9.
Michael King si sentiva un fuorilegge. In realtà, per lo stato di New York, un po' lo era. In attesa di giudizio, così gli avevano detto.
Lo avevano accusato di aver fatto del male ad altre persone. Del male, forse, era un po' riduttivo: gli era stata appena data la lieta – lieta si fa per dire – che le suddette due ragazze in stato comatoso, una delle quali sosteneva che lui fosse il responsabile di quanto accaduto, erano morte di arresto cardiaco.
Michael ci pensò su: la sua mente formò una serie di pensieri che, detti ad alta voce, avrebbero fatto rizzare i capelli a chiunque lo sentisse. Per quel motivo, Michael King se li tenne per sé.
L'unica cosa che voleva fare era uscire da quella storia il più presto possibile e aveva trovato in Christopher Washington il soggetto più papabile a risolvere il suo problema: il padre di Noah era talmente tanto accecato dall'idea di infossare Edward King – o King Edward, come lo chiamavano i suoi... discepoli –, da non vederci poi così tanto chiaro.
Michael fece una smorfia: King Edward. Ah, se solo avessero saputo... che suo padre era un coglione.
Michael osservava Christopher e Noah Washington come se lui fosse un serpente dietro una teca a vetri e loro due bambini allo zoo.
Noah si era dato una ripulita, dovette ammettere: aveva sicuramente detto addio al ragazzino viziato che non faceva altro se non bere alle feste e scoparsi la qualunque. Era simpatico, però, ai tempi. Adesso, con quella cravatta costosa e gli occhi chini sulle scartoffie, sembrava un vero e proprio pinguino incravattato.
Quel giorno, poi, aveva sicuramente la testa da un'altra parte: continuava a fissare lo schermo del suo cellulare, Michael non riuscì a capire, se stesse controllando l'ora o se stava aspettando un qualche messaggio.
Michael sorrise tra sé e sé al pensiero della seconda opzione: Wash innamorato sarebbe stato davvero carino da vedere, se non addirittura patetico.
Michael strinse le mani attorno ai braccioli della poltroncina imbottita sulla quale era seduto fino quasi a farsi male. I suoi occhi, neri come il buio, si scurirono ancora di più, accecandosi di una rabbia e di un risentimento affilato e inspiegabile: perché Wash poteva essere felice e lui doveva essere quello accusato di omicidio?
Non sarebbe stato felice per molto, quella era una promessa che Michael fece a sé stesso e che si tenne gelosamente per sé.
Christopher Washington guardava suo figlio mentre scriveva al computer: di solito, quando compilava le deposizioni aveva un'espressione seria e corrucciata. Per non parlare del fatto che si lamentava, si lamentava di continuo di fare un lavoro che non gli piaceva, che meritava di fare di più, che era sprecato, su quella scrivania... avrebbe dovuto 'essere in tribunale a vincere cause' diceva; invece, quel giorno, mentre scriveva al computer, Noah Washington sembrava fluttuare su una nuvoletta.
"Sei strano." Disse Christopher, nel tentativo di attirare l'attenzione di suo figlio e rompendo il silenzio che riempiva la stanza ormai da una mezz'oretta abbondante.
"Hm?" Rispose lui, continuando a digitare al computer senza guardarlo.
"È innamorato, Chris."
Christopher fulminò Michael King con lo sguardo non appena si sentì chiamare in quel modo.
Michael si schiarì la gola, distolse lo sguardo.
"Signore. Signor... signor giudice?"
Christopher decise di lasciar perdere.
Michael King indossava un paio di pesanti combat boots e una giacca di pelle nera.
Se ne stava seduto su quella poltrona come se fosse al capotavola di una lunga tavolata in stile medioevale, davanti al fuoco scoppiettante, ad osservare i suoi sudditi svolgere il lavoro al posto suo, ignorando che era lui stesso, quello che tramava nell'ombra.
"Vedi di vestirti in giacca e cravatta al processo, Mike." Furono le parole gelide di Christopher.
Cadde di nuovo il silenzio: Noah continuava a scrivere senza dire nemmeno una parola e Christopher leggeva e rileggeva quei pochi documenti che aveva davanti sul caso di Michael.
"Quindi sei sicuro che non conoscevi l'ultima vittima? In nessun modo?" Domandò, per l'ennesima volta mentre gli sventolava una fotografia davanti al naso.
Michael rivolse una rapida occhiata alla foto. Era un tipo anonimo, quella Jennifer: capelli scuri, frangetta, occhiali quadrati... nella foto stava sorridendo: aveva i denti piccoli, allineati e le labbra sottili: se anche l'avesse vista in giro, non se la sarebbe mai ricordata.
"No."
"Si chiamava Jennifer Moreau."
"Sapere il suo nome non cambierà il mio non conoscerla." Rispose lui, scocciato.
"Questa ragazza è stata pugnalata... le altre sono morte e... basta," si fece pensieroso e scarabocchiò qualcosa su un foglio di carta, "potrebbe esserci un altro killer o potrebbe essere qualcuna che ha visto o sentito qualcosa..."
Noah aggrottò la fronte all'ultima frase: di solito, quando parlava suo padre, per lui era come ascoltare una radio o un rumore bianco. Tranne in alcuni rari casi – tipo adesso – suo padre non diceva mai niente di interessante.
Era sempre un 'scrivi così e 'cita cosà' e 'smettila di farmi il verso mentre parlo, Noah.'
Noah scollò gli occhi dal computer. "Sono morte?"
Christopher gli rivolse uno sguardo confuso, come se fosse sicuro che la notizia fosse già di dominio pubblico.
"Te l'ho detto, Noah."
"Me lo ricorderei se me lo avessi detto, papà." Sbottò infastidito.
"Sì che te l'ho detto! Eravamo a cena, con la mamma..." Esitò, quando pian piano i ricordi si materializzarono nella sua mente: stava parlando con sua moglie, non con suo figlio. Noah lesse quella consapevolezza nello sguardo di suo padre ed alzò gli occhi al cielo.
"Sono morte a distanza di una settimana l'una dall'altra ed entrambe per arresto cardiaco."
Noah imprecò sottovoce. "Le uniche che potevano dare delle risposte..."
"A mio sfavore." Precisò Michael.
"Lo so Noah," proseguì Christopher, ignorando l'affermazione di Michael, "siamo in un mare di guai."
Christopher riguardò i fogli che aveva davanti, nella speranza che si materializzassero delle risposte.
"Per la storia di Jennifer... la polizia ha interrogato Daphne e... Hayden?" Domandò poi, rigirandosi la penna tra le dita.
Noah ebbe un tuffo al cuore. "Haylee."
Christopher cominciò a scrivere. "Haylee con la i o on la y?"
"Perché ti interessa?" Gli chiese, sulla difensiva: era perentorio che il nome di Haylee non venisse menzionato sui documenti legali e che non fosse, soprattutto, sulla bocca di altre persone.
Christopher scrollò le spalle. "Me lo sto appuntando. Così..."
"Non ce n'è bisogno," lo interruppe "non hanno visto niente di strano e non sanno niente."
"Ma..." Christopher sollevò gli occhi confusi in quelli di suo figlio.
Michael King ascoltò con estrema attenzione e sorrise di traverso.
"Come dicevo: è innamorato." Disse.
"Papà." Lo ammonì Noah.
"E da quando sei tu a decidere?"
"Da quando non voglio nessun pazzo omicida attaccato al sedere."
...o a quello di Haylee che, tra parentesi, sembrava disegnato.
"Molto bene," Christopher lasciò cadere la penna sul foglio "se sei sicuro che non sanno niente..."
"Siamo stati lì tutto il tempo. Vero, Aaron?" Domandò Noah, cercando il consenso di Aaron che era appena comparso sull'uscio della porta.
Aaron finse di sapere di cosa stessero parlando. "Vero, boss."
Christopher Washington sbuffò, rassegnato.
"Avete qualcosa in contrario a chiamarmi con il mio nome?"
"Scusa: boss-Christopher."
"Quindi abbiamo un buco nell'acqua, seguito da un buco nell'acqua, seguito da... un buco nell'acqua."
"Non sei mica il migliore della Contea?" S'intromise ancora Michael, che venne prontamente fulminato dagli occhi di ghiaccio di Christopher.
Noah prese un respiro profondo, nella speranza che suo padre fosse talmente disperato da accettare la sua proposta.
"Se facessimo come ho detto..."
"Noah." Lo richiamò Christopher.
"Ma se mettessimo qualcuno a seguire il padre di Michael, forse..." Continuò.
"Ti ho già detto che non possiamo farlo." Rispose esasperato: si sentiva come se avessero affrontato quella discussione un miliardo di volte.
"Ma se solo..."
"Sei l'ultimo ad avere un'opinione qui dentro, Noah. Cerca di ricordartelo." Tuonò, alterato.
Noah schioccò la lingua e, senza aggiungere altro, tornò con gli occhi fissi sul computer e così rimase fino alla fine della giornata: era furioso, Dio quanto era furioso.
Quando finalmente l'orologio schioccò le sei del pomeriggio, Noah spense il computer e dopo aver salutato suo padre, lasciò l'ufficio assieme ad Aaron.
Noah ed Aaron raggiunsero in silenzio il parcheggio sotterraneo, finché non fu Aaron a parlare.
"Quello che dici è giusto, Wash. Ma mettere delle cimici nella casa di uno degli uomini più potenti di New York, potrebbe ritorcersi contro di noi..." Cominciò in tono apprensivo, sperando di farlo ragionare.
"Non trattarmi come un poppante, Aaron. Nella vita è giusto prendere dei rischi ogni tanto." Rimbeccò infastidito Noah: odiava che Aaron si fosse appropriato del diritto di trattarlo come un deficiente solo perché era lì da poco più di lui.
"Non quando sei uno dei più influenti avvocati dello stato." Rispose Aaron, parlando mentre si rigirava nervosamente le chiavi della macchina tra le dita.
"Come pensi che lo sia diventato? Hm? Pensi che mio padre abbia sempre giocato pulito?" Noah accennò un sorriso beffardo, "fa così solo perché sono i King e perché per qualche assurdo motivo, non vuole più prendere rischi."
"E non pensi che abbia ragione? Se non riuscissi ad ottenere quello che vuoi... ed è molto probabile, rischieresti la vita di tutti," fece una pausa, "persino quella della tua preziosa Haylee."
Per l'appunto, detestava il nome di Haylee sulla bocca degli altri. Lo sapeva, era esagerato: Haylee non era la sua ragazza, anzi. Nella sua testa, però, da quando l'aveva vista la prima volta, sapeva che c'era qualcosa. Quello stesso qualcosa che ai tempi non gli permise di avvicinarsi a lei e che oggi, dopo tre anni, l'attirava a lei come una cazzo di calamita.
Noah si fece serio e lo guardò dritto negli occhi, tanto male che Aaron si ritrovò involontariamente a fare un passo indietro.
"Tieni Haylee fuori da questa discussione."
"Ma se fai come dici, allora..." Cominciò, in tono di sfida.
Noah schioccò la lingua divertito e lo interruppe. "Questi giochetti mentali con me non funzionano," disse, con estrema calma. Dopodiché, si sistemò il capotto sulle spalle e parlò un'ultima volta prima di andare verso la sua macchina.
"Tieni il nome di Haylee lontano da questa storia." Ripeté ancora una volta, nella speranza che il concetto penetrasse nella radura selvaggia e arida della sua mente a tratti ottusa.
"Michael perderà la causa, Noah" disse Aaron, alzando il tono di voce alle sue spalle. "non ci sono testimoni, e se ci sono nessuno parlerà mai. Michael è già stato arrestato due volte per spaccio e detenzione di droga... devo andare avanti?"
Noah premette il pulsante che apriva la sua auto sul telecomando e, senza aggiungere altro, lasciò Aaron in mezzo al parcheggio, mettendo quanta più distanza possibile tra loro.
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