Codardo

Spinsi Giovanni nella mia camera da letto, chiusi la porta e respirai a fondo per trovare il coraggio per intavolare il discorso.

«Che ti prende?» chiese lui.

«Che ti ha detto Luca?» contraccambiai la domanda.

Lui scrollò le spalle, per nulla in ansia quanto me. Ma suppongo che fosse normale, lui non aveva nulla da temere, al contrario di me. «Mi ha detto che una sera sei stato così gentile che l'hai accompagnato in un locale gay dove voleva andare e che da allora non ti ha più sentito.»

«Tutto qui?»

«Sì, tutto qui.»

Meno male, pensai. Mi sono preoccupato senza motivo.

«Perché, cos'altro avrebbe dovuto dirmi?» continuò Giovanni.

«Nulla, io...» Ripresi fiato per qualche secondo, cercando delle scuse o comunque un'idea per cambiare argomento, che per fortuna mi venne. «Ero solo preoccupato che avesse potuto dirti qualcosa riguardo le pillole. Sì, insomma, quelle che stai prendendo.»

Giovanni si irrigidì. Avevo colto nel segno. «Cosa avrebbe dovuto dirmi delle pillole?»

«Non lo so, magari qualcosa riguardo il dosaggio. So che è sconsigliato smettere all'improvviso e pensavo che ti avesse dato consigli su come farlo gradualmente, anche perché non credo che tu possa prenderle per sempre.»

«Già» concordò, per poi abbassare gli occhi sul pavimento. «Puoi chiederglielo tu, la prossima volta che lo senti?»

Sorrisi. «Certo.» Se mi serviva una scusa per parlare con Luca e chiarirmi con lui una volta per tutte, si può dire che l'avevo trovata.

«Grazie. Credo che andrò a dormire. A Corrado ci pensate tu e Simone?»

«Sì, non preoccuparti.»

Giovanni annuì, poi si diresse alla porta. Pose la mano destra sulla maniglia della porta e un attimo prima di aprirla mi chiese: «Non sei gay, vero?»

Quel "non" prima di "sei", quel "vero" dopo "gay", ma soprattutto il sorrisetto beffardo e quasi a presa per il culo che mi concesse dopo la domanda, mi spinse a pensare che, se avessi risposto affermativamente, non l'avrebbe presa bene, così come non l'avrebbero presa bene gli altri miei fratelli. Non era il momento per fare il mio coming out e né tanto meno per presentare loro Mirko, ma devo ammettere che quella domanda contribuì molto ad alimentare la mia paura di espormi.

«No, certo che no.»

Non aggiunsi altro perché sapevo che le bugie non ero bravo a dirle e che soprattutto queste ultime si riconoscono dai troppi dettagli non necessari che aggiungiamo per l'ansia di essere convincenti. Riuscii però a convincere mio fratello, che mi lasciò da solo nella stanza dopo aver fatto sparire quel dannato sorrisetto.

Restai per qualche minuto in camera mia e di Simone, e poi raggiunsi quest'ultimo nel salotto. Aveva fatto stendere Corrado sul divano, gli aveva messo un plaid addosso e un secchio per dell'eventuale vomito di fianco, sul pavimento. Mi disse che gli aveva dato gli antidolorifici che aveva comprato Giovanni e che gli aveva anche misurato la febbre, ma che per fortuna non sembrava averla. I segni sul volto di Corrado erano sempre visibili, ma almeno non era rimasto nulla del sangue incrostato e ora che aveva gli occhi chiusi non sembrava nemmeno così terribile il suo aspetto. O almeno non terribile come mi era sembrato appena lo avevo visto.

Simone e io ci sedemmo sulle due poltrone poste ai lati del divano e rimanemmo in silenzio per tutto il tempo per non svegliare Corrado. Dopo circa una mezz'oretta, Simone mi disse di aver bisogno di dormire perché l'indomani toccava a lui andare ad accompagnare i ragazzi a scuola e allora mi lasciò da solo con Corrado.

Mio fratello dormiva poco serenamente, da quanto sembrava dal movimento degli occhi, da sotto le palpebre chiuse, e dagli spasmi dei muscoli delle gambe. Avrei voluto svegliarlo e chiedergli cosa stava sognando, ma non ebbi il coraggio di farlo e lui si ridestò dopo poco.

«È inutile che ti metti qui a osservarmi» mi disse, con astio. «Sto bene, puoi anche andare a dormire.»

«Ho paura che durante la notte possa servirti il mio aiuto.»

«Non credo. Non ho mai avuto bisogno del tuo aiuto.»

Sospirai e mi alzai in piedi. Mi andai a prendere dell'acqua per calmarmi e per non farmi prendere dalla rabbia. Sapevo che non era arrabbiato con me, ma avevo bisogno di ripetermelo più volte.

«Sei ancora qui?»

Dalla posizione in cui mi trovavo potei vedere che teneva gli occhi chiusi, ma com'era evidente non era riuscito ad addormentarsi.

Non risposi. In silenzio mi andai a sedere di nuovo sulla poltrona accanto a lui.

«Sei ancora qui» affermò, dopo poco.

«Perspicace» ironizzai, prima di mandare giù dell'altra acqua.

«Non ne ho bisogno.»

«Lo so.»

Lui aprì gli occhi e si girò a guardarmi, sorpreso da quanto gli avevo appena confessato.

«Ma non me ne vado» aggiunsi, assicurandomi di incastrare lo sguardo nel suo.

Corrado perse quasi subito l'espressione da duro che aveva provato ad assumere durante quel botta e risposta tra noi; richiuse gli occhi e tornò a dormire.

Passai l'intera nottata ad assicurarmi che stesse bene.





***




Corrado si finse arrabbiato con me per ancora un paio di giorni, durante i quali, poi, non la smise di essere scorbutico e antipatico con tutti. Si beccò qualche rispostaccia da Giovanni, mentre gli altri, soprattutto i più piccoli, ci rimanevano male per come li trattava e ogni volta dovevo spiegare loro che Corrado era nervoso. Speravo solo che quel nervosismo passasse in fretta, anche se mi rendevo conto che non fosse facile, soprattutto dopo ciò che aveva scoperto. Non doveva essere semplice passare sopra o comunque dimenticare una cosa del genere. Era un dolore che capivo.

Dopo aver chiuso la scuola di danza, una sera prima di tornare a casa, mi trovavo in fila in farmacia, deciso a parlare con Luca. Mi ero dovuto portare dietro Martina, dato che non si sentiva bene e volevo che il farmacista la visitasse, e inoltre ne avrei approfittato anche per parlargli di Giovanni e delle pillole che non stava prendendo. Anche se, in tutta onestà, mi premeva chiarire con lui il nostro rapporto.

Quando fu il mio turno, gli sorrisi e lui si concentrò principalmente su Martina, che non la smetteva di starmi attaccata al collo e di sbuffare per la noia e per il mal di testa.

«Credo abbia la febbre» gli dissi mentre tastavo la fronte a Martina. In realtà non era così calda, ma volevo comunque essere sicuro che non le stesse venendo un'influenza o qualcosa di simile.

«Vieni qua, piccola» disse lui a Martina, allungando le braccia per farsela passare. Luca la prese in braccio e poi mi disse: «Vieni. La faccio visitare dal medico.»

Disse al suo collega di occuparsi lui degli altri clienti e poi mi condusse nel retrobottega. Lì c'era un medico che stava misurando la pressione a un'anziana signora e che si occupò subito di mia sorella, quando la donna fu rassicurata.

Con la coda dell'occhio mi assicurai che Martina stesse bene, mentre Luca mi prendeva da parte.

«Mi sei mancato» pronunciò, prima di provare ad avventarsi sulle mie labbra, ma lo fermai.

«Aspetta. Non sono qui per questo. Volevo parlarti di una cosa abbastanza seria.»

«Mi spaventi così.»

Sospirai e presi coraggio. «Lo so che la tua vita è diversa dalla mia, ma questo non ti giustifica dall'andare a dire con semplicità ai miei fratelli che una volta sono andato in un locale gay. Penso sia una questione di rispetto e se non mi va di dire loro di me, dovresti rispettare la mia scelta.»

Ci avevo riflettuto tanto, dopo aver parlato con Giovanni, ed ero arrivato alla conclusione che nessuno poteva costringermi a fare ciò che in effetti non mi andava e che al solo pensiero mi faceva stare male.

«Non so cosa ti abbia detto tuo fratello, ma non mi sarei mai azzardato a fare una cosa del genere.»

«Mi ha detto che non ci sentivamo dall'ultima volta che siamo andati insieme al locale gay. Ha usato proprio queste parole, locale e gay.»

«Ma io no. Gli ho detto che non ci sentivamo dall'ultima volta che siamo stati al Frequency. Forse lo sa di suo che è un locale gay, perché io di certo non ho usato queste parole.»

«È più o meno la stessa cosa, se ci pensi. Non ho idea di come mio fratello sappia che il Frequency è un locale gay, ma sei sceso troppo nei dettagli e non dovevi.»

«D'accordo. Scusami» fece lui, avvicinandosi di un passo a me. «Però tu non è che ti sia comportato tanto bene nei miei confronti. O sbaglio?»

«No, hai ragione.» Abbassai il capo e ripresi fiato. «E ti chiedo scusa per come mi sono comportato. Quella sera ho frainteso e mi dispiace per come è andata, però... Però, ecco, dopo quella sera ho rivisto il mio ex, con cui mi ero preso una pausa, e...»

«Ed è riscattata la scintilla?» incalzò lui, guardandomi beffardo.

«Esatto.»

Luca annuì, comprensivo. «Mi sembra giusto che riprovate a stare insieme. Certo, mi dispiace perché mi piacevi, ma detto tra noi non sarei mai stato il tuo tipo e forse non lo sono mai stato nemmeno prima.»

Luca aveva colto nel segno, tuttavia gli dissi: «Forse non è adesso il tempo per noi, ma di sicuro mi piacevi tanto anche tu.»

Luca sorrise e il medico ci interruppe per dirmi che Martina era solo stanca e che per fortuna non aveva né l'influenza né altro di preoccupante. Mi consigliò di farle mangiare qualcosa di leggero ma nutriente e di metterla a letto il prima possibile.

La presi di nuovo in braccio, mentre Luca mi conduceva all'esterno della farmacia.

«Tuo fratello sta molto bene, comunque» affermò lui.

«Ne sono felice. Ero venuto a chiederti di lui, ma poi... Insomma, pensi che possa smettere del tutto di prendere le pillole? In realtà, a essere sinceri ho scoperto che non le prende oramai da giorni...»

«Allora se è così è sconsigliabile farlo riprendere. Meglio se continua a non prenderle. Certo, se me l'avesse detto sarebbe stato meglio: avrei potuto consigliargli di ridurre il dosaggio o altre pillole più leggere. Ma l'importante è che lui si senta bene. Se poi dovesse avere bisogno di altro, non esitare a chiamarmi.»

«Certo. Lo farò.»

Restammo in silenzio per qualche secondo, tempo nel quale mi resi conto che Martina si era addormentata.

«Sarà meglio che vada» sussurrai, allora.

«Certo. Ti auguro il meglio.»

Sorrisi. «Anche a te.»





***





Dopo cena, quella sera, parlai con Giovanni. Gli dissi, mentendo, che Luca mi aveva consigliato di smettere le pillole senza problemi, anche perché non potevo dire a mio fratello che avevo scoperto che comunque non le stava prendendo ormai da giorni.

Lui, fingendo, rispose: «D'accordo, allora non le prenderò più.» E tutto contento se ne andò a dormire.

Sospirai pensando che forse le mie preoccupazioni per lui potevano anche cessare di esistere, ma non mi conveniva abbassare la guardia o chissà cosa sarebbe potuto accadere. Giovanni stava bene, ma la sua mente era molto più debole di ciò che mi aspettavo ed era saggio non lasciarsi andare troppo.

In quel momento avrei tanto avuto bisogno di parlare con Mirko, tuttavia mi sentivo in colpa perché avevo deciso di ritornare con lui ma di nuovo non completamente. Mirko non mi aveva più parlato di dire ai miei fratelli di noi da quando eravamo tornati insieme, eppure sapevo che l'avrebbe voluto e sapevo che non era giusto stare con lui ma non dargli la piena felicità che meritava.

Così presi il cellulare e gli scrissi: «Sono un codardo e lo sarò per sempre. Sei sicuro di voler stare con me?» 




Buon giovedì, ragazze! Spero che il capitolo vi sia piaciuto... Vi annuncio che ci avviamo verso la fine... 

Al prossimo giovedì, 

Mary <3 

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