28.


Non lo aveva mai detto a nessuno, Haylee Darling, che i cimiteri mettevano calma. Quel lunedì mattina, quando a New York splendeva il sole sulle lapidi in pietra, Haylee Darling decise che avrebbe cominciato a odiare i cimiteri come tutte le persone normali.

Stringeva convulsamente la mano di Daphne, ed entrambe si chiedevano come avrebbero potuto fare a sopportare tutto quel dolore.

Noah Washington indossava un completo nero e un paio di ray-ban squadrati interamente neri: per Haylee rasentava sempre la perfezione anche se sicuramente quello non era il momento per pensare a quanto fosse bello il suo Noah. Lui era di spalle a qualche metro da loro; accanto a lui, sua madre cercava di darsi un contegno anche se Haylee era sicura che, dietro a quelle enormi lenti da sole scure, Katherine Washington stava piangendo tutte le sue lacrime.

Anche il padre di Michael era presente al funerale. Glielo aveva indicato Daphne anche se la somiglianza con suo figlio faceva quasi paura. Se ne stava in un angolo in disparte, come se non avrebbe dovuto essere lì e come se fosse pronto a dire, da un momento all'altro, che si trovava lì per caso. Haylee lo guardò per qualche secondo e poi tornò a guardare dritto davanti a sé: non aveva mai visto così tanta gente ad un funerale.

Zach era accanto a sua sorella, teneva la mascella serrata e le mani in tasca: detestava i funerali e in un modo o nell'altro si ritrovava sempre nel fottuto cimitero.

Dopo la funzione, Haylee era rimasta in disparte: osservava Noah da lontano mentre stringeva la mano ad un mare di persone: era serio, non si era tolto gli occhiali da sole nemmeno un secondo né tantomeno si era voltato a guardare lei o Daphne.

L'attenzione di Haylee venne poi catturata da un uomo sulla quarantina che stava abbracciando la mamma di Noah: aveva i capelli color miele e gli occhi blu.

"Chi è quel tizio?" Domandò sottovoce, sperando che Daphne o Zach potessero rispondere.

All'ombra di un albero e in un semicerchio, Haylee, Zach e Daphne sembravano tre barboni attorno ad un falò.

"Conrad Mayers," rispose Zach, "avvocato per i diritti civili. È un pezzo grosso. Lavorava nell'ufficio di Washington."

Haylee si strinse nel cappotto scuro che aveva addosso quando una folata di vento le fece raggelare le gambe.

"Sono egoista se dico che vorrei essere da tutt'altra parte?" Domandò Daphne.

Haylee scosse la testa "credo che chiunque, in questo momento, vorrebbe essere da un'altra parte..."

Daphne si dondolò sui talloni "quindi è confermato che... è stato un infarto?"

"Così sembra" rispose Zach "sembra che per il momento non abbiano sollevato indagini."

"Sta arrivando Noah." Tagliò corto Haylee. "Shh."

Noah non aveva versato nemmeno una lacrima.

"Vado a stare da mia madre per un paio di giorni," abbozzò frettoloso Noah, senza nemmeno guardarla in viso, "abbiamo un paio di... questioni burocratiche che dobbiamo risolvere."

"Vuoi che..."

Noah la interruppe "no. Mi faccio sentire io."

Senza aggiungere altro, Noah abbandonò i tre ed Haylee lo guardò andare via.

Daphne le appoggiò dolcemente una mano sulla spalla "ha bisogno di un po' di tempo..."

Haylee lo guardò andare via: per quanto cercasse di capirlo non poteva fare altro se non pensare che avrebbe voluto stare con lui e lui la stava allontanando.

"Immagino di sì."

Quella sera, Daphne Greene ed Haylee Darling si sedettero sul pavimento accanto al camino. Erano sedute a gambe incrociate e in mezzo a loro stava una bottiglia di vino rosso mezza vuota con due bicchieri. Le due giovani donne se ne versavano un po' di tanto in tanto.

"Quest'anno è stato disastroso." Esordì Daphne.

"E non è ancora finito." Rispose quasi spaventata Haylee.

"Dici che dobbiamo aspettarci di peggio?" Domandò Daphne, attaccandosi direttamente alla canna della bottiglia.

"Sono così preoccupata per Noah..." Disse, con un nodo alla gola.

"Hai provato a chiamarlo?"

"Ha il telefono spento."

Daphne rovesciò la bottiglia per verificare che non ci fosse più vino e sbuffò sonoramente: "Non mi sono nemmeno ubriacata."

"Nemmeno io..." Gonfiò le guance, "va' a prenderne un'altra."

Daphne tornò poco dopo con una bottiglia di vino bianco e la sistemò nello stesso posto di quella precedente, ricominciando daccapo.

"Dicono che il bianco e il rosso non si mischiano..." disse la bionda, sedendosi di nuovo davanti al camino.

Haylee si legò i capelli in una coda per toglierseli da davanti al viso e alzò gli occhi al cielo "dicono un sacco di cose, Daphne. La maggior parte delle volte dicono cazzate."

"Amen."

*

Non posso più stare con te, mi dispiace

Haylee Darling lesse quello stupido messaggio mentre era a lavoro. Riuscì a percepire il suo cuore frantumarsi in tanti piccoli pezzettini e fece finta di niente, ignorando le lacrime che di tanto in tanto sfuggivano al suo controllo. Lasciando infine che la giornata passasse inosservata.

Non sapeva che cosa rispondere. Si disse che avrebbe potuto mandare una serie di insulti, così come un papiro lunghissimo in cui avrebbe parlato di sentimenti e di emozioni. Poi si disse che, con Noah, tutto quello che avrebbe potuto pensare di fare sarebbe stato inutile. Era furiosa, quello era! Non poteva crederci che si fosse permesso di lasciarla con un messaggio.

Non aveva sue notizie da giorni. Aveva provato a chiamarlo almeno una ventina di volte e la sua risposta, dopo quattro giorni, era stata un messaggio.

Daphne rilesse il messaggio circa un centinaio di volte: lasciò correre l'indice laccato di rosso sull'intera conversazione, sperando che comparisse dell'altro ma ovviamente non comparve nulla.

"Solo questo?" Domandò, buttando il telefono sul tappeto peloso sul quale era seduta.

Haylee bevve un sorso dal bicchiere di vino bianco frizzante che aveva davanti e si chiese come fosse possibile che quando aveva bisogno di ubriacarsi non si ubriacava. Quanto altro vino doveva ancora bere per dimenticarsi di Noah?

"Sì."

"Un messaggio."

"Sì." Ripeté.

Daphne schioccò la lingua, guardando il cellulare da lontano come se fosse uno schifoso insetto da schiacciare sotto la punta della sua scarpa.

"Noah non ti avrebbe mai lasciato." Asserì, incrociando le braccia al petto in corrispondenza della stampa di un orsetto giallo sul suo pigiama felpato.

"Ma è quello che ha fatto."

Daphne si lasciò andare sul divano, facendosi pensierosa. Fissò la fiamma scoppiettante del camino che illuminava il soggiorno, disegnando motivi luminosi sulla parete color crema sul suo viso e dandole tutta l'aria di una dama dell'Ottocento che fissava le fiamme rosse mentre escogitava la sua prossima terribile mossa.

Certo, il pigiama giallo con gli orsacchiotti riduceva notevolmente la sua autorità.

"E no!" Esclamò alla fine, facendo sobbalzare Haylee. "Ho già detto a Noah che mi ha lasciato questo stupido arco di Cupido in mano quasi quattro anni fa e non ho la benché minima intenzione di mandare tutto al diavolo! Tu adesso vai di sotto, e gli chiedi spiegazioni!"

"Adesso?" Disse lei, allarmata.

"Adesso, Haylee! Tu e Noah dovete stare insieme che lo vogliate o non lo vogliate!" Continuò a strillare: adesso le fiamme si riflettevano persino nei suoi occhi grigi ed Haylee indietreggiò di qualche passo: era seriamente inquietante.

"Anche se non lo vogliamo...?" Le disse, mordendosi l'interno della guancia.

"Anche se non lo volete. Perché ho deciso io." Proseguì, guardando dritto di fronte a sé. Poi, si voltò verso Haylee, facendola indietreggiare spaventata. "Sei ancora qui? Vai di sotto!"

Haylee raccolse gli ultimi brandelli di coraggio – e di orgoglio – che le erano rimasti e scese al piano di sotto facendo le scale, nella speranza che le venissero in mente delle cose da dire una volta arrivata.

Bussò debolmente alla porta.

Nessuna risposta.

Bussò ancora.

Niente.

"Noah? So che sei in casa!"

Noah Washington aprì la porta e per un attimo le sembrò di avere davanti un fantasma: aveva addosso una t-shirt bianca e un paio di pantaloni della tuta scuri; i capelli erano lievemente disordinati e gli occhi, di solito azzurri come un mare caraibico, adesso erano un mare in tempesta: tormentati e stanchi.

Era al telefono.

"Che significa che ha richiesto lui di cambiare avvocato?" Stava dicendo alla persona al telefono.

La persona rispose qualcosa e lui alzò gli occhi al cielo, per poi imprecare sottovoce.

"Una perdita di tempo? È questo che hai da dire, Conrad? Voglio solo sapere perché lo ha fatto."

Noah buttò la testa all'indietro, esasperato: sapeva che quell'inglese gli avrebbe rovinato la vita.

"Bene, d'accordo. Sì, ci vediamo domani."

Quando Noah richiuse la chiamata e guardò Haylee, si sentì come se avesse appena ripreso ossigeno dopo essere stato ore sott'acqua. Era sempre stato sicuro che, alla fine di una giornata di merda, avrebbe sempre voluto trovare lei. Lei che adesso lo stava guardando come se non lo riconoscesse.

"Non ti vedo e non ti sento da giorni," cominciò lei, facendo un paio di passi verso di lui, "e questo è il massimo che sei riuscito a dirmi?"

Disse, lanciandogli il suo cellulare che Noah afferrò al volo. Diede una rapida occhiata al messaggio "non c'è bisogno che me lo mostri, ricordo di averlo scritto."

Glielo aveva scritto perché ovviamente non avrebbe mai avuto il coraggio di dirglielo in faccia. Sapeva che era la decisione migliore: le aveva creato solo problemi, da quando stavano assieme.

"Non ti permetto di sparire." Disse lei, stringendo i pugni e ingoiando un singhiozzo.

A Noah quasi venne da ridere "non me lo permetti?"

"No" fece un altro paio di passi verso di lui, "hai bisogno di sapere che c'è qualcuno che resta."

Noah la guardò: non sapeva perché – o forse lo sapeva e non voleva ammetterlo – aveva quasi bisogno di sentirselo dire.

"E sei tu, quel qualcuno?"

"Sì." Disse lei, rendendo finalmente nulla la distanza tra di loro, tanto da fargli sentire una nota del suo profumo.

Haylee prese un respiro profondo: adesso avrebbe tirato fuori dall'armadio una serie di pensieri che non aveva mai detto ad alta voce.

"Quando ho saputo che era morto mio padre volevo morire con lui" ammise "e mi sentivo in colpa... perché nella mia testa era colpa mia."

Noah distolse lo sguardo.

"Non ti permetto di morire con lui..." disse, in un soffio "io ho ancora bisogno di te."

Noah tornò a guardarla: i capelli di Haylee erano legati in uno chignon disordinato e indossava una maglietta nera con la stampa di un gatto che teneva tra le zampe una lisca di pesce. Noah sospirò rassegnato: perché non riusciva a capire che doveva stare lontana da lui? Che stare con lui le avrebbe fatto solo del male?

"Come puoi... come puoi voler stare con me dopo tutto quello che è successo? Non capisci? Il lavoro che faccio... le persone con cui avrò a che fare... non posso sempre buttarti addosso la mia merda, Hay..."

Haylee si alzò sulle punte e gli afferrò il viso con entrambe le mani, facendosi guardare dritto negli occhi: vederlo in quel modo le spezzò il cuore. Non avrebbe mai permesso che lui si allontanasse da lei.

"Stammi a sentire, Noah Washington," disse, cercando di acquisire un tono autoritario e seguire il consiglio di Daphne, "non è la tua merda, è la nostra" gli accarezzò piano il viso con la punta del pollice "voglio stare con te... lascia che mi prenda cura io di te, Noah. Come hai fatto tu con me."

Noah la guardò ed annuì piano. Poi, per enorme sorpresa di entrambi, Noah si strinse forte a lei e si inginocchiò per terra portandosi dietro Haylee. Nascose la testa nell'incavo del suo collo, iniziando a piangere a dirotto.

"Va tutto bene," sussurrò lei, piangendo con lui e sentendo il suo stesso petto stringersi in una morsa dolorosa, "ci sono io."

"Per favore, non te ne andare."

Lei gli accarezzò piano i capelli, dondolandolo piano.

"Non lo farò."


Spazio autrice

Buonaseraaaa scusate, ho saltato una settimana ma finalmente eccoci qua con il nuovo capitolo. Devo dire che quando l'ho scritto mi sono un po' emozionata, che dite? 

Siamo ufficialmente a - 3 capitoli dalla fine❤❤❤ 

Grazie come sempre a chi legge e commenta, ve ne sono sempre grata 💕

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