Ti odio

«Sembrano diamanti» mi disse Ilian.

«Cosa?»

«Le stelle.»

Scoppiai a ridere, frastornato dall'alcool e dalla brezza fresca che mi colpiva in pieno viso. Io e Ilian eravamo sdraiati a pancia all'aria sulla prua dello yacht del suo coreografo e ci eravamo persi a fissare il manto di stelle sopra le nostre teste. Dire che ero ubriaco sarebbe stato usare un eufemismo.

«Che frase banale e scontata» lo rimbeccai.

«Perché?» Ilian voltò il capo verso il mio e le sue sopracciglia si arcuarono in un'espressione perplessa che mi fece ridere ancora più forte. «Smettila di ridere di me!» mi rimproverò, dandomi una spallata.

«Scusa» feci, mentre riprendevo fiato. Ridere tanto e da steso mi stava per far togliere il respiro. «Ma, sai, è una frase molto, ma molto sciocca. Sembra quasi uno scarso tentativo di corteggiamento...»

«E se lo fosse?»

Mi girai a guardarlo negli occhi. «Cosa?»

«Se fosse un tentativo di corteggiarti, anche se "scarso"?» chiese, prima di posizionarsi lateralmente e di poggiare una tempia sul pugno chiuso.

«Sei serio?» risi e sperai che non lo fosse. Stavamo scherzando e bevendo insieme in un modo nuovo e mi piaceva l'Ilian ubriaco e disinibito; ma non pensavo che potesse spingersi a corteggiarmi.

«Un po'» affermò, mentre, piano, si faceva sempre più vicino a me, al mio volto, alle mie labbra.

Lo fermai giusto in tempo, un attimo prima che potesse baciarmi, ponendogli una mano sul petto. «No, Ilian» gli dissi. «Non so che idea ti sia fatto, ma... no.»

Lui sbuffò e ritornò steso. «No» mormorò, ma sembrava che parlasse più con se stesso che con me. «È sempre no.»

«Che vuoi dire?»

«Niente, riflettevo» mi liquidò.

A quel punto avrei voluto approfondire l'argomento, magari chiedendogli su cosa stesse riflettendo e perché; magari sciogliendo i dubbi che avevo sulla sua sessualità, ma non lo feci. Mi resi conto che fermando il suo bacio l'avevo in qualche modo spinto a riflettere e ciò l'aveva intristito, perciò pensai di riportare il discorso su qualcosa di più divertente.

«Qual è il tuo piatto preferito?»

Non so da dove mi fosse uscita quella domanda, ma il cibo era stata la prima cosa a cui avevo pensato, forse perché avevo solo bevuto senza mangiare e ora avevo una fame da lupi.

«Che?»

«Il tuo piatto preferito. Qual è?»

Ilian bevve ancora un sorso della sua birra e sbuffò. «Non lo so, non ci ho mai pensato. Mangio, ma a volte solo per mangiare.»

«Che tristezza» mormorai, ma gli sorrisi per fargli capire che scherzavo e lui ricambiò. «Se l'avessi chiesto a uno a caso dei miei fratelli ti avrebbe risposto senza pensarci su due volte, pensa che da quando viviamo insieme avrò speso una cosa come cinquemila euro in cibo...»

«Le cose vanno bene, quindi, tra di voi?»

«A volte sì e a volte no. Adesso spero solo di superare il controllo degli assistenti sociali indenne.»

«Ti sei preso una responsabilità troppo grande, secondo me» disse lui, poi si alzò. «Io non l'avrei mai fatto. Considera poi che non ci saranno sempre feste come questa che potranno farti svagare la mente.» Mi fece un occhiolino, prima di andare verso un gruppo di ragazzi e ragazze.

Lo osservai baciare una ragazza con un ardore da far spavento, sembrava che non vedesse l'ora di sfogare la sua eccitazione su qualcuno, eppure non mi era parso tanto voglioso di pomiciare con me. Ci aveva provato, è vero, ma aveva desistito quasi subito. Sta di fatto che non mi prestò più attenzione e rimasi solo per tutto il resto del tempo.

Alla festa ci ero arrivato con la mia auto, sgattaiolando di nascosto senza farmi vedere dai miei fratelli, e quindi potevo andarmene quando volevo senza dar conto a nessuno, ma avevo bevuto molto e temevo di fare una cazzata a mettermi a guidare in quelle condizioni. Se poi mi avesse fermato la polizia sarei stato doppiamente nei guai. Guida in stato di ebrezza avrebbe significato perdere la tutela dei miei fratelli all'istante e avevo sudato tanto per averla.

Respirai a fondo, godendomi ancora un po' la brezza e il dondolio della barca, e poi mi alzai da lì con l'intenzione di trovare un modo per smaltire la sbornia. Non avevo avuto un'adolescenza normale e quindi non mi ero ubriacato molte volte, ma sapevo del caffè e di qualche altro metodo per farla passare.

Tuttavia non trovai nulla che potesse aiutarmi e allora cedetti a un'idea che mi frullava in testa già da un po', ma che non avevo assecondato per orgoglio: telefonare a Mirko.

Era l'una passata di notte e lui doveva stare dormendo, ma rispose dopo pochi squilli, allarmato. «Donato? Che succede?» chiese.

«Sono al molo, a una festa» risposi.

«Sì, e quindi? Non dirmi che sei ubriaco...» La sua voce era roca, ma lui era lucidissimo e sempre pronto a pensare alla cosa giusta da dire.

«Sì, lo so, ho bevuto un po'...»

«Come ci sei arrivato alla festa?»

«Con la mia auto e sono solo...»

Ero sul punto di spiegargli che non me la sentivo di guidare, che sì avevo bevuto ma che ero abbastanza sobrio da capire che sarebbe stato sbagliato mettermi in macchina, ma lui mi anticipò: in fretta mi disse di non muovermi e che sarebbe corso da me.

Quando staccai la telefonata, mi sedetti ad aspettarlo sul marciapiede, fuori dallo yacht. Non salutai Ilian perché era troppo impegnato a baciare un ragazzo. Ero sinceramente confuso e a dire il vero non ero sicuro di quello che stava succedendo intorno a me. Arrivai a pensare di aver sognato tutto.

Però, Mirko fu reale davanti ai miei occhi. Era bello, anzi, bellissimo. Aveva preferito vestirsi in fretta e aveva indossato solo una maglietta grigia, sopra i pantaloni della tuta che usava come pigiama. Glieli avevo sfilati molte volte quei pantaloni, e molte altre li avevo messi per sentirmi addosso il suo odore. Mi piaceva indossare i vestiti di Mirko e in quel momento glieli avrei tolti soprattutto per poter avere il suo profumo sulla mia pelle, non mi sfiorò nemmeno l'idea di fare sesso con lui. Mi mancava e sarei stato capace di stare in astinenza per anni, se solo avesse accettato di ritornare insieme a me.

«Di chi è questa festa?» domandò, porgendomi una mano per farmi alzare da terra.

«Di un coreografo» bofonchiai, sollevandomi. Ci trovammo faccia a faccia e lo vidi chiaro e tondo come si tratteneva per non baciarmi. O forse ero io che lo volevo?

«Capisco. Vieni» fece.

Mi diede le spalle e io cominciai a seguirlo, ma la voce di Ilian mi fermò. «Donato!» gridò. «Dove vai?»

Accorse da me con tra le mani un'altra birra e con un braccio attorno al collo di uno dei ballerini, un ragazzo biondo e alto.

«Dove vai? Resta ancora un po'» mi disse e il ragazzo accanto a lui rise, prima di sussurrargli qualcosa all'orecchio.

«Devo andare a casa, Ilian» risposi, «ma grazie per avermi invitato.»

«Oh, vai via insieme a lui!» Ilian notò Mirko, lo indicò con la stessa mano con cui teneva la birra e poi gli si avvicinò. «Beh, devo dire che hai sicuramente buon gusto, Donato.»

Lui e Mirko restarono a fissarsi per qualche secondo, poi Mirko decise di ignorarlo e mi disse: «Andiamo?»

«Sì, sì» replicai. «Ciao, Ilian.»

«Ciao!» esclamò, mentre ormai già tornava alla festa, ridendo e continuando a bere.

Salii in macchina in silenzio. Mi misi la cintura di sicurezza e Mirko accese l'auto. Partì e si immise nel traffico. Era un giorno in settimana ed era tardi, ma c'era ancora molta gente in giro. Il giorno seguente con molta probabilità sarebbe dovuto andare all'università e lo avevo disturbato, ma non ebbi il coraggio di aprire l'argomento. Le occhiaie violacee che aveva bastavano a parlare per lui.

«Così adesso è questo che fai? Vai alle feste e ti ubriachi?» ruppe il silenzio lui. «Con quello, poi...»

«Quello si chiama Ilian.»

«Vi frequentate?»

«Cosa? No! Ilian non è gay!» esplosi, anche se non ero del tutto certo dell'affermazione che avevo appena fatto. Tuttavia era la prima cosa che mi era venuta in mente per giustificare il fatto che non stessi frequentando Ilian.

«Sei sicuro?» replicò lui. «A me sembrava proprio di sì, ma potrebbe anche far parte di quella categoria di persone che baciano e fanno sesso con gli uomini, però poi non vogliono dire di essere gay...»

Roteai gli occhi al cielo, consapevole che Mirko non ce l'avesse con Ilian, ma con me. Quel discorso era una frecciatina al fatto che non volevo confessare di essere omosessuale e, sinceramente, ero stanco di sentirmelo dire.

«Non voglio parlare di questo di nuovo» dissi.

«Di questo cosa?» fece finta di non capire.

«Non avrei dovuto chiamarti.»

«No, forse no.»

Mirko cambiò marcia, per poi lasciare la mano sul cambio. Fu la prima, vera volta che mi ritrovai a osservare i suoi movimenti mentre guidava. Di solito, quando lasciava la mano lì, io mettevo la mia sopra e le nostre dita si intrecciavano. Lo facevo soprattutto quando fuori era buio e dall'esterno non poteva essere visibile quel nostro contatto.

Mi fece male non poter farlo ancora, come sempre, e spinto dall'ingenuità provocatami dall'alcool, staccai la cintura e gli andai addosso ber baciargli il collo, il suo magnifico e profumatissimo collo che portava a un ancora di più magnifico viso.

«Donato...» provò a mormorare lui, affinché la smettessi, ma continuai.

Gli baciai con avidità il collo, lasciandogli morsi e saliva ovunque; strinsi tra i denti il lobo del suo orecchio destro e lui provò a scansarsi, ma gli afferrai il viso nel palmo e lo costrinsi a girarlo verso di me. Gli scoccai un bacio sulle labbra, chiudendo gli occhi.

«Dona...» disse, prima di inchiodare violentemente. La frenata fu così brusca che sbattetti con il fianco contro il parabrezza. «Stai bene?» chiese lui, mentre tastava il mio corpo – e in particolare il mio busto – per assicurarsi che tutto fosse a posto.

Non feci in tempo a rispondergli, però, perché mi resi conto che Mirko aveva frenato bruscamente per non investire un uomo che guidava un motorino. Quell'uomo ci riempì di insulti e ci chiamò "Ricchioni". Disse proprio: «'sti due ricchioni!»

Annaspai a sentirmi chiamare in quel modo e mi staccai di fretta da Mirko. Misi di nuovo la cintura e non dissi più niente per tutto il resto del viaggio.

Mi accompagnò fino a casa mia e scesi dalla sua macchina senza dirgli nulla; lui, invece, un attimo prima che chiudessi la portiera, affermò: «Non riesco a credere che mi hai baciato in pubblico, ma che non vuoi dire ai tuoi fratelli di noi. Ti odio.»

Di nuovo, non riuscii a replicare: aveva ragione lui, anche io mi odiavo. 




***



Il mattino dopo avevo un mal di testa incredibile. Non avevo dormito quasi per nulla, avevo avuto gli incubi ed ero stato costretto ad alzarmi presto per preparare i miei fratelli e farli andare a scuola, poi ero andato a riprendere l'auto al molo con Simone – a cui avevo dovuto raccontare per forza di cose della festa – e ora ero seduto al tavolo in cucina mezzo sfatto e già stanco per la giornata e per tutto quello che era successo la sera prima.

Aveva cucinato Corrado e ora mi sbraitava contro per non so quale motivo. A stento lo stavo a sentire.

«Donato!» esclamò lui, scuotendomi per una spalla. «Ma mi stai ascoltando?»

«No, Corrado, non mi sento affatto bene. Che hai detto?»

«Daniele.»

«Daniele cosa?»

«Ho trovato questo nel suo zaino.» Mi mise davanti un foglio e io lo lessi velocemente. La sua maestra chiedeva la firma del suo tutore legale per essere certa che avesse letto la nota che gli aveva messo. Daniele aveva litigato con un bambino della sua scuola e aveva detto una parolaccia. «Ovviamente non ce l'ha detto, l'ho trovato per caso» continuò Corrado.

«Mh. Dov'è Simone?»

«Non lo so dov'è Simone, ma con il tuo permesso a Daniele ci penso io...»

«No» sbuffai, alzandomi. «Deve pensarci lui. Quando torna ci parlo.»

«Con Simone o con Daniele?»

«Con entrambi.»

«Ma... Donato, dove vai?»

«A dormire» risposi, prima di lasciare la stanza.

Corrado mi chiamò un altro paio di volte, ma lo ignorai e mi gettai sul letto matrimoniale, quello che una volta era stato dei miei genitori e che ora condividevo con Simone. Avevamo deciso che lasciare la loro camera vuota non sarebbe stato congeniale, visto che eravamo in otto e in questo modo avremmo potuto stare più comodi, anche se la casa non era comunque molto grande. Però avevamo cambiato qualche componente d'arredo e il materasso, come se ci sentissimo in colpa a dormire su quello che avevano condiviso mia madre e mio padre.

Mi misi sotto le coperte, esattamente al centro, come amavo fare quando non c'era Simone. Chiusi gli occhi e provai a sgomberare la mente. Ero sul punto di addormentarmi, quando Martina entrò in punta di piedi nella stanza. Feci finta di nulla, senza svegliarmi, ma poi lei salì sul letto e io aprii gli occhi.

«Cosa c'è?» le chiesi, mentre si stendeva accanto a me.

«Niente. Stai bene? Corrado ha detto che non stai bene.»

Sorrisi e la cinsi con un braccio. Lei poggiò la testa sul mio petto e si sistemò meglio sotto le coperte. «Sono solo un po' stanco. Hai mangiato?»

«Sì, tutto.»

«Brava» e le scoccai un bacio sulla fronte. «Era buono?»

Martina annuì.

«Bene» mormorai.

Poi non le feci più domande, pensando che si stesse per appisolare e non volevo disturbarla. Eppure a disturbarla, anzi, a disturbarci ci pensarono Daniele e Francesco, che entrarono a loro volta in camera e si fiondarono sul letto, ma dalla parte opposta a dove si era posizionata Martina.

Daniele sorrise nel vedermi così abbattuto e io lo guardai male. «Io e te abbiamo un discorso in sospeso e non pensare che te la sei cavato» feci.

«Non so di che parli» disse, mentre si stendeva accanto a me.

«Oh, lo so io di che parlo e non credere che mi manchi la forza per dartele» e per chiarire il concetto gli diedi una pacca sul sedere.

Lui si lamentò, ma poi rise; Francesco gli disse di fargli spazio e anche lui si accomodò nel letto. Provai a stendere il braccio sinistro più che potevo e in quel modo riuscii a tenere sotto le mie "ali" sia Martina che Daniele e Francesco.

Ci addormentammo tutti e quattro e quando fu il momento di svegliarci per andare alla scuola di danza, mi resi conto di non riuscire a muovermi: nel letto c'erano tutti i fratelli Leonardi.

Nella mente mi rimbombavano ancora le parole di Mirko e in particolare il suo "ti odio", ma in quel momento riuscii a farle sparire un po', almeno per qualche secondo. Sorrisi e chiusi gli occhi.




Buon giovedì! Cosa ne pensate del capitolo? Povero Donato, nemmeno quando va alle feste riesce a divertirsi! 

Al prossimo giovedì, 

Mary <3  

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