Pigiama party

Daniele mi stava torturando ormai da ore e davvero non ne potevo più. Mi aveva assillato appena sveglio, mentre facevamo colazione; aveva continuato in macchina, mentre li accompagnavo a scuola; e ora, a cena, non aveva ancora finito.

«E dai, e dai!» gridò, tirandomi i jeans. Feci finta di nulla e lo scansai per andare a prendere i piatti per apparecchiare. «Perché no?»

«Non ho mai detto no, Daniele» sbuffai, mentre mi voltavo verso di lui. «Semplicemente ho detto che dobbiamo chiedere ai suoi genitori.»

«Ma non l'hai ancora fatto» mi fece notare lui.

No. Non avevo ancora chiesto ai genitori di David se il loro figlio minore poteva venire a stare da noi per il pigiama party che voleva organizzare Daniele per il suo compleanno. La verità era che, dopo quella volta in cui mi ero portato David a casa, io e Ilian avevamo litigato ancora di più e ora proprio non mi andava di parlarci, o di parlare con i suoi genitori. Sapevo bene che Daniele – ma soprattutto David – non c'entrava nulla in tutta questa storia, ma ogni volta che pensavo di farlo, di contattare i genitori di David per chiedere loro il permesso, ricordavo la discussione che avevamo avuto io e Ilian e desistevo.

«No, ma...»

«Si può sapere che è successo tra te e Ilian?» mi chiese Simone di punto in bianco. Avevo urlato così tanto, quella volta al telefono, che avevano sentito tutti con chi stessi parlando.

«Niente, non è successo niente. Abbiamo solo discusso» riassunsi.

«Io però che c'entro?» si lamentò Daniele. «È il mio compleanno...»

Gli occhi di Daniele si riempirono di lacrime e il suo labbro cominciò a tremare. A quel punto ricevetti delle occhiatacce da gran parte dei miei fratelli e allora decisi di acconsentire, prima che Daniele scoppiasse in un pianto disperato ma soprattutto insopportabile.

«Va bene, parlerò con i suoi genitori» mi arresi.

Daniele saltò dalla gioia e, dopo avermi abbracciato le gambe, passò tutta la serata a fare come gli dicevo per ingraziarsi il sottoscritto ancora di più. Non che servisse, in realtà, ma la velata minaccia di non chiamare i genitori di David lo rendeva obbediente come non mai e almeno quel giorno non dovetti costringerlo a mangiare le verdure e ad andare a letto presto.

In quei giorni ero stanco più del solito, ma ero felice del fatto che ad Andrea la febbre non veniva ormai da più di una settimana e che Daniele sembrava più calmo e meno aggressivo, grazie alla vicinanza di David. Questi ultimi non facevano altro che stare appiccicati durante le ore che passavano alla scuola di danza e Daniele, una volta tornato a casa, ci riempiva la testa delle cose che gli raccontava David. Soprattutto, a Daniele piaceva quando David gli insegnava qualche parola in russo, anche se Daniele le dimenticava dopo nemmeno cinque minuti.

Per fortuna David non aveva subìto conseguenze per la zuffa con Daniele e di questo ero molto sollevato. Tuttavia, anche se mi piaceva il rapporto che avevano instaurato i due ragazzini, l'idea di rapportarmi ancora con gli altri familiari Sakiridov mi disturbava.

La loro felicità al primo posto, però, mi ripetei.

Sospirai. Già, la loro felicità al primo posto.

E la mia, invece? Da quando avevo litigato con Mirko erano poche le cose che mi facevano sentire bene; mi aggrappavo ai loro sorrisi, alle uscite plateali di Francesco quando non voleva andare a scuola o alla dolcezza di Martina. Ma non bastava. Nonostante ciò, non avevo intenzione di far pesare loro i miei problemi e non aveva importanza se a stare bene non ero io. Se avessi voluto focalizzarmi anche sul risolvere i miei crucci, avrei di sicuro finito per dimenticare le cose importanti; perciò andavano messe da parte. Mirko mi aveva concesso una pausa e in fondo non aveva avuto torto nel farlo: prima il dovere e poi il piacere.

Infatti, il mio dovere, in quei giorni, era organizzare la festa di compleanno di Daniele. 





***





Aprii la porta della camera dei ragazzi e misi solo la testa all'interno. «Ragazzi, vole...» Non feci però in tempo a finire la frase, perché un cuscino colpì la porta ed ebbi la prontezza di richiuderla affinché non colpisse anche me.

«Vattene via!» urlarono i dieci ragazzini insieme.

Era il 28 novembre e, anche se il compleanno di Daniele era il ventisei, ero riuscito a organizzare la festa proprio quel fine settimana. Tutti gli invitati avevano mangiato schifezze, bevuto bibite gassate e ora erano rimasti solo i maschietti per il pigiama party, a cui stavano partecipando gli amici di scuola di mio fratello, Andrea, Francesco e David.

Volevo solo controllare che tutto fosse a posto e magari sapere se avevano bisogno di un'altra coperta, dell'acqua o di qualche altra cosa; ma i dieci ragazzini erano tutti seduti in cerchio, al buio, a raccontarsi storie dell'orrore.

Avevo permesso loro di stare svegli almeno fino alle dieci, dato che il giorno dopo non avevano scuola, e loro avevano deciso di trascorrere quel tempo senza alcuna supervisione di noi grandi, ma proprio non potevo lasciarli fare, visto che tutte le mamme e i padri se la sarebbero presa con me, se fosse successo qualcosa di spiacevole ai loro figli.

«Volevo solo sapere se avevate bisogno di qualcosa» urlai da fuori la porta, mentre Simone rideva di me e della situazione.

«No, vattene» gridò Daniele in risposta.

«D'accordo, però...»

«Vattene!»

«D'accordo, d'accordo» mi arresi.

Mi allontanai dalla stanza dei ragazzi, non prima di aver origliato qualche altro minuto, però. Sapevo che Daniele, che avevo trovato con una torcia a illuminargli il volto, non conosceva di certo storie molto spaventose, ma era meglio non lasciare nulla al caso.

Controllai che Martina stesse dormendo tranquillamente – l'avevo sistemata in camera mia – e poi andai in salotto.

Lì Simone stava pulendo il casino che si era creato per il cibo e i giochi che avevano fatto i bambini, prima di mettersi tutti il pigiama e rinchiudersi in camera di Daniele, e Corrado sembrava che stesse cercando qualcosa. Solo quando mi focalizzai a seguire i suoi movimenti, notai che aveva la giacca, che si era vestito elegantemente e che aveva raccolto i capelli in una coda bassa, cosa che faceva quando voleva essere presentabile.

«Corrado, dove vai?» chiesi.

«Esco» riassunse lui, senza guardarmi in viso.

Incrociai lo sguardo di Simone e lui sorrise sotto i baffi. C'era qualcosa che non sapevo e che temevo di scoprire.

«Dove vai?»

«Esco» ripeté lui. «Oh, eccole!» Afferrò il mazzo di chiavi della macchina e finalmente mi guardò. «Non ho mica il coprifuoco?»

«No, ma posso sapere dove vai?»

«No» disse lui, prima di muoversi verso la porta e uscire.

Lo seguii per parlargli ancora, ma me la chiuse in faccia. «Tu sai dove va?» domandai a Simone.

«Sì, deve uscire con la madre di una ragazzina che viene alla nostra scuola di danza.» Simone raccolse dei piattini di plastica blu e li mise nel sacchetto dell'immondizia nero che reggeva con una mano. «Hanno iniziato a parlare perché Corrado le chiese una mano con lo chignon di Martina e, sai, una cosa tira l'altra e...»

«Una cosa tira l'altra?» ripetei, sconvolto.

«Guarda che non è sposata» fece lui.

«Sì, ma...» provai ancora a ribattere, ma poi lasciai perdere. Non mi andava proprio di mettermi a discutere sulle relazioni dei miei fratelli, dato che loro non discutevano le mie. O, meglio, non glielo permettevo perché non raccontavo nulla e nulla dovevano sapere. Inoltre avevo subito viaggiato con la mente e avevo immaginato una donna matura, sicuramente più grande di Corrado, ma non era detto che fosse così. Magari aveva avuto una figlia da giovane...

Storsi la bocca ed evitai di pensare a mio fratello e al suo appuntamento amoroso.

«Anche Giovanni è uscito» m'informò Simone.

«Mh» commentai, senza aggiungere null'altro. In fondo, dov'era la novità? Giovanni usciva praticamente tutti i giorni e non ci era dato sapere dove andasse. In realtà mi ero anche stufato di chiedere, del suo atteggiamento e delle sue risposte acide.

«Non credo con una ragazza, però.» Simone cominciò a impilare i bicchieri e decisi di aiutarlo. Mancava ancora molto perché la cucina fosse pulita e se avesse continuato da solo ci avrebbe messo il doppio del tempo. Mi dedicai a mettere da parte le patatine e tutte le stuzzicherie avanzate, mentre lui continuava: «Forse con degli amici... boh...»

«Capisco.» Non me ne fregava proprio, ma non volevo essere scortese con Simone: non lo meritava.

«E tu?»

La sua domanda mi paralizzò, ma finsi che non mi toccasse più di tanto e replicai in fretta e cercando di non farmi vedere agitato: «Io cosa?»

«Stasera non esci? Con Ilian...»

Risi. Una risata nervosa. «Con Ilian?»

«Sì, non sei andato a una festa con lui, l'altra volta?»

«Sì, ma... è stato un caso. Poteva invitare una sola persona e...»

«E ha invitato te» finì per me lui.

Ci guardammo negli occhi, tutte e due fermi al centro del salone, accanto al divano, con dell'immondizia tra le mani. Il suo sguardo fermo nel mio mi parve che volesse dirmi qualcosa, o forse accusarmi di non avergli detto qualcosa. Forse Simone aveva capito, aveva compreso che fossi gay, ma quel giorno non ne fece parola.

«Già» dissi.

«E come mai avete discusso, poi?»

Simone chiuse il sacchetto nero e cominciò a sprimacciare i cuscini del divano. Quel suo muoversi lo interpretai come la fine della mezza insinuazione che aveva fatto tra me e Ilian e mi rilassai.

«Divergenze di opinioni» riassunsi, mentre spostavo il tavolo per raccogliere dei fazzoletti di carta che erano finiti lì sotto. «Ho pensato che portare qui a casa David dopo la scuola di danza fosse stato premuroso e normale, visto che tardavano a venirlo a prendere; lui ha pensato che volessi fare il superiore.»

«Addirittura? Per così poco?»

«Già. Non so, forse era nervoso per cose sue.»

«Può essere. Sai cos'ho sempre pensato di lui? Che fosse gay.»

Simone si fermò di nuovo per guardarmi, ma stavolta non ricambiai il suo sguardo né alzai il capo. Continuai imperterrito a fare ciò che stavo facendo. «Non so che dirti» mormorai a bassa voce. «Alla festa l'ho visto baciare una donna.» E lo dissi finalmente incrociando gli occhi con i suoi.

Trattenni il fiato, mentre sul suo volto restava un'espressione seria, quasi severa, come se mentalmente mi stesse accusando di qualcosa. Poteva essere un caso che Simone stesse affrontando proprio con me quel discorso, ma poteva anche essere che il suo parlare di Ilian e di una presunta sessualità volesse portare a qualcos'altro, qualcosa che non ero pronto a confessare, anche se sarebbe stato tremendamente liberatorio.

«Sei sicuro?» continuò lui, imperterrito e sempre più serio.

«Sì, sono sicuro.»

Simone scrollò le spalle, non del tutto convinto di ciò che avevo detto, e finì di sistemare il divano; poi spazzò e ripose nella credenza i piatti messi ad asciugare. A mia volta finì di raccattare il cibo avanzato e quando ebbi finito controllai l'orologio: erano le dieci meno un quarto. Decisi allora di andare a controllare di nuovo i ragazzi, magari ricordare loro che avevano solo un altro quarto d'ora per giocare non sarebbe stato sbagliato; ma Daniele corse da me come un forsennato, seguito da altri due bambini.

«Donato, Donato!» gridò.

«Che cosa c'è?»

«Francesco...»

«Francesco che?» mi allarmai. «Che è successo?»

«Stavamo giocando e lui...»

Ma non ascoltai nulla di ciò che mi stava dicendo mio fratello, perché focalizzai lo sguardo sulle mani di Daniele e ci vidi sopra del sangue. Tutto intorno a me divenne improvvisamente senza suono e l'unica cosa che riuscivo a sentire era il battito incessante del mio cuore. Lo sentivo nelle orecchie, forte, martellante.

Le gambe si mossero senza che potessi controllarle e quando spalancai la porta della stanza dei ragazzi si bloccarono per una frazione di secondo, per poi accasciarsi in ginocchio, accanto a Francesco svenuto, con il sangue che gli colava da una tempia.



Buon giovedì, ragazze! Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Mary <3  

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