'istinto mi scansai. Accanto a lui c'era un uomo col pizzetto e i capelli tagliati corti, quasi rasati.
«Scambio di coppie?» parlò di nuovo il ragazzo coi glitter.
Luca, alle sue spalle, scoppiò a ridere, mentre io ero confuso, non credevo di aver capito cosa intendesse.
«Che ne dici, Donato, facciamo uno scambio?» disse Luca.
«C... Come?» balbettai.
«E dai» fece il ragazzo, prima di mettermi una mano sul fianco. «Io e te e il tuo amico e il mio uomo.»
Con rabbia, gli feci togliere le mani di dosso. «Che cosa vi salta in mente? Io non sono così» sbottai.
«Così come?»
Incrociai lo sguardo di Luca e il suo sorrisetto divertito mi fece alterare ancora di più. Così, senza dare spiegazioni, voltai le spalle e me ne andai.
Uscito dal locale, il freddo di dicembre mi colpì in pieno petto. Inspirai forte e poi respirai, cacciando l'aria dalle narici.
Quei due mi avevano davvero fatto uscire dai gangheri e ancora di più il fatto che Luca li avesse assecondati. Davvero avrebbe acconsentito a una cosa del genere?
«Donato!»
Proprio lui mi venne incontro, affannato.
«Che ti è preso?»
«Che mi è preso?» urlai. «Lo sapevo che non dovevo venire. Cosa pensi che sono quel tipo di persona che fa certe cose con il primo che capita? È proprio vero che fate sesso con chiunque.»
Dall'espressione di Luca, capii che avrei dovuto mordermi la lingua. Purtroppo lo capii troppo tardi.
«Quelli erano miei amici e stavano scherzando. Sono fidanzati da cinque anni e non fanno scambi con nessuno, te lo posso assicurare. Volevano solo prenderti un po' in giro perché ti hanno visto con me. Te li avrei presentati, ma non mi hai dato nemmeno il tempo.»
Preso alla sprovvista da quella spiegazione, avvampai per l'imbarazzo. «Non... Io...»
«Lascia stare, Donato. È meglio se non ti mischi con la gente come noi, con quelli che fanno sesso con tutti.»
Detto ciò, Luca mi diede le spalle. Provai a fermarlo, prendendolo per un braccio, ma si divincolò e ritornò nel locale, lasciandomi lì fuori, da solo.
Respirai a fondo, prima di cominciare a incamminarmi per tornare a piedi a casa. Al locale c'eravamo arrivati con la macchina di Luca, ma per fortuna ricordavo la strada. Nonostante non fosse vicino, decisi di non prendere mezzi di trasporto: avevo proprio bisogno d'aria e di pensare. Quello che era successo con Luca, sommato al fatto che ora mi trovavo da solo a girare per la città, fu come aver ricevuto una secchiata d'acqua ghiacciata. Che stavo facendo? Ero davvero andato a divertirmi in un locale gay, quando a casa avevo mille cose da sistemare? Che cosa cercavo così disperatamente in me stesso?
Sapevo da anni di essere gay, non avevo certo bisogno di aprire ulteriormente gli occhi sulla mia sessualità. Inoltre, mi stava bene così, non avevo intenzione di fare passi avanti.
Attraversai la strada e dall'altro lato mi fermai a osservare la vetrina di un negozio di giocattoli. Mancano pochissimi giorni a Natale e non avevo ancora letto le lettere che i miei fratelli avevano scritto a Babbo Natale. La verità era che non ne avevo il coraggio. La paura di scoprire che cosa avessero chiesto era davvero tanta.
Sospirai e continuai la camminata verso casa; faceva freddo, così mi portai le mani sulle braccia per riscaldarmi: sotto consiglio di Luca, con me non avevo portato nulla, né giacca né altro. Nel locale faceva caldo, era vero, ma lui mi aveva suggerito di non coprirmi affatto, dato che sarebbe stato solo un peso. Ora, però, ne sentivo la mancanza e anche tanta.
Sbuffai, mentre acceleravo il passo, perché ormai mancavano pochi metri a casa mia. Arrivato fuori al palazzo, dove al terzo piano c'era casa nostra, mi fermai. Non lo so che mi prese, ma quasi fui tentato dall'andarmene e non salire. Mi serviva una pausa da tutto, dai problemi, però non sarei mai stato quel tipo di persona, quello che scappa e lascia tutto senza voltarsi indietro. Eppure, qualche anno prima, Mirko me l'aveva proposto. Quando mio padre era ancora vivo e noi potevamo vederci sporadicamente nei momenti in cui abbassava la guardia, Mirko mi aveva proposto di scappare. Aveva anche già tutto il suo piano. Avremmo preso il treno, saremmo andati dai suoi cugini a Roma, poi, una volta arrivati lì, avremmo cercato un lavoro per fare un po' di soldi per spostarci ancora. Il suo obiettivo era di arrivare a vivere a Londra, era il suo sogno. Non gli avevo mai chiesto perché, però. Io, di sogni, non ne avevo mai avuti, almeno non così grossi come i suoi. A me bastava solo sopravvivere e forse era proprio questo che ci aveva allontanati.
Mi decisi e finalmente salii in casa. Tutti dormivano, quando rientrai. Non era troppo tardi, ma dovevano essere sfiniti, soprattutto i più grandi.
Senza pensarci due volte, andai spedito alla rubrica del telefono e cercai quel numero che sapevo di avere e che proprio mi serviva. Sarebbe stata una chiamata che mi sarebbe costata qualcosa in più sulla bolletta telefonica, ma era necessaria. Perciò deglutii un groppo amaro e composi il numero.
«Da?» risposero.
«Ilian?»
«Kto eto?»
«Ilian, sono io, Donato.»
Lui mormorò qualcosa in russo e mi sentii perplesso, senza sapere cosa provare. Se imbarazzo o preoccupazione. Forse l'avevo svegliato, nemmeno sapevo quale fosse il fuso orario tra Russia e Italia.
«Puoi parlare?» mi sforzai di dirgli.
«Aspetta.»
Avvertii dei fruscii e poi un rumore tonfo, come qualcosa che cadeva o forse una porta che si chiudeva.
«Dimmi.»
«Quando torni in Italia?»
«Non lo so proprio. Forse dopo Natale.»
«Ah.» Mi grattai la fronte, socchiudendo gli occhi per la sofferenza. Ci sarebbe voluto troppo tempo e non potevo aspettare. «Ascolta, allora non...»
«Qual è il problema, Donato?» mi interruppe lui.
Deglutii e respirai a fondo. «Mi servono soldi. Tu avevi detto che, se mi fossero serviti, avresti potuto darmeli e io...» Mi fermai, respirai ancora. «Puoi?»
«Certo, Donato, nessun problema.»
«È solo che non so se posso aspettare fino a dopo le vacanze di Natale...»
«Ho capito.» Sospirò e sentii chiaro e tondo il suo respiro nell'orecchio. «Facciamo così. Vedo di organizzarmi e ci vediamo al più presto, okay?»
«Va bene, grazie, grazie mille davvero.»
«Non c'è problema.»
«Ti prego di scusarmi per quella volta, per l'ultima volta che ci siamo visti... Non avrei dovuto.»
«Ne parliamo da vicino» mi liquidò. Nonostante le parole, non mi parve che ci fosse passato sopra a quella storia, ma evitai di farmi condizionare e soprattutto di concentrarmi troppo su quel dettaglio. L'importante, in quel momento, era riuscire a risolvere i miei problemi finanziari.
«D'accordo. Mi fai sapere tu?» gli dissi.
«Certo. Ci sentiamo.»
«Ciao, Ilian» lo salutai.
«Ciao» e riagganciò.
Posai il telefono e poi mi diressi verso la mia camera da letto, magari passando prima per quelle degli altri per controllare che tutto fosse a posto.
Un dettaglio, però, mi bloccò. Sotto l'albero di Natale, addobbato da qualche giorno, c'era una lettera nuova per Babbo Natale.
Pensai che i bambini ne avessero aggiunta un'altra, invece, quando la presi tra le mani, mi resi conto che l'aveva scritta Giovanni.
Buon giovedì, ragazze! Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ho una cosa importante da chiedervi. Sapete, avendo letto "Io e i miei fratelli maggiori", del prestito che fa Ilian e, in un capitolo extra, ho raccontato come sono andate le cose. Ora, vi chiedo: volete rivederlo in questo libro (magari non proprio uguale), o lascio perdere e vado avanti?
Fatemi sapere.
A presto,
Mary <3
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