L'ispezione

L'assistente sociale, insieme a un uomo che si era portata dietro, girovagava per la stanza di Martina, Daniele e Francesco. Non so per quale motivo, ma avevo preferito farle iniziare l'ispezione dall'ultima stanza. Certo, il salone era la camera che l'aveva accolta, ma io avevo deciso di farle fare il giro a modo mio e devo dire che era stata d'accordo.

Come anticipato, era venuta senza prima avvisarci, ma ero stato fortunato per due motivi: la casa era in ordine e pulita; e Giovanni aveva portato i più piccoli al parco a giocare, mentre gli altri erano alla scuola di danza.

Era sera, ma non ancora ora di cena; tuttavia quella volta avevo avuto anche una terza fortuna: avevo già cucinato e tutto era pronto. Di solito, andavo un po' a braccio per quanto riguardava i pasti e preparavo il tutto in pochi minuti; stavolta, invece, mi ero buttato su qualcosa di più complesso – la lasagna al forno – e quindi mi ero mosso con ore di anticipo. Non mi piaceva far mangiare carboidrati anche a cena ai miei fratelli, però a pranzo avevano mangiato solo un secondo velocemente, visto che avevano molto da studiare e volevano correre al parco.

La donna scrutava in silenzio e senza commentare tutto ciò che si trovava davanti; di tanto in tanto prendeva tra le mani gli oggetti che facevano da soprammobili, oppure mi chiedeva a cosa servissero alcune cose, principalmente i giochi di Daniele e Francesco.

Quando fu soddisfatta, la condussi nell'altra camera da letto, quella di Giovanni, Andrea e Corrado.

Non mi piacque l'espressione che fece quando vi entrò. Si fermò giusto al centro della camera e fissò il soffitto; poi andò spedita alla scrivania. Prese tra le mani i quaderni che Andrea aveva lasciato dallo studio di quel giorno e poi li rimise al suo posto. Sperai che tra la roba di Giovanni non ci fossero cose discutibili, ma per fortuna anche quell'ispezione andò bene.

Tuttavia, quando entrò nella camera mia e di Simone, con fastidio mi chiese: «Come eravate disposti, prima che i vostri genitori morissero?»

Deglutii e mi feci forza, prima di rispondere: «Quattro in una stanza e quattro in un'altra.»

«Lo trovo molto scomodo e non adatto per la privacy. Avete età diverse e non è adeguato vivere in tanti in uno spazio ristretto.»

Non potevo darle torto, ma i miei genitori non avevano pensato a darci una camera a testa o a comprare una casa più grande per farci avere i nostri spazi e devo dire che, secondo il mio parere, come si erano comportati era stato anche più che normale. Adesso avevamo tre stanze, non proprio il massimo per la privacy, certo, ma sempre meglio di stare in otto in sole due camere.

«Ho visto un solo bagno, se non mi sbaglio» continuò lei. L'uomo che era dietro di lei le passò una cartelletta con una penna e lei vi appuntò sopra qualcosa che non riuscii a vedere.

«Sì, per ora c'è un solo bagno» le diedi ragione. «Ma avevo intenzione di farne aggiungere uno.»

«Dove?»

«Nella prima camera che ha visto.»

Mi uscì spontaneo dirlo, anche perché fino ad allora non avevo pensato a dove mettere un altro eventuale bagno, nonostante volessi effettivamente farlo costruire; però lei sembrò credere a quanto le avevo detto, perché annuì convinta.

Proseguimmo il giro in cucina e nel salotto. Volle vedere cosa c'era nel frigorifero e lì cercai di impressionarla parlandole dell'educazione che avevo riguardo il cibo salutare e che continuavo a dare ai miei fratelli. Non fece commenti, ma di certo non poteva negare che negli scaffali non ci fossero merendine piene di zuccheri o roba simile.

Alla fine le feci fare un giro anche della saletta da ballo che mio padre aveva fatto costruire. Non ero solito entrarci, infatti non era pulitissima, ma le spiegai che anche quando i miei genitori erano vivi la usavamo pochissimo e lei, di nuovo, non fece commenti.

Avevo iniziato quell'ispezione in modo positivo, pensando che non avevo nulla da temere, che se mi mostravo sicuro anche lei si sarebbe convinta che alla fine non ci fosse nulla di sbagliato nell'affidarmi i miei fratelli; tuttavia quel suo non dire nulla – né commenti positivi né negativi – iniziò a farmi agitare. Sapevo che non le era piaciuto l'incidente di Francesco, ma era stato l'unico evento rilevante che era accaduto da quando li avevo riuniti. Un minimo errore è perdonabile a chiunque.

«Avrei preferito non trovarla da solo in casa, se devo essere sincera» mi disse, mentre la conducevo di nuovo nel salotto.

«Direi che è stata una particolare coincidenza: non sempre siamo fuori casa per così tanto tempo.»

«Nemmeno quando vi occupate della scuola di danza?»

«No, nemmeno allora. Certo, è un lavoro che ci impegna molto tempo libero, però finite le lezioni cerchiamo di non far stare i ragazzi troppo tempo fuori casa. Devono soprattutto studiare e dormire bene per poi andare a scuola riposati.»

Le feci segno di accomodarsi sul divano e lei mi seguì. Tutti e tre ci accomodammo sul divano a tre posti. Lei scrisse qualcos'altro sul suo taccuino, mentre l'uomo mi chiedeva: «Anche la più piccola, Martina, balla?»

«Sì, ha iniziato da qualche mese, in realtà. Abbiamo aspettato perché non è consigliabile iniziare a ballare troppo presto.»

In realtà non era vero: prima si inizia a danzare e meglio è. Ma di sicuro era stato meglio per come la danza l'avevo vista io e anche qualcun altro dei miei fratelli.

«Capisco» rispose la donna. «E le piace?»

«Sì, certo.»

«Non è stancante per dei bambini stare dietro alle lezioni di danza e anche alla scuola?» domandò ancora l'uomo.

«No, a dire il vero no. Cerchiamo sempre di far coincidere tutto e se qualche volta hanno molti compiti da fare, allora possono anche non venire alla scuola di danza per finirli.»

«Così però gli insegnate a mollare, a non mantenere un impegno» disse lei.

Annaspai. «Non è questo che intendevo.»

Non approfondii la questione perché pensai che tanto qualsiasi cosa avessi detto l'avrebbero rigirata comunque a loro favore. Offrii loro qualcosa da bere, ma rifiutarono. Speravo che andassero via il prima possibile, specialmente prima che tutti tornassero, e quando entrambi si alzarono tirai un respiro di sollievo.

Li condussi alla porta, ma appena la aprii mi trovai di fronte Giovanni e tutti i più piccoli dei miei fratelli. Martina mi corse incontro e mi abbracciò le gambe, per poi essere imitata anche da Daniele e Francesco.

«Okay, okay, non facciamone un dramma» esordì Giovanni. «L'importante è che stiamo tutti bene.»

Un brivido mi attraversò la colonna vertebrale a sentire quelle parole. Le ignorai, ma non sfuggirono alla donna che subito, con un sopracciglio arcuato, chiese: «Cos'è successo?»

«Oh, nulla di che, abbiamo avuto un piccolo incidente, ma stiamo tutti bene, vero, ragazzi?» Giovanni doveva essere impazzito o non doveva essersi reso conto che la donna a cui aveva confessato di aver fatto un incidente era l'assistente sociale. E infatti, ebbi la conferma della sua totale ignoranza quando continuò dicendo: «Oh, salve! Donato, chi è questa splendida donna?»

Sentii le mie guance infiammarsi per la rabbia e dovetti reprimere l'istinto di prenderlo a sberle lì, davanti a tutti. L'ispezione era andata a meraviglia e lui, in nemmeno cinque minuti, stava mandando all'aria tutto. Tutto ciò che per me era importante.

«Oh, signora, è sposata» continuò lui, quando notò l'uomo che era con lei. «Che peccato...» Le fece l'occhiolino, per poi lasciare la stanza.

Mi voltai verso la donna con l'intenzione di scusarmi per l'atteggiamento di mio fratello e anche con l'idea di mentire sull'incidente di cui non sapevo nulla, ma lei fece prima di me. Si sistemò la cartelletta nella borsa e poi mi disse: «Signor Donato, è meglio se parliamo in privato.»

Ecco, lo sapevo. Sarebbe andata male. Giovanni aveva rovinato tutto.

«C... certo» balbettai.

Mi assicurai che i miei fratelli stessero davvero bene e poi la condussi fuori casa per poter parlare da soli.

«Mi ascolti» cominciò lei, «voglio essere davvero sincera: non penso che la sua sia una buona idea e che soprattutto il giudice, dopo quest'anno di prova, accetterà di darle la tutela dei suoi fratelli. Tralascio ciò che ho appena sentito: i bambini non mi sono sembrati spaventati e probabilmente è stata davvero una cosa da nulla, ma se così non fosse stato? Quello che voglio farle capire, signor Donato, è che prendersi cura dei bambini non è una cosa da poco. L'altra volta, per suo fratello Francesco, è andata bene, diciamo pure che è stata fortuna. Adesso diciamo che lo è stata di nuovo, ma la prossima volta? Per quanto ancora ha intenzione di sfidare la sorte?»

«Le giuro che guidiamo tutti bene e con prudenza e che mi sono assicurato più di una volta che avessero la cintura, prima di farli uscire di casa» annaspai. «Non capita quasi mai che siano da soli con uno solo di noi a guardarli, ma volevano andare al parco e purtroppo io non potevo accompagnarli e nemmeno gli altri, perciò non ho pensato che potesse succedere qualcosa di sbagliato, insomma...»

Mi fermai per riprendere fiato e perché il cuore mi batteva forte nel petto, davvero forte, e mi sentivo male. Vedevo davanti a me tutto nero, ma al tempo stesso mi rendevo conto di avere le migliori intenzioni del mondo e che potevo provare a spiegarle quanto ci tenessi e quanto era importante per me, ma proprio non riuscivo a elaborare un pensiero, una frase che avrebbe potuto salvarmi da quell'impasse, da quel momento che non avevo previsto.

«Le ripeto che stiamo sempre attenti quando guidiamo...» mormorai, ancora.

«Diciamo che è così, ma per le altre cose che mi dice? La casa non è abbastanza grande per otto persone, c'è un solo bagno e non si sa bene quando ne farà costruire un secondo. Non c'è privacy e poi... glielo dico con tutto il cuore: lei è cosciente di quanto sia difficile crescere una bambina?»

«Cosa vuole dire?»

«Voglio dire che le bambine sono diverse dai bambini e crescendo ci sono aspetti della vita con cui dovrà fare i conti e non sono sicura che lei sappia aiutarla ad affrontarli. Non parlo del tanto temuto primo ciclo mestruale, ma di un insieme di situazioni con cui si troverà a dover fare i conti. Adesso, per esempio, chi si occupa della sua igiene personale? Lei sa come una donna lava il suo corpo? Saprebbe insegnarglielo?»

«Mi occupo io della sua igiene, così come faccio per tutti gli altri, con l'aiuto dei miei fratelli, s'intende.»

«D'accordo, ma lei è un maschio e sa come fare con un corpo maschile, ma per una donna è diverso. C'è bisogno di una figura femminile.»

«Non sono d'accordo» m'impuntai. Era davvero così necessario una figura femminile per la crescita di una bambina? Se una donna poteva crescere senza problemi un bambino, perché io che ero un uomo non potevo crescere una bambina? Era lo stesso discorso, solo a parti invertite. «Anch'io che sono un uomo posso crescerla come si deve.»

«Ci sono cose che non sa.»

«Le imparo.»

«Come?»

«Non lo so» sbottai. «Non lo so, va bene? Non lo so da dove potrei imparare determinate cose, ma lo farò. Le assicuro che non ho intenzione di far mancare nulla ai miei fratelli e se c'è qualcosa che non so lo imparo. Non mi spaventa nulla.»

La donna sospirò, per poi rivolgere uno sguardo d'intesa all'uomo che era con lei. «Lei è davvero una persona caparbia, questo devo riconoscerglielo. Facciamo in questo modo: le do un'altra possibilità. Adesso strapperò tutti i fogli di appunti che ho preso mentre ero qui con lei e ci vediamo tra quattro o cinque mesi. Però lei mi deve assicurare di trovare un giusto equilibrio e degli evidenti cambiamenti, anche nella struttura della casa, oppure non darò la mia approvazione per la tutela. Che ne pensa?»

«Certo, va bene. Le assicuro che non la deluderò.»

«D'accordo allora. Ci vediamo.»

«A presto» la salutai, mentre la osservavo andare via.

Rientrai in casa con il cuore ancora che palpitava all'impazzata e con diversi pensieri che mi affollavano la testa. Uno su tutti però prese il sopravvento: ammazzare Giovanni.





Buon giovedì! Spero che come al solito il capitolo vi sia piaciuto! 

Al prossimo giovedì, 

Mary <3 

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