9. Perduta

La ferita alla spalla causata dal proiettile si era quasi rimarginata del tutto e non faceva più male.

Il dolore che mi affliggeva ora proveniva da dentro, dal cuore.

Non credevo di essere capace di abbandonare Bucky dopo averlo ritrovato, era contro la mia natura. Eppure l'avevo fatto, per il bene dell'umanità.

Ancora una volta mi ritrovai da sola nel bosco, senza aver il benché minimo dettaglio di dove mi trovassi, con soltanto il sole a darmi l'orientamento. Quale strada avrei dovuto prendere? Quella lungo il fiume, rischiando di essere ben visibile al nemico, oppure quella interna alla distesa verde, incappando in animali selvatici e piante velenose? La natura al momento era il mio ultimo pensiero in qualità di super soldato, il siero avrebbe riparato ad ogni mia distrazione, e la mia forza ed i miei riflessi mi avrebbero protetto da un qualunque predatore, eccetto i soldati dell'Hydra.

Perciò scelsi la seconda opzione e proseguii percorrendo il fitto bosco. Secondo la posizione del sole, mancava poco al tramonto. Avrei dovuto affrettarmi nel procurarmi un'arma e del cibo accendendo il fuoco prima del calar del sole, facendo confondere così la sua luce e il fumo con i caldi colori arancioni del crepuscolo.

Camminando a testa bassa tra le foglie secche e gli arbusti, cercai un lungo pezzo di legno asciutto, privo di qualsiasi nodo e sporgenza. Una volta trovato lo raccolsi e calcolai la sua curvatura naturale; dopo di che cominciai a modellarlo con un grosso masso tagliente trovato lì vicino. Incisi due tacche a ciascun estremo del bastone per poter inserire la corda. Avrei dovuto rischiare e tornare lungo il fiume per trovare del filo da pesca come alternativa per la fune.

Mi affrettai a raggiungere la punta del dirupo per osservare e cogliere un buon punto di discesa.

Sospirai, consapevole che avrei dovuto percorrere l'arrampicata a ritroso, e così feci.

Stando ben attenta a dove mettere i piedi, proseguii nell'impresa facendo un ultimo salto a pochi metri dalla riva. La percorsi per ogni lato finché non trovai quel che cercavo: una canna da pesca un po' malandata, ma con un buon filo ancora resistente. Lo staccai con forza dall'attrezzo e, arrotolandolo, lo misi in tasca.

Ciò che rimaneva dei miei vestiti era poco più di uno straccio: la canotta era strappata in più punti, la felpa copriva poco e niente e i vecchi pantaloni color kaki erano tagliati ai lati delle ginocchia. Era ciò che quei pezzenti erano riusciti a recuperare per me, per non lasciarmi nuda ai loro occhi, ed era ciò che di sano era rimasto dopo la fuga.

Risalii la roccia a fiato corto e, una volta giunta in cima, presi il mio arco e finii il lavoro.

Intagliai velocemente qualche freccia necessaria per cacciare.

Mancava poco più di un'ora al calar del sole, perciò impugnai la mia attuale arma e, con le orecchie tese e gli occhi vigili, stetti attenta a ogni suono e movimento proveniente dal bosco.

Più volte mi girai su me stessa, ingannata dal fruscio delle foglie. Tutto ciò che riuscii a ricavarne a fine giornata fu un misero coniglietto rinsecchito. Lo legai a un cordoncino appeso in vita e cominciai a cercare dei rami secchi per poter accendere il fuoco.

Come postazione trovai un piccolo ceppo ai piedi di un pino, mi sedetti sopra e, dopo aver infuocato il legno, procedetti alla cottura dell'animale.

Eliminai la pelliccia e, una volta pronto, lo spolpai fino alle ossa. Non mi è mai piaciuto farlo, nessuno mi ha mai insegnato a cacciare, ma da quando il siero scorreva nelle mie vene mi sembrava di conoscere ogni manuale di sopravvivenza a memoria, ogni tattica e metodo di organizzazione, di conoscere tutto ciò da una vita. Tuttavia uccidere un animale e mangiarlo poco dopo non rientrava tra le mie volontà. Non che avessi necessariamente bisogno di rifocillarmi, ma dovevo rinsavirmi e riacquisire le forze.

Gli ultimi attimi di luce li trascorsi a lucidare la pistola recuperata in quello stanzino, ripulendola dalle macchie di sangue e dalle impronte con un angolo della canotta.

Dopo che anche il sole andò via, spensi il fuoco e mi distesi sul ceppo con le braccia incrociate sotto la testa e le gambe piegate. Tra una chioma e l'altra degli alberi, potei osservare qualche stella luminosa, dedicando i miei pensieri alle persone più importanti della mia vita.

I giorni a seguire furono duri.

Riuscii a ricavare una brocca per raccogliere l'acqua e dissetarmi: era passato troppo tempo da quando non parlavo né bevevo, e la mia gola era arsa a causa di ciò.

Ero consapevole di non aver necessariamente bisogno di bere o mangiare, ma il compiere determinate azioni mi permetteva di essere aggrappata a quell'umanità che non volevo completamente perdere.

Dopo minuti, ore, giorni di cammino ero riuscita a raggiungere quella parte di mondo collegata a una città. Percorsi un sentiero selciato sperando mi portasse in una qualsiasi località e, da lì, poi sarei ripartita.

Ma verso dove? La risposta a ciò mi era ancora ignota.

Avrei dovuto trovare un riparo? O fuggire in eterno per il mondo aspettando che l'Hydra scompaia? Oppure decidere di affrontarli uno ad uno ogni qual volta mi si presentavano davanti?

Se non avessero catturato me allora avrebbero usato Steve, e non potevo permetterlo. Mi ero ripromessa di combattere e così avrei fatto.

Ero sempre vigile, sull'attenti, pronta a essere attaccata e attaccare, a essere preda e predatore.

Percorrendo la via trovai un cartello con su scritto "Welcome to Dover".

- Dover... - mormorai a me stessa.

- Ok, vediamo cosa mi offri.

Oltrepassai quel confine invisibile che divideva Dover dal viale percorso finora. Il bosco ai miei lati proseguiva per qualche altro metro prima di dar spazio a piccole casette e negozietti di antiquariato e souvenir. Giunsi in quella città nel tardo pomeriggio - seguendo sempre la posizione del sole - e la prima cosa a cui pensai fu un rifugio. Ricordai di non avere soldi con me, perciò avrei dovuto guadagnarli in qualche modo in quei giorni, oppure derubare qualche benestante sporcandomi l'onore. L'avrei escluso a priori. Anzi, quasi mi sorpresi di aver anche solo formulato un pensiero simile.

Scossi la testa esausta dopo aver affrontato quel viaggio, dopo aver perso fin troppo in così poco tempo. Non avrei mai dovuto perdere di vista il mio obiettivo nonché peggior nemico: l'Hydra.

Guardarsi le spalle e non fidarsi di nessuno in casi come questi era la prima regola di sopravvivenza. Non mi sarebbe risultato difficile, ma non potevo continuare in eterno a fuggire evitando qualsiasi rapporto umano.

Diventerò pazza, un giorno - pensai.

Avevo bisogno di un piano di attacco, ma in quel momento il mio cervello reclamava una pausa.

Avrei tanto voluto tornare a Brooklyn, da Howard, da Steve e da quella normalità che cominciava a mancarmi. Avrei voluto tornare indietro nel tempo e rivivere i miei giorni con papà al mio fianco.

Quasi rimpiansi di essere diventata un super soldato, ma se c'era qualcosa a cui in quel momento dovevo la vita era proprio il siero.

Percorrendo un viale di quella che doveva essere la periferia, mi fermai dinanzi un piccolo locale con la porta usurata e un'insegna decadente con su scritto "ostello".

- Meglio di niente. - dissi con voce rauca.

Aprii la porta di quel posto facendo tintinnare la campana a vento attaccata al soffitto. Misi un piede sul tappeto logoro con una vecchia scritta per metà cancellata, il parquet scricchiolò sotto il mio peso.

- Buonasera! - ad accogliermi era un'anziana sull'ottantina con i capelli grigi legati in uno chignon.

- Vuole una camera?

- B-buonasera - balbettai confusa guardandomi attorno - sì, ecco io...

- Sono dieci penny - mi interruppe sorridendomi.

- N-non ho nulla con me. - pronunciai a fiato corto - ho dovuto affrontare un lungo viaggio sopravvivendo nel bosco dando la cacciai ai conigli con questo - dissi indicando l'arco in legno costruito da me - è tutto quel che ho.

- Mi spiace allora, credo di non poter far nulla per lei. - sospirò dispiaciuta.

- Se non reco disturbo potrei dormire anche qui sui divanetti della hall. - proposi sfacciata.

L'anziana sembrò provar pena per me guardandomi da testa a piedi e sospirò. Girò su se stessa prendendo un mazzo di chiavi appese alla bacheca alle sue spalle.

- Tieni queste cara, camera 3, spero tu riesca a riposarti come si deve. Se dovessi aver bisogno di qualcosa non esitare a chiedere.

Fui colta di sorpresa da quel gesto di pura bontà e sgranai gli occhi sorridendo riconoscente.

- Ci sarebbe una cosa, veramente...

- Degli abiti nuovi? - mi interruppe nuovamente, sorridendo a metà tra il divertito e il compassionevole - posso procurarteli dalla biancheria. Molte persone qui lasciano la loro roba sbadatamente.

- Non sarebbe male, la ringrazio.

- Puoi darmi del tu. Chiamami Adelle, se ti va. - mi sorrise dolcemente e io annuii riconoscente - cos'altro volevi chiedermi?

- Sapresti procurarmi una mappa?

- Della città? Dover non è poi così grande.

- C-certo ma sa, ho intenzione di continuare con questo mio lungo viaggio e avrei bisogno di una cartina geografia. Se non è possibile non fa nulla, io...

- Le trovi sul quel piccolo mobile alle tue spalle - mi interruppe continuando a sorridermi. Credo sia il suo punto forte interrompere le persone.

Scossi la testa divertita - sono sempre state così vicine a me, non è vero? - ne presi un paio e le misi in tasca.

Rigirai le chiavi tra le mani - camera 3 - mormorai tra me stessa e salii le scale.

- Vengo a portarti gli indumenti tra non molto - urlò Adelle dal piano inferiore.

Solo in quel momento mi accorsi di essere sola in quel ostello, le altre camere erano tutte vuote.

Aprii la porta, anch'essa mal ridotta come il resto del palazzo, e la richiusi alle mie spalle una volta entrata nella stanza.

C'era un letto con le lenzuola color panna, un comodino al suo fianco con sopra una abat-jour, una piccola finestra che dava sulla strada e un'altra porta che dava al bagno: c'era soltanto un lavandino con sopra uno specchio e un mobiletto in cui poter poggiare i propri oggetti, una doccia e un gabinetto.

- Il minimo essenziale, mi andrà bene.

Mi tolsi gli indumenti sporchi gettandoli a terra e aprii il getto dell'acqua calda della doccia.

Nell'attesa che essa raggiungesse la temperatura ideale, mi dedicai al mio riflesso nello specchio: era il mio viso quello di fronte a me, eppure mi sembrava di vedere un'altra persona, diversa, matura. Gli occhi vitrei non erano trasmettevano più quell'azzurro luminoso, erano opachi, spenti e scalfiti da tutti quegli eventi negativi accaduti fino ad allora. Le labbra secche e screpolate, le ossa delle spalle incavate.

O forse erano soltanto mie sensazioni, perché il siero aveva riparato anche a quell'aspetto di me nascondendo tutto il dolore che provavo e mostrando solo il volto di una vera guerriera.

Eppure dentro di me sentivo ogni cosa rompersi, come tanti pezzi di un vetro che si sgretolano cadendo a terra in frantumi.

"Frangar, non flectar" pronunciai a quella guardia nella cella, e più volte continuavo a ripetermelo per autoconvincermi.

Sospirai entrando nella doccia e lasciando che l'acqua scorresse limpida sulle mie spalle.

Da giorni ormai la mia mente era percorsa da una sorta di rituale masochista: immagini di mio padre, Steve e poi Bucky si susseguivano nei miei pensieri.

Gli incubi erano sempre gli stessi: papà che mi diceva di essere deluso, Bucky che mi implorava di non lasciarlo andare, Steve che camminava lontano da me dandomi le spalle.

Avevo perso troppo, avevo perso tutto e questo mi faceva sentire terribilmente sola e vuota.

James mi aveva promesso di restare al mio fianco, di non abbandonarmi mai e di affrontare con me questa tempesta. Eppure lo stesso James mi aveva implorato di scappare lasciandolo lì da solo.

Avevo promesso a papà di tenere gli occhi aperti su di Steve e di combattere l'Hydra - indirettamente - al suo fianco. Gli avevo detto che l'avrei reso orgoglioso di me, che quella era stata la scelta giusta e che non se ne sarebbe mai pentito. Avevo torto, avevo torto marcio su tutto.

Quanto a Steve... la vita al suo fianco ora non sarebbe così dolorosa.

Piccole gocce di lacrime si univano allo scroscio dell'acqua confondendosi.

Qualcuno bussò alla porta d'ingresso e poco dopo entrò. Supposi essere Adelle che lasciava gli abiti sul letto. Andò via dopo poco, così decisi anch'io di uscire dalla doccia: avvolsi il mio corpo in un telo presente nella stanza e raggiunsi la branda per recuperare i vestiti.

La dolce anziana, oltre a quelli, aveva lasciato anche del cibo e un biglietto con su scritto: "Questi dovrebbero andarti, mi sembravano della tua misura. Prendi anche del cibo, ti servirà per riprendere le forze e affrontare il tuo viaggio domani. Per qualsiasi cosa non esitare a chiedere, mi trovi al piano di sotto. Adelle."

Sorrisi riconoscente alla vecchia e indossai quei caldi indumenti che era riuscita a procurarmi.

Non tutto è perduto, mormorai a me stessa.



Nota Autrice

Come promesso, eccomi qui!
Sto cercando di scrivere quanto più possibile in modo da pubblicarvi un altro capitolo questa settimana per poi rivederci dopo il 16 agosto!

Ancora una volta devo dire infinitamente grazie a SeleneGreen per avermi aiutata a revisionare questo capitolo, senza di lei a quest'ora molte cose risulterebbero più banali di quanto già non lo siano. Per cui, grazie tante cara!
Ero fin troppo indecisa per la stesura di questo chapter 9, ma lei è sempre pronta a darmi una mano. Mi commuovo ç_ç

Vi prego di dirmi cosa ne pensate del capitolo e della storia, se vi piace come sta procedendo oppure va troppo a rilento e volete più azione.

Lasciate una stellina e un commento, ne sarei molto felice ^^
Detto questo, alla prossima!

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