19. Buongiorno, soldato

Non seppi quantificare il tempo trascorso sotto tortura in quel laboratorio di scienziati pazzi. Stavo quasi per perdere la ragione, quasi. O forse ci erano riusciti senza che me ne rendessi conto.
Ero caduta di nuovo nella loro trappola, prigioniera della morte.
All'inizio segnavo delle lineette sul muro della mia cella con un sassolino capitato lì per 'caso' dopo la caduta di un calcinaccio a seguito di una scossa di terremoto, incredibile come quel posto si tenesse ancora in piedi. Ero consapevole di dove fossi e rassegnata al mio destino, stanca perfino di combattere. Spesso tornavano a tormentarmi i miei dannati pensieri sulle promesse infrante e sul senso morale che un soldato come me doveva mantenere anche in circostanze come queste. Perché? Infondo sono un essere umano anch'io, avrò il diritto di sopravvivere senza pensare costantemente al prossimo, no?
Eppure ogni volta che mi lasciavo andare, il senso di colpa prendeva il sopravvento.

Combatti! Continuava a ripetermi una vocina dentro di me. Per te, per Steve, per tuo padre, per il mondo.
Provai ad adottare una tecnica diversa. E se mi fingessi una di loro nascondendo le mie vere volontà? No, sarei stata poco credibile e mi avrebbero scoperta subito.
Cosa dovevo fare, abbattere quelle sbarre con la mia forza oppure rimanere lì assecondandoli per scoprire quanto più possibile e annientarli dall'interno?
La porta blindata del sotterraneo dove mi trovavo si aprii e passi pesanti si muovevano verso di me.

Nella flebile luce proveniente dal corridoio esterno, oltre la porta, potei mettere a fuoco – con difficoltà – la figura di una guardia.

- Erskine – pronunciò il mio vero cognome con quel suo accento russo – devi seguirmi.

- E se non volessi? - lo provocai e la sua risposta non tardò ad arrivare con un sorrisino saccente su quel suo volto di merda.

Con una mano frugò nella sua tasca cacciando un tirapugni e indossandolo.

- Non sarà piacevole – lo guardai confusa e preoccupata, poi mi colpì dritto in faccia stendendomi all'istante.

Capii di non aver altra scelta che assecondarli, d'altronde non avevo più energie per farlo.



La routine era "semplice" seppur tormentata:

1. Due giorni – credo - legata in quel laboratorio a subire torture che solo Dio sa.

2. Finito il lavaggio del cervello, venivo trascinata in cella priva di sensi nell'attesa di riprendermi e questo avveniva dopo...

3. ... una settimana senza mangiare e senza vedere la luce, abbandonata al rumore dei miei pensieri e al silenzio assordante di quel posto. Non captavo nulla di tutta quella struttura, né quanto fosse grande, né in quanti erano la dentro, né cosa facevano.

Venivo bendata, legata e sballottata da una parte all'altra come se fossi un pupazzo di pezza.
Non mi sembrava nemmeno di essere lì in quel posto, in quel momento. Non ero nemmeno sicura di star subendo tutto ciò. Era come se la mia anima avesse abbandonato il mio corpo e stessi guardando me stessa dall'esterno, in terza persona.
Chi ero io? Ero una russa, una di loro? Un soldato dell'Hydra?
Scossi il capo con forza e mi portai le mani alla testa cercando di placare quei pensieri che mi tormentavano. Gridai più forte che mai, con tutta la poca energia che mi era rimasta in corpo.

Come è potuto accadere tutto ciò?

Le mie preoccupazioni che mi perseguitavano quando ero all'esterno svanirono, così come i ricordi.


Il momento peggiore? Il loro fottuto lavaggio del cervello. Cosa pensavano di ottenere da un super soldato? Davvero erano convinti di potermi controllare e sfruttarmi a loro vantaggio? Si sbagliavano di grosso.

Beh, quasi.

" molodoy

zhenshchina

ne lyubil

slabyy

soldat

obyazannost'

boy

lyubov'

poteryannyy"

"dobroye utro soldat" dicevano, e io rispondevo "gotov soblyudat".

Pronunciavano quelle parole in russo, una lingua che prima di diventare un super soldato mi sembrava sconosciuta ma che ora era parte di me, e per un solo istante era una di loro.
Sentivo ardere dentro di me, come se mi stessero annientando dall'interno, mi mancava il respiro per un attimo e poi perdevo il controllo.
L'effetto durava pochi secondi, ma ero sicura che se avessi trascorso altro tempo lì dentro in quelle condizioni, sarebbero stati capaci di indebolire anche la mia mente.

Possedevano armi troppo potenti, erano estremamente forti e all'avanguardia per quei tempi, in quello stato non avrei avuto alcuno scampo. Pregare non sarebbe servito a nulla, nessuno avrebbe potuto scoprire quella fortezza inespugnabile.
Howard sì, forse, se fosse ancora vivo. Lo era? Quanti giorni, mesi, anni stavo trascorrendo rinchiusa lì?


Ritornarono da me dopo non so quanti giorni, aprirono la cella e mi presero con forza senza dire nulla, lo stesso feci io.
Con gli occhi coperti da un panno nero, cercavo di capire dove mi portavano. No, la strada non era la stessa di sempre.
Sentii aprire una porta e i due energumeni che mi avevano trascinato fin lì mi gettarono a terra come un sacco della spazzatura e chiusero la porta alle mie spalle a chiave.
Mi tolsi la benda e cercai di recuperare fiato. Mi guardai attorno: decine, anzi, centinaia di celle frigorifere con persone – o forse soldati – congelati all'interno. Vicino ad una di esse vi era uno scienziato che premeva dei tasti su di essa. La cella, dapprima con la luce accesa, ora si era spenta.

- 21.53 – disse, e tornò nelle retrovie di quel laboratorio.

Aveva l'aria trasandata di uno che non dorme da giorni, i capelli argentei spettinati e gli occhiali che più volte gli scivolavano sul naso.

- возьми и положи в ячейку 314 – ordinò a qualcuno.

Ci misi un attimo per capire quello che aveva detto, ma ormai era troppo tardi anche per fuggire.
Mi sentii afferrare da dietro prima di essere colpita alla testa, questa volta non bastò a farmi perdere i sensi.
Ero ancora cosciente, vigile, quando mi blindarono nella cella frigorifera. Urlai per il dolore, ma era tutto inutile, presto mi sarei addormentata per un tempo indefinito.



Qualche anno dopo.

Elizabeth era ancora chiusa in quella cella quando tutto accadde.

Un terremoto, anzi no, un incendio divampò nel laboratorio dove anni prima veniva torturata.

Ci fu un boato, poi un altro seguito da colpi di pistola.

Lo scienziato che sorvegliava quel posto era già stato ucciso, ma nessuno aveva liberato lei, l'unica sopravvissuta ai suoi maledetti esperimenti. Le celle erano troppe, nessuno l'avrebbe mai trovata rischiando di morire tra le fiamme.

Ma qualcuno doveva pur farlo, erano lì per quello.

Nick scosse la testa, toccava a lui. I suoi sottoposti erano chissà dove, questa volta ci avrebbe rimesso la pelle ma doveva almeno provarci, altrimenti sarebbe stato tutto invano.

Si coprì il naso e la bocca con una pezza imbevuta e si gettò tra le fiamme. Ci mise un po' a trovarla, dopo aver corso per i corridoi di quell'enorme laboratorio. La cella si apriva con un codice, codice che ovviamente non conosceva. Colpì il vetro con il rinculo della pistola, senza ottenere successo.

- D'accordo – disse tra se e se.

Scosse la testa, "perdonami" - pensò, e sparò contro il vetro frantumandolo in mille pezzi. Tolse le ultime schegge rimaste attaccate e che potevano ferirla dopo averla tirata fuori.

La prese tra le braccia già affaticate. Chiamare aiuto era inutile, nessuno l'avrebbe sentito da così lontano in mezzo a tutto quel trambusto.

- Coraggio – strinse i denti – un ultimo sforzo, possiamo farcela.

Disse più a se stesso che alla malcapitata.

Si portò un suo braccio sulle spalle mentre con l'altro le teneva la vita. Elizabeth era ancora incosciente mentre veniva trascinata in salvo da quel che fino a quel giorno era stato il suo carcere.

Nick provò più volte a chiamarla senza avere risposta. Continuava a risalire le scale fino a raggiungere i compagni che gli corsero in soccorso aiutandolo a sorreggere la ragazza.

Sperò che fosse ancora vita, che tutti quegli sforzi non fossero stati vani.

L'edificio crollava a pezzi, mancava poco e avrebbero lasciato anche loro le penne in quel lurido posto.

- Dobbiamo andarcene, presto! - ordinò correndo verso l'elicottero.



SPAZIO AUTRICE

E IL PREMIO COME PEGGIOR AUTRICE CHE TARDA A PUBBLICARE VA A.... D_YEAR!!

* fischi, grida, applausi *

No davvero, se mi dessero un euro per ogni volta che faccio schifo in qualcosa a quest'ora sarei senz'altro miliardaria!

Non chiedo nemmeno di perdonarmi per questa lunga attesa, non lo merito affatto e ne sono consapevole ç_ç

Ho pubblicato così, di fretta e furia, con ansia e foga di non voler deludervi ancora una volta, perciò se notate OBBROBBRI grammaticali non esitate a segnalarli!

Alla prossima!

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