Il tuo corpo parla per te

Osservavo Daniele e Francesco in silenzio e senza commentare. Corrado era vicino a loro ed ero sicuro che non servisse il mio aiuto. In verità, avevo il cervello da tutt'altra parte e Daniele sulle spalle di Francesco era solo il punto focale della mia vista, ma non stavo per nulla seguendo cosa stesse accadendo.

Corrado aveva avuto l'idea di far fare a loro due il Re dei Topi, visto che avremmo messo in scena Lo Schiaccianoci a dicembre. Per guadagnare qualche soldo in più, avevamo deciso di fare due spettacoli quell'anno e quale balletto migliore se non Lo Schiaccianoci?

Così, Corrado aveva dato a ognuno dei più piccoli un ruolo e aveva ben pensato di far salire Daniele sulle spalle di Francesco affinché si notasse la differenza d'altezza con gli altri topi (interpretati sempre dai bambini). Il problema, però, era che non era molto semplice per loro mantenere l'equilibrio e non era il caso che si facessero di nuovo male, visto quello che era accaduto a Francesco. Per fortuna si era ripreso del tutto e non gli erano rimaste cicatrici sulla fronte, ma la paura che potesse farsi di nuovo male – o che uno di loro potesse finire all'ospedale – era sempre presente.

«Piano. Daniele, piano» disse Corrado. Poi allungò un braccio per trattenere Daniele e per non farlo sbilanciare. «Francesco, devi camminare più lentamente.»

«Lo sto facendo» si lamentò lui. «Ma Daniele pesa troppo.»

Corrado li rimproverò entrambi e poi disse qualcosa che non sentii, perché focalizzai l'attenzione su Giovanni, che era appena fuori la sala. Da quella posizione potevo vedere che stava cercando qualcosa. Decisi di andare a vedere cosa aveva perso.

Mi alzai e a grandi falcate percorsi la sala, prima di aprire la porta e ritrovarmi nella zona segreteria.

«Che fai?» esordii.

Giovanni si girò di scatto, trafelato. «Mi presti dei soldi?»

La prima cosa a cui pensai fu che dovesse comprarci dell'altra droga e non ne fui per niente contento. Perciò lo guardai male. «Cosa devi farci?»

«Mi servono. Per favore.»

Giovanni era sudato e, nonostante avessimo i condizionatori con l'aria calda accesa, non faceva poi così caldo. Perlomeno, non così tanto da sudare. Con molta probabilità aveva ancora tutti i sintomi dell'astinenza e ancora non ero riuscito a capire come fare per aiutarlo.

Era chiaro, però, che non gli avrei dato nemmeno un centesimo.

«No, Giovanni. Mi sembra logico che non è il caso che io ti presti soldi.»

Lui spalancò la bocca, offeso. Schioccò la lingua e batté con entrambe le mani sulle cosce.

«Sei serio? Davvero credi che mi serva per quello? Ti ho giurato che avrei smesso e infatti è stato così.»

Era vero. Giovanni, qualche sera prima, mi aveva promesso che avrebbe smesso, che non avrebbe più toccato nulla. Ma come potevo sapere che avrebbe mantenuto la promessa? Non credevo nemmeno possibile che avesse iniziato a drogarsi, come potevo, adesso, dargli fiducia?

Tuttavia mi resi conto che, al contrario di quanto mi avrebbero consigliato, non potevo mostrarmi suo nemico, né era il caso che lo facessi arrabbiare.

«Te li darei anche» dissi, «ma proprio non ce li ho. Purtroppo, non lo so se l'hai notato, ma qui le cose non vanno molto bene per quanto riguarda gli incassi.»

Giovanni parve pensarci su, ma poi disse: «Poco, non mi serve molto.»

Quella sua aria da svampito, mista alla sua agitazione, mi dicevano che non dovevo dargli retta, ma alla fine cedetti e gli diedi dei soldi che avevo in tasca. Non erano molti, ma non si lamentò.

Lo guardai uscire come un lampo e pregai di non aver fatto un'enorme cavolata assecondandolo.

Ritornai in sala, mi accomodai sulla sedia accanto allo stereo e continuai a seguire la lezione con i più e mille pensieri che mi affollavano la testa.

Quando Corrado fu finalmente soddisfatto di come stava venendo il balletto, la lezione finì e tutti i ragazzini andarono nello spogliatoio. Tutti, tranne Andrea. Mi venne vicino e con molta difficoltà mi disse se potevamo parlare cinque minuti da soli, io e lui.

Annuii e lo portai nello studio di nostro padre, dove sapevo che non ci avrebbero disturbato.

«Va tutto bene?» gli chiesi, mentre lui si accomodava su una sedia.

«Sì... sì...» titubò. «È solo che... sai, dovresti chiamare il dottor Nuzzo.»

«Non hai un appuntamento la settimana prossima?»

Andrea scosse la testa in segno di diniego.

«Sicuro?»

In fretta mi mossi a cercare l'agenda dove tenevo scritti tutti gli impegni. Andai alla pagina della settimana successiva e mi resi conto che Andrea aveva ragione: ci eravamo dimenticati di prendere l'appuntamento.

«Non preoccuparti» gli dissi, «dopo lo chiamo.»

«Sì, ma...» Andrea spostò lo sguardo prima di dirmi: «Sarebbe la sesta visita.»

Ah.

Il dottor Nuzzo mi aveva concesso cinque appuntamenti gratis e di prova e poi avrei dovuto iniziare a pagarlo. Andrea voleva ancora andarci, per cui non dovevano essergli bastate quelle che aveva già fatto. Non avevo messo in conto di dover affrontare anche quella spesa, proprio no. Considerando, anche, che Andrea stava iniziando a passare più tempo con i suoi fratelli e mi aveva parlato anche di qualche amico della scuola dal quale voleva che lo accompagnassi di tanto in tanto.

Sospirai.

Non me ne va bene nemmeno una.

«Però se è un problema, io...»

«No, no» lo bloccai. «Non è assolutamente un problema. Adesso lo chiamo e prenotiamo la visita. Non preoccuparti.»

Forzai gli angoli della bocca affinché Andrea se la bevesse. Mi parve rilassarsi.

«Okay» fece, prima di trotterellare fuori dall'ufficio di papà.

Sfinito, mi lasciai andare sulla poltrona di pelle. Mi portai le mani tra i capelli e sbuffai.

Avevamo urgente bisogno di soldi.





***



  

Sbattei la testa contro quello che, a occhi chiusi, mi parve un gancio o un attaccapanni. Ma non ebbi il tempo di accertarmene, perché fui preso e tirato per il lembo della maglia.

Le mani di Luca erano ovunque sul mio corpo, così come le sue labbra. Nemmeno eravamo entrati in casa sua che già avevamo iniziato a baciarci e a strusciare i nostri corpi l'uno contro l'altro.

Non respiravo e non avevo il coraggio di aprire gli occhi, ma mi facevo trasportare solo da quello che stava accadendo nel mio cervello. Un forte e impellente desiderio che mi stava facendo uscire matto. Dovevo toccarlo, volevo che mi toccasse ancora.

Lui poggiò una mano sul busto e, siccome aveva le dita fredde, rabbrividii e mi uscii un verso poco maschile.

Rise e io con lui, per poi continuare a baciarci senza freni, con foga.

La sua bocca percorse l'intero perimetro del mio collo, poi scese più in basso e morse la pelle appena sopra la clavicola; respirai a bocca aperta e lasciai andare il capo all'indietro, godendomi ogni momento.

Stavo bene e non volevo che quella sensazione passasse.





***





Quando mi ripresi dalla sbornia che il sesso con Luca mi aveva provocato, mi resi conto di ciò che avevo fatto. Trasportato dall'ebrezza del piacere della carne, non mi ero accorto di essermi "concesso" a Luca al primo appuntamento, anche se non si poteva nemmeno definire tale. Dovevamo vederci, certo, ma non si era mai parlato di un'uscita con un'intenzione particolare e nemmeno lo conoscevo chissà quanto per poter dire con certezza che fosse gay o che gli piacessi.

Eppure, erano bastate poche parole e pochi tocchi non voluti per far scoppiare la passione tra di noi. E, devo ammetterlo, ero stato più che altro io a volerlo.

Soprattutto per questo motivo, mi sentivo tremendamente in colpa.

«Scusami, davvero. Non so che mi è preso» mormorai. Mi puntellai sui gomiti, mentre lui mi passava un bicchiere d'acqua. Lo afferrai. «Non ho mai fatto una cosa simile, io...»

«Donato» mi bloccò lui. «Non serve che ti giustifichi. Siamo adulti.»

Già. Peccato che io mi sentivo comunque una merda per aver fatto sesso con lui a quel modo e, ora, il fatto di averlo a pochi centimetri da me, in piedi e completamente nudo, di certo non mi aiutava a farmi passare quell'orribile sensazione.

«Lo so, è solo che...»

Il suo tocco calmo e dolce fermò di nuovo le mie parole. Si era abbassato su di me per alzarmi il mento con l'indice e il pollice della mano destra e ora mi fissava intensamente negli occhi. Non sapevo come comportarmi. Ora, oltre che in colpa, ero anche in imbarazzo.

«Non ha importanza, okay?»

Annuii.

«Bene» disse, poi mi baciò. Un bacio veloce e secco.

Si venne a sedere nel letto accanto a me e mi costrinse a stendermi ancora, nonostante in realtà volessi solo rivestirmi e andare via. Non avevo mai fatto sesso con nessun altro uomo a parte Mirko, e ora dividere lo stesso letto con una persona che non fosse lui mi inquietava e allo stesso tempo mi intristiva. Poteva significare che avevamo chiuso per sempre, io e Mirko? Ero passato oltre, andando a letto con Luca?

«A che pensi?» mi chiese lui, mentre mi accarezzava piano il braccio e le spalle.

«Al fatto che non mi era mai capitata una situazione simile, davvero. Fare sesso con uno s...» Mi arrestai giusto in tempo. Dargli dello sconosciuto non sarebbe stato carino, anche se in fondo era quello che era. «Insomma... noi non... non...»

«Non ci conosciamo?»

«Già.»

«Possiamo sempre rimediare.»

Risi. «Di solito non dovrebbe essere così. Ci si dovrebbe prima conoscere e poi fare sesso.»

«E per quale motivo?» Luca si sporse di nuovo su di me e me lo ritrovai a pochi centimetri dalla bocca. D'istinto, indietreggiai. «Chi lo dice che debba andare così?»

«Nessuno, certo» ne convenni. «Solo che non vorrei mai che uno dei miei fratelli si comporti in questo modo e ora io...»

«Ecco, vedi? Abbiamo scoperto che hai dei fratelli. Quanti esattamente?»

Sorrisi e scossi il capo. Non ero sicuro che sarebbe stato in grado di capire o di credere alla nostra storia. «Non so se lo vuoi sapere davvero.»

Lui aggrottò le sopracciglia. «E perché?»

«Sono in sette.»

Sbatté le palpebre, colpito. «Wow.»

«Già.»

«E vivete tutti insieme, sotto lo stesso tetto?»

A quel punto, per non costringerlo a farmi un interrogatorio, gli raccontai tutta la nostra storia. Gli dissi dei miei genitori, della responsabilità che mi ero preso. Gli parlai di ogni componente della nostra strana, nonché rumorosa famiglia e gli esposi anche le mie preoccupazioni, tralasciando la questione dei soldi. Lo feci soprattutto perché non sembrasse che stessi elemosinando qualcosa che di certo non avrei potuto chiedergli e anche perché non volevo fargli pena.

Parlare dei tuoi problemi personali non è consigliato al primo appuntamento e nemmeno se vuoi far colpo su una persona, ma lui aveva chiesto di loro e io avevo rotto gli argini senza rendermene troppo conto.

Capii che non era per niente male parlare con lui, o forse era solo il parlare con qualcuno di cui avevo bisogno. Da mesi ormai non facevo altro che tenermi tutto dentro e fu molto, ma molto liberatorio poter per una volta essere al centro dell'attenzione ed essere compatito, anziché compatire gli altri.

«Pensi di riuscire a risolvere prima che gli assistenti sociali tornino all'attacco?»

Scossi le spalle. «Sinceramente non lo so. Ma non mi darò per vinto.»

«Non devi infatti.»

Mi sorrise di nuovo e, nonostante ancora fossi in imbarazzo, ricambiai il sorriso. «Non lo farò. Il punto è che ci sono alcune cose che non so proprio come risolvere...» Ripensai a Giovanni e alla situazione che proprio non sapevo gestire con lui. Scrollai il capo. «Lascia stare, non ha importanza. Cioè ce l'ha, ma non credo sia questo il momento di parlarne. Dimmi di te, invece. Cosa fai quando non lavori alla farmacia?»

Luca iniziò a parlarmi di ciò che amava fare quando non lavorava e scoprii che era una persona molto diversa da me. Per esempio, gli piaceva andare a ballare; mi parlò di locali di cui non avevo mai sentito nemmeno il nome e non credevo esistessero in realtà. Locali fatti "solo per noi". Furono proprio queste le parole che usò.

Non ero mai stato in un locale per gay, a stento avevo avuto il coraggio di continuare la mia relazione con Mirko, nonostante gli impedimenti di mio padre, figuriamoci se avevo mai considerato l'idea di andare in un luogo del genere. Sarebbe stato liberatorio vivere la mia sessualità in un posto dove non avrei dovuto nasconderla, ma non mi sentivo comunque in grado di farlo.

«Non credo ci andrò mai» gli dissi, allora.

«E perché? Guarda che è divertente e nessuno ti giudica.»

Che bello, pensai. Però dopo pensai a tante altre cose che mi fecero cambiare idea nell'immediato. Se qualcuno di mia conoscenza mi avesse visto entrare in un locale gay, cosa avrebbe pensato? Anzi, cosa avrebbe detto? Non potevo rischiare che si venisse a sapere, o che i miei fratelli lo venissero a sapere in questo modo.

«Lo so, però questo genere di cose non fanno per me. Non mi fraintendere, non andrei nemmeno in una discoteca normale.»

«Normale?» ripeté lui, arcuando un sopracciglio.

«Beh... sì.»

Luca rise. Fu una risata forte, canzonatoria. Non capii cosa ci trovasse di così divertente in quello che gli avevo appena detto.

«Donato, tu sei omofobico.»

«Cosa?» Mi alzai di scatto, mi misi seduto e lo fissai interrogativo. Come poteva dire una cosa del genere? «Come osi?»

«Non offenderti» fece, mentre si sistemava nella mia stessa posizione. «Non te ne accorgi, ma interiorizzato hai qualcosa in te che ti fa essere razzista con quelli come te.»

«Non è vero.» Scossi la testa con decisione, muovendomi e alzandomi dal letto. Cercai i vestiti e in fretta rimisi mutande e pantaloni. «Non sono razzista, soprattutto con quelli come me.»

«Ah sì? Allora ascolta: vieni una di queste sere con me. Conosco un locale dove ogni venerdì sera ci si può vestire come si vuole, alcuni uomini si travestono da donne...» Si bloccò, sospirò. «Ecco, vedi? Non te ne sei accorto, ma hai fatto una smorfia disgustata. Il tuo corpo parla per te, Donato.»

D'istinto, mi toccai la pelle delle guance. Luca aveva ragione, non mi ero reso conto di essermi lasciato andare a una smorfia di disgusto. La mia mente diceva che non c'era niente di male se un uomo indossava i panni di una donna, ma mentre, in quel momento, l'immagine di un uomo travestito mi si palesava davanti, sentii le mie labbra stringersi di nuovo.

Alzai gli occhi su di lui, sconvolto.

«Io non...»

Mi fermai perché proprio non sapevo come giustificarmi. In fondo, non c'era proprio niente che potessi dire per fargli cambiare idea, considerando che anch'io iniziavo a pensarla come lui.

«Ascolta, devo... devo proprio andare. Si sta facendo tardi e...»

«Certo» mi interruppe lui.

Restammo in silenzio, fissandoci l'un l'altro. Lo squillo del mio cellulare ci fece sobbalzare entrambi. Risposi subito. Era Corrado.

«Dove sei? Devi tornare a casa: Giovanni...»

Il resto della frase fu inghiottita dai rantoli e dal casino che sentivo in sottofondo.

«Cosa? Corrado?»

«Corri!»

Non me lo feci ripetere due volte. Presi tutte le mie cose e corsi fuori dalla casa di Luca. 



Buon giovedì, ragazze!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

A presto, 

Mary <3

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