I would sell my soul for a bit more time
Gli occhi rosso cremisi di Bellamy scintillavano, nell'oscurità serale, ma non di rabbia come ci si sarebbe aspettato, generalmente, dalla semidea. No, non c'era rabbia, nel cuore di Bellamy Findlay, solo paura, e frustrazione, tanta frustrazione, perché anche se aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, si era altrettanto tenacemente tenuta stretta alla speranza che forse, per una volta, una sola volta, tutto sarebbe andato per il meglio. Avrebbe riso, in circostanze diverse, se messa davanti alla sua stessa stupidità. Avrebbe riso, e adesso invece i suoi occhi, sfarfallanti tra il rosso scuro della sua parte divina e l'azzurro, chiaro, annacquato, della sua parte umana, erano colmi di lacrime. Si teneva una mano premuta sul ventre svuotato di vita e sangue, il sapore metallico dello stesso liquido sotto la lingua.
- Tigre... -
Bellamy alzò lo sguardo, con un singhiozzo sofferente, su Andrias, il bel figlio di Chione, il figlio del ghiaccio. Non avrebbe potuto proteggerlo, la dannata dea sua madre? Non avrebbe potuto fermare la dannata motocicletta dallo slittare sulla strada? Non era mai successo prima, a Bellamy, di sbandare, non le era mai successo di perdere il controllo della moto, nemmeno sui terreni peggiori, quindi perché, perché era successo, perché erano entrambi a terra, adesso, perché Andrias non si alzava, perché c'era sangue, sangue ovunque, perché non riusciva a fermarlo? No, doveva essere un incubo, non poteva essere vero, Bellamy non perdeva mai il controllo della moto, mai, mai!
- Ehi, tigre, guardami... -
Ma Bellamy si rifiutava di guardare Andrias negli occhi, si rifiutava perché sapeva bene cosa avrebbe visto – un dolore immenso ma inespresso pur di non spaventarla, pur di non farla preoccupare, un dolore mortale. Perché era bello illudersi di essere infiniti, ma entrambi, un giorno, avrebbero lasciato la Terra, e non necessariamente insieme. Perché era bello illudersi, ma per uno di loro due il cammino stava finendo in quegli stessi istanti.
- Bellamy. -
E no, Andrias non la chiamava "Bellamy", mai, lei era "tigre", o al massimo era "Bells", non era mai "Bellamy", non era giusto, non era giusto e non era vero, Bellamy si pizzicò l'avambraccio, non era vero, era un sogno, un secondo solo, un pizzico solo, e si sarebbe svegliata nel letto, e l'unico sangue sarebbe stato quello di cui era intriso l'armadio, e sarebbe stata tra le braccia di Andrias, non in ginocchio sul cemento.
- Bellamy, guardami, per gli dèi! -
Se quella era la fine, se quello era l'appassire di una vita, Bellamy come poteva dire di no? Si morse il labbro inferiore, un singhiozzo bloccato in gola a creare un groppo, strusciando le ginocchia deboli sul cemento per avvicinarsi ad Andrias. Non riusciva a vedere bene, al buio, da dove venisse il sangue, ma era figlia della morte, lei, e il sangue altrui le era noto come il suo. Era troppo sangue, quello, per appartenere a qualcuno che sarebbe vissuto ancora a lungo. Era troppo sangue, quello, e non era suo, perché se portato alle labbra sapeva di ghiaccio, sapeva di tundre lontane, e labbra desiderose, non sapeva di morte, no, non sapeva di metallo. Non apparteneva a Bellamy, quel sangue.
Non avrebbe iniziato a singhiozzare.
Bellamy Findlay non avrebbe iniziato a singhioz- oh, fanculo.
- Ricordi la promessa? Eh? Bells, devi dirmi che ricordi la promessa. - la voce di Andrias non traballava. Come faceva a non traballare? Come faceva a essere ancora salda, con tutto quel sangue perso? Forse Bellamy stava esagerando, forse era davvero un sogno, i sogni non necessariamente erano coerenti, anzi... anzi... - Devi dire che mi lascerai andare. -
Oh, quanto crudele può essere, il dover guardare la metà di sé che scivola via? Quanto crudele può essere la mortalità, se non si può decidere quando perdersi, mano nella mano, nell'oscurità? Quanta disperazione c'è, in un cuore mortale, nel lasciare qualcuno indietro?
- Non posso. Non posso, non posso, non è giusto, non... - i singhiozzi di Bellamy le scuotevano il petto sporco di sangue, e la ragazza non era una tigre, ma un pettirosso infreddolito troppo impaurito all'idea di aprire le ali e volare via. Un pettirosso che non sa dove andare, se il suo nido crolla davanti a lui. - Non andare via. Non posso restare, se tu vai via. -
Lo sguardo di Andrias aveva preso una piega severa, ma Bellamy se ne infischiò alla bell'e meglio. Non c'era modo in cui Andrias avrebbe potuto fermarla dal riportarlo indietro dagli Inferi, neanche se in cambio della vita del bambino di Chione la potente Melinoe avesse chiesto – cosa di cui Bellamy era sicura – il cuore battente di sua figlia. Andrias sospirò, le dita già fredde che cercavano quelle umide di sangue di Bellamy in una presa che sapeva di preghiera. Schiuse le labbra per dire qualcosa. Ma un rifiuto, in punto di morte, non alletta nessuno. Non avrebbe pregato Bellamy di lasciarlo tra i morti, non di nuovo, perché sapeva che lei non gli avrebbe dato retta.
- Un bacio prima di metterci al lavoro, tigre? - sussurrò, e Bellamy si ritrovò ad annuire, il viso pallido sconvolto dalle lacrime, mentre premeva delicatamente le labbra contro quelle secche di Andrias.
Un ultimo bacio? Così doveva andare, così doveva finire? Bellamy riconosceva il sangue, Bellamy percepiva l'azione delle Moire intorno a sé. Poteva togliere le forbici di mano ad Atropo, poteva pregare Làchesi di tessere ancora qualche giorno, qualche anno di vita per il suo Andrias? Avrebbero ascoltato i lamenti di una semidea come non avevano ascoltato quelli di Danae, o anche Bellamy, come mille altre semidee, come mille altre divinità e donne mortali, avrebbe solo potuto piangere il lutto? Bellamy sentiva chiaramente la vita di Andrias scorrere via con il sangue, lo sentiva scorrere tra le sue dita, e singhiozzava, labbra contro labbra, avrebbe potuto dire addio, ma con che voce, e con che coraggio, se significava allontanarsi? Avrebbe potuto dire "ti amo", ma con che cuore, se era già spezzato? Sentì chiaramente il suono delle forbici di Atropo, e la maledisse a denti stretti, e maledisse il suo cuore per essersi aperto a qualcuno che glielo avrebbe strappato via. Sentì le risate lontane di Melinoe, e l'ultimo battito di cuore di Andrias, vide l'ultima scintilla di vita spegnersi negli occhi dell'amato. Iniziò a piangere, in silenzio, non trovando il coraggio di lasciarlo andare. Non trovando il coraggio di ammettere che, se fosse stato un sogno, si sarebbe già svegliata, tanto era il dolore. Ma se un cuore è già spezzato, tanto vale barattarlo con una vita. Se un cuore è già spezzato, l'offerta di una fine diventa molto più allettante. Soprattutto se, in una lingua perversa propria unicamente degli dei, "fine" significa anche "inizio"...
Bellamy si sciolse i capelli, le dita insanguinate che coloravano di cremisi le ciocche chiare, gli occhi aperti, ora, e rossi, e fissi sul corpo esanime dell'amato. Sbatté le mani a terra, Bellamy, e dalla piccola pozza di sangue caldo partirono schizzi bollenti. Sembrava, a sua volta, un essere di morte, la figlia di Melinoe.
- Invoco Melinoe, fanciulla ctonia, dal peplo color croco, che presso la foce del Cocito l'augusta Persefone generò ai sacri letti di Zeus Cronide, alla quale l'ingannato Plutone si unì con scaltre astuzie, e con l'ira di Persefone tirò fuori un'apparenza dal doppio corpo... -
Gli occhi di Bellamy si dilatarono, neri, ora, più che rossi, nell'accogliere la visione della dea, che vestita di risate e petali candidi le appariva, beffarda quanto bella doveva essere sembrata a suo padre, diciannove anni prima. L'odio stringeva lo stomaco a Bellamy – ma l'invocazione, se incompleta, non avrebbe portato a niente. Si portò le mani sporche di sangue al viso, ne fece una maschera di dolore.
- ...che rende folli i mortali con apparizioni brumose, rivelando l'impronta della forma con visioni strane, talora ben visibile, talora oscura, si accende di notte in attacchi ostili nella notte tenebrosa. -
Melinoe sedeva sui talloni, simile a un gufo, a un predatore notturno, e guardava negli occhi la figlia, e accarezzava con gli artigli il viso privo di emozioni, privo di vita, di Andrias. Sorrideva, ancora, e Bellamy poco avrebbe voluto al mondo quanto strapparle quel sorriso dalle labbra scarlatte.
- Ma, dea, ti supplico, regina di sotterra, di far uscire dall'anima la follia verso i confini della terra, mostrando agli iniziati il sacro volto benevolo. -
- Sono qui, figlia. - ribatté la dea, riconoscendo la fine dell'inno, al che Bellamy arricciò il naso. - Mi vedi: inutile continuare a chiamarmi. -
- So bene cosa succede a chi non completa il rituale, Melinoe, è inutile cercare di farmi sbagliare. Ho ripetuto queste parole abbastanza da sentirmele nel petto di notte, mentre cerco di dormire. -
- Sapere che almeno una delle mie figlie mi pensa mi è di grande conforto. Ma dimmi, figlia, cosa vuoi da me, stavolta? Cosa vuoi chiedermi? -
Con un sospiro tremolante, Bellamy indicò con il mento il corpo di Andrias. Sapeva che Melinoe lo aveva già visto, sapeva di star sprecando energie invano – ma Melinoe voleva sempre delle risposte alle sue domande.
- Voglio che tu lo riporti in vita. -
- Oh. Richiesta inaspettata. -
- Decisamente. - Bellamy si portò una mano al petto. Presto quel cuore avrebbe smesso di battere. Era pronta a scivolare via? Era pronta ad incontrare Andrias un'ultima volta, mentre lui, ben più fortunata Euridice, risaliva dagli Inferi, e lei discendeva, al fianco della madre, priva della possibilità di vedere di nuovo il sole? Sarebbe stato solo un attimo, solo un incrocio di sguardi, ma a Bellamy sarebbe bastato, se lo sarebbe fatto bastare. - Puoi farlo? -
- No. -
Bellamy sbatté le palpebre. - Che vuol dire, "no"? Devo fare una richiesta ufficiale, su carta bollata, per riaverlo indietro? - ringhiò, la gola arsa, gli occhi pesanti di stanchezza. Vedeva Melinoe sfarfallare davanti a sé, la vedeva ridere.
- Non puoi riaverlo indietro, bambina. No... - Melinoe posò la mano, gelida, sulla bocca di Bellamy, per impedirle di parlare. - No, bambina mia, non basta nemmeno il tuo cuore, come pagamento. -
- Allora cosa? - Bellamy, afferrato il polso della madre, lo aveva scansato, gli occhi di nuovo rossi, colmi di magia che però non era abbastanza da riportare in vita il compagno. - Cosa vuoi, per riportare Andrias qui? -
Melinoe si era alzata in piedi, ora, meravigliosa, Bellamy doveva ammetterlo, nella sua divinità. Divinità che Bellamy non avrebbe mai avuto, bloccata in quella dimensione di mezzo che tanto detestava, più forte di un essere umano, infinitamente più debole di sua madre, di cui era pupazzo in balìa.
- Ho sempre dovuto pagare con un pezzo di me per le persone che amavo. Cosa c'è di diverso, adesso? Sono disposta a dartelo, il mio cuore! Sono disposta a venire con te negli Inferi, perché so che è questo che vuoi, una figlia amorevole che scelga te, per una volta, e non il mondo umano! Allora perché mi dici di no? Perché mi dici di no? - gridò, alzandosi anche lei, tremante per la debolezza, cercando di toccare la madre, che era però ridotta ad aria. Una visione. Melinoe si presentava sempre come visione. Bellamy non avrebbe saputo descriverne il tocco.
- Perché è troppo poco, il tuo cuore, per qualcuno che ami. È troppo poca, la sofferenza che ti infliggerei riportando in vita lui, uccidendo te. - Melinoe passò le dita fantasmagoriche tra i capelli di Bellamy. - Non trovi che sia più divertente così, bambina? Non trovi che sia più da me? -
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