La ricerca dell'equilibrio
Non credo mi fosse capitato prima di provare tante sensazioni nello stesso momento. Ero spaventato, preoccupato, in ansia, ma soprattutto imbarazzato.
Accanto a me, sulla scomoda sedia di plastica dell'ospedale, era seduta la donna con cui, quella sera, era uscito mio fratello Corrado. Francesco aveva sbattuto la testa contro lo spigolo del comodino e gli si era aperto un taglio sulla fronte. Niente di preoccupante, per fortuna, solo un paio di punti; ma ero stato costretto a disturbare Corrado, in quanto tutore legale di Francesco, e lui aveva dovuto interrompere il suo appuntamento. Per non perdere tempo, però, si era portato con sé la donna che ora mi sedeva accanto.
Corrado aveva sempre preferito le donne più grandi di lui, ma lo consideravo ancora troppo piccolo per poter uscire con una donna che aveva già una figlia. Mio fratello aveva appena ventitré anni, lei più di trenta, come avrebbero potuto instaurare una relazione seria?
Dovetti ammettere, tuttavia, che fosse una bella donna. Alessandra aveva i capelli biondi, gli occhi chiari, il viso dolce a forma di cuore e un piccolo neo sotto l'occhio destro. Per l'appuntamento con mio fratello aveva indossato un elegante abito nero di raso con le spalline larghe e lo spacco laterale; le sue gambe lunghe erano fasciate da calze sottili ma scure e ai piedi aveva scarpe col tacco rosse.
Mi sorprese a fissarle le gambe e, imbarazzata, arrossì e si tirò più in giù la parte sotto del vestito. Che figura! Avrei tanto voluto dirle che non correva problemi con me.
Tossì e si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Penso che non lo faranno restare qui per la notte» disse.
«Mh, no, nemmeno io lo penso.»
Lei annuì e ripeté il gesto di prima, ma dall'altra parte del viso. «Corrado mi parla tanto di voi...»
«Lui di te non ci ha mai parlato.»
Cazzo. Mi era sfuggito dalle labbra senza rendermene conto.
«Scusami, non...»
«Non preoccuparti» fece lei. «Posso immaginare perché non l'abbia fatto...» Si prese una pausa, mi guardò negli occhi. Mi sentii di merda. «Cosa vuoi sapere di me?»
«Come?»
«Corrado mi ha detto che vuoi che tutto sia sotto controllo e perfetto, che non ti piace quando non sei sicuro di una cosa.»
«Sul... sul serio?» balbettai. Era davvero così che mi vedeva Corrado, che mi vedevano i miei fratelli? Come un sergente che voleva avere il controllo su tutto e tutti?
«Sì. So che non ti ha detto di me perché magari pensava che non avresti approvato, ma ora puoi chiedermi tutto quello che vuoi.»
«Non serve. Non c'è bisogno. Corrado scherzava.»
Distolsi lo sguardo da lei e poi mi alzai facendo finta di voler andare al distributore automatico. Avevano fatto stendere Francesco in una stanza singola, sistemata poco più avanti di dove io e Alessandra ci eravamo messi in attesa. Non ci era permesso entrare – solo Corrado era dentro – in attesa dei risultati della TAC. Francesco aveva sbattuto la testa e i medici volevano essere sicuri che non ci fossero traumi cranici.
Era notte, Simone era a casa con Martina, Andrea e gli altri e io avrei tanto voluto sparire e restare da solo, coi miei pensieri.
Alla fine mi avvicinai davvero al distributore automatico, cercai qualche spicciolo nella tasca e presi la prima merendina che vidi. Non l'avrei mangiata, però, ma l'avrei data a Francesco, una volta dimesso.
Quando mi voltai, Alessandra era di fronte a me. Mi sorrise.
«Ascolta, non volevo farti innervosire, anzi, penso sia normale la preoccupazione e l'apprensione che hai per i tuoi fratelli. Sono una madre e ti capisco» mi disse.
Deglutii un groppo amaro. «Io però non sono il loro padre, non sono nemmeno lontanamente una persona con un forte istinto paterno» confessai.
«Come fai a dire una cosa del genere? A me non sembra proprio così.»
«Niente va come dovrebbe» mi sfogai, ma poi mi trattenni dall'aggiungere altro. In fondo non conoscevo per niente quella donna e magari non gliene fregava proprio niente dei miei problemi e delle mie paturnie mentali.
«La ricerca dell'equilibrio è una cosa difficilissima.» Alessandra si avvicinò ancora di poco a me, permettendomi di specchiarmi nei suoi occhi chiari. Mi sfiorò un braccio, materna, e mi rilassai. «Ma vedrai che andrà tutto bene. È la stessa cosa che dico anche a Corrado.»
Annuii. «Grazie.»
«Figurati.»
«Ehi.»
Corrado, appena uscito dalla stanza, ci venne vicino. Subito rivolse uno sguardo ad Alessandra, quasi cercassero di parlarsi telepaticamente. Mi sembrò che le stesse chiedendo di cosa stavamo discutendo io e lei, e mi resi conto dell'apprensione di mio fratello. Ero davvero così terribile?
«Di cosa parlavate?»
«Di Francesco» riassunse lei velocemente.
«Oh... sì, il medico che l'ha visitato ha detto che tra qualche minuto possiamo farlo andare via. Vuoi entrare un po' da lui, Donato?»
«D'accordo» risposi.
Mi avviai nella stanza di Francesco, lasciando dietro di me quella coppia che adesso non mi pareva tanto male. Con la coda dell'occhio riuscii a intravedere Corrado darle un veloce e casto bacio sulla guancia e mi venne da sorridere: nonostante tutto, era bello vedere mio fratello sereno e, forse chissà, anche innamorato.
«Ehi...» sussurrai a Francesco, mentre mi avvicinavo al suo letto. Mio fratello era mezzo addormentato, con la fronte fasciata e una pesante coperta addosso. «Come ti senti?»
«Bene. Quando torniamo a casa?»
Mi sedetti sul letto, di fianco a lui. «Presto» risposi.
Lui annuì. «Che ore sono?»
«Quasi le due di notte.» Tra una cosa e l'altra, eravamo stati quasi quattro ore all'ospedale, tra i documenti da compilare, le analisi e roba varia.
«Quindi domani non vado a scuola?» si animò lui. Era incredibile come cercasse ogni pretesto per non andare a scuola.
Peccato, però, che quella volta non gli sarebbe andata bene.
«Mi dispiace» gli dissi, «ma domani è domenica.»
«Oh, giusto...»
«Però, magari lunedì puoi restare a casa e rimetterti in forze» lo rincuorai, mentre gli stringevo la mano.
«Sul serio?»
«Solo se fai il bravo.»
«Va bene!»
Francesco sorrise e anch'io con lui. Restammo qualche minuto da soli, a parlare di tutto ciò che ci veniva in mente – anche ispirati dall'ambiente circostante – finché non ci interruppe una donna. All'inizio non la riconobbi, anzi, pensai che fosse un'infermiera o qualcun altro del personale dell'ospedale. Però poi focalizzai meglio.
Era una donna alta, coi capelli castani tenuti fermi a lato da due forcine di colore scuro; i vestiti eleganti e sobri e l'espressione arcigna.
«Buonasera» borbottai, alzandomi dal letto per salutarla. Dietro di lei, intravidi Corrado mano nella mano con Alessandra.
«Buonasera» rispose l'assistente sociale. «Come sta?»
«Bene, bene.» Parlai in fretta, ma poi la sua occhiata mi fece capire che non era intenzionata a sapere come stavo io, ma Francesco. «Sta bene, solo un po' scosso.» Mi maledissi subito per aver usato quella parola – scosso – e per porre rimedio alla situazione poggiai una mano sulla fronte di Francesco, in un gesto d'affetto che speravo avrebbe notato.
Sinceramente non mi aspettavo che corresse all'ospedale per sapere delle condizioni fisiche di mio fratello. Nel trambusto dell'incidente, Corrado mi aveva detto che sarebbe stato meglio avvisare i servizi sociali, o se l'avessero scoperto da soli sarebbe stato peggio; ma non pensavo che si precipitassero in quel modo. Certo, però, che il nostro caso era molto particolare e molto probabilmente dovevano nutrire seri dubbi sul fatto che sarei riuscito a tenerli sotto lo stesso tetto e a crescerli al meglio.
«Come stai, Francesco?» La donna si avvicinò a mio fratello e io le feci spazio. «Ti sei fatto tanto male?»
Francesco scosse la testa, negando. Fui contento che non fosse rimasto traumatizzato e che considerasse il taglio che si era procurato un'inezia. Nonostante ciò, l'immagine di lui, svenuto e con il sangue che gli colava dalla tempia difficilmente l'avrei dimenticata.
«Come ti sei fatto male?»
«Stavamo giocando ai pirati. Sono saltato sul letto di Daniele, sono inciampato e ho sbattuto la testa.»
«Capisco» fece lei. «Con chi giocavi?»
«Con i miei fratelli e altri amici.»
«Stavano festeggiando il compleanno di Daniele, il penultimo» le spiegò meglio Corrado. La donna si limitò a voltare il viso in direzione della voce di Corrado, ma senza girarsi del tutto.
«Ed eravate da soli, in stanza?» chiese a Francesco.
«Sì, Donato era appena andato via.»
Fui contento che Francesco avesse aggiunto quel dettaglio, ma non riuscii a fare a meno di incrociare lo sguardo di Corrado e di trasmettergli in quel modo la mia preoccupazione.
«Tra poco torno a casa» continuò Francesco.
«Sì, tra poco andiamo» parlò Corrado. Aveva lasciato la mano di Alessandra e adesso era a pochi centimetri da nostro fratello. «Anzi, adesso vado a chiedere al medico, okay?» Gli fece a sua volta una carezza sulla testa, prima di uscire insieme ad Alessandra.
L'assistente sociale salutò Francesco, augurandogli di riprendersi presto, e poi mi chiese di parlare in privato. La condussi fuori dalla stanza e ci sistemammo nella zona d'attesa dove eravamo stati io e Alessandra. Non volle sedersi, però, né riuscii a tentarla con qualcosa da mangiare e neanche un caffè.
«Sto bene, grazie» fece, alzando una mano, dopo la mia ennesima offerta. «Volevo solo parlarle della visita di controllo.»
«Sì, è fissata tra circa tre settimane, credo.»
«Già, ma penso che a questo punto dovrò anticiparla.»
«A quando?» chiesi.
«Alla settimana prossima.» La donna si sistemò la giacca e guardò l'orologio che aveva sul polso. «Non le dirò un giorno preciso, però. Tuttavia lo consideri un atto di gentilezza da parte mia.»
Mi ci volle un po' per capire che non le era piaciuto l'incidente di Francesco e che dirmi che sarebbero venuti a controllarci la settimana successiva era anche troppo, rispetto a quello che meritavamo per come secondo lei ci stavamo comportando con i nostri fratelli. Avrei voluto tanto supplicarle di darci più tempo, ma avrebbe significato darle la soddisfazione di avere ragione, che non ci stavamo prendendo cura come avremmo dovuto dei nostri fratelli.
Allora alzai il mento, sicuro, e le risposi: «Va bene, venga pure quando vuole.»
Buon giovedì! Come al solito, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima settimana,
Mary <3
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