12.
L'ufficio di Christopher Washington era antico e pacchiano: la sua scrivania era un gigantesco pezzo d'antiquariato in legno massiccio. A completare il tutto c'erano ovviamente i braccioli delle poltrone a forma di leone e un pesante quanto rumoroso orologio a pendolo che suonava una fastidiosissima melodia allo scoccare dell'ora.
Michael King saltò in aria quando l'orologio – e quella fottuta canzoncina – segnarono le undici in punto e attese che finisse di torturargli le orecchie prima di iniziare a parlare. Nel frattempo, si chiese se anche casa sua fosse un mausoleo o se la mamma di Noah, Katherine, avesse un gusto diverso da quello per l'orrido.
"Mi stai dicendo che finirò in prigione, hm?" Chiese poi, quando rientrò nel suo corpo dopo aver seguito il flusso disordinato dei suoi pensieri.
Christopher annuì piano, continuando a guardare le cartacce che aveva davanti nella speranza di trovare una risposta alle sue domande, senza successo.
"Non riusciamo a ricollegare tuo padre a niente di ciò che è successo. Ha un alibi per ogni circostanza."
Michael sbatté nervosamente entrambe le mani sui braccioli della poltrona in pelle. Si fece male ai palmi e li percepì sempre più caldi dopo l'urto.
"Perché avrà sicuramente inviato qualcuno a fare il lavoro sporco!" Esclamò, frustrato.
"Lo so, Michael," disse, in tono paterno. "Ma non ci sono testimoni e sono più le tue accuse che le tue difese. Posso solo far posticipare il processo di qualche settimana nella speranza di trovare... qualcosa."
Michael lo guardò per un secondo e sospirò, rassegnato: era evidente come nemmeno lo stesso Christopher credeva in quello che stava dicendo. Posticipare il processo non sarebbe servito a nulla. Michael riuscì a percepire ogni fibra del suo corpo tendersi, e il suo stomaco attorcigliarsi quando si rese conto che non avrebbe potuto fare niente per cambiare le cose.
Noah entrò in quel momento in ufficio, trafelato e con la camicia mezza sbottonata. Guardò l'orologio al suo polso e imprecò nella sua testa pensando che suo padre gli avrebbe fatto notare il fatto che fosse...
"Sei in ritardo."
Noah alzò gli occhi al cielo: per l'appunto.
"C'era traffico." Mentì.
Certo che c'era traffico: era andato dalla parte opposta al suo ufficio per vedere Haylee – anche se ne era più che valsa la pena, visto che aveva ancora il suo sapore addosso.
Poggiò distrattamente la valigetta sulla sua scrivania per poi passare in rassegna i presenti: suo padre e Michael avevano un'aria tetra ma, più di tutto, rassegnata.
"Che succede?"
"Succede che verrai a trovarmi in prigione, Wash."
Noah gli rivolse uno sguardo confuso. "Di che parliamo?"
"Non c'è molto che possiamo fare, Noah." Disse Christopher, sistemandosi meglio sulla sua poltrona.
Noah rivolse una rapida occhiata a Michael, dicendo tra sé e sé quanto fosse assurdo che uno dei suoi più cari amici d'infanzia si trovasse in quella situazione.
Ricacciò in un angolo buio della sua testa quei pensieri che lo fecero sentire in colpa per essersi allontanato da lui quando scoprì che suo padre aveva una faida in corso con il padre di Michael. Per un secondo, solo uno, si chiese se voltargli le spalle lo avesse portato su una cattiva strada.
Poi, si disse che ognuno era responsabile delle sue azioni e di certo non era colpa sua, se Michael era lì in quel momento. Ma avrebbe fatto di tutto per aiutarlo, se solo avesse saputo come. Non solo per Michael, ma anche per sé stesso: quello era il suo primo vero caso e non aveva intenzione di perdere la causa.
"Che mi dici dell'omicidio di Jennifer?"
"Che hanno aperto delle indagini separate dalla nostra: alcuni amici che erano con lei hanno detto che la droga l'ha presa da sola. Con ogni probabilità l'omicidio è stato uno spaccio di droga finito male..." Concluse incerto.
Per quanto ne sapeva Michael, quello avrebbe potuto essere l'ennesimo tentativo da parte di Edward di depistare le indagini, ammesso e non concesso che fosse davvero come diceva Michael. Insomma, Christopher Washington si disse che era troppo vecchio per casi del genere ed era la prima volta in vita sua che si pentiva di aver preso in mano una causa persa.
Christopher riconosceva una causa persa a chilometri di distanza, ma era stato talmente tanto accecato dall'idea di incastrare Edward una volta e per sempre, che non aveva dato peso ai pro e i contro di quella enorme fesseria che stava facendo.
"Fanculo. Dov'è Aaron?"
"In tribunale."
"Perciò... che si fa ora?"
"Ho chiesto di rimandare il processo di un paio di settimane per poter riuscire a mettere su un'arringa che mi permetta di ridurre la pena. Poi si vedrà. Chissà che nelle prossime settimane non saltino fuori altre prove."
"Non può passarla liscia." Disse Michael a denti stretti. "Io so che è lui a ordinare la distribuzione di quella droga, ne sono certo."
"Se solo riuscissi a provare la cosa, Michael..."
Michael schiuse le labbra per dire qualcosa e poi lasciò perdere, distogliendo svogliatamente lo sguardo.
Christopher lo guardò per un lungo istante, riducendo gli occhi a due fessure e poi guardò Noah, che gli rivolse uno sguardo confuso.
"Noah, ci sono delle fotocopie da fare."
Noah buttò la testa all'indietro. "È la prima cosa che insegnano ad Harvard."
"Beh, allora sai già come si fa."
Non appena Noah uscì dall'ufficio, Christopher scelse accuratamente le prossime parole da dire. Si guardò le mani, chiedendosi da quanto tempo ci fossero comparse sopra quelle macchioline color caffè: ennesimo segno del fatto che era vecchio e che forse era arrivato il momento di passare il bastone del comando a qualcun altro.
Quel qualcun altro, però, non era ancora pronto. Il guaio era, che Christopher Washington non si fidava di nessun altro se non di suo figlio.
"Farò di tutto per farti ridurre la pena, Michael." Cominciò con calma. "Ma ci sono una serie di cose che non mi quadrano e non credo che tu sia stato sincero con me."
Michael si passò la lingua sui denti. "Tipo?"
"Tipo? Io non credo che tu non sappia niente. Qualcosa sai, e vorresti passarla liscia. Ma ricordati che sono più grande di te e che ho a che fare con bugiardi da una vita."
Michael non rispose nulla, limitandosi ad una scrollata di spalle.
"E più menti, più difficile sarà per me aiutarti."
Michael King aprì la bocca per dire qualcosa ma venne interrotto dal ritorno di Noah che teneva un paio di fascicoli tra le mani.
"Lo sai che alcuni avvocati fanno scrivere le arringhe ai tirocinanti?"
"Infatti loro perdono le cause e io no."
"Forse hanno dei tirocinanti mediocri."
"E tu non lo sei."
Noah gli rivolse un'occhiata piuttosto ovvia. "Certo che non lo sono."
"Molto bene."
"Quindi posso scriverne una?" Chiese, con il principio di speranza a illuminargli gli occhi color del mare.
"No."
Noah sbuffò sonoramente e poggiò il plico di fogli sulla scrivania di suo padre. "E allora cosa devo fare?"
"Abbottonati la camicia e sistemati la cravatta, tanto per cominciare."
Noah si schiarì la gola imbarazzato.
"Poi va' di là," continuò con calma. "Ti lascio raccogliere la deposizione della testimone per il processo del mese prossimo."
"Oh. Bene, molto bene. Allora vado."
Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di fargli vedere quanto fosse contento.
"Vai, prima che cambi idea."
Christopher guardò suo figlio andare via e poi spostò gli occhi su Michael che continuò a fissare la porta, come se volesse bruciarla con lo sguardo.
...perché Noah aveva avuto quella vita e lui no?
"Qualcuno ha deciso che io sono il cattivo in questa storia mentre tuo figlio è il... Lincoln Lawyer della situazione."
"Io sono il Lincoln Lawyer, Michael. Mio figlio Noah è... la brillante segretaria che si iscrive alla facoltà di legge."
Michael accennò un sorriso. "Posso andare o hai altro che vuoi chiedermi?"
"Ti ho chiesto di essere sincero e non lo sei stato quindi per me abbiamo finito. Va' fuori a goderti un poco di aria pulita finché sei ancora libero."
"Grazie."
Michael si mise la giacca e lo salutò con un cenno prima di uscire dal suo ufficio.
Il cellulare di Michael squillò: era un numero sconosciuto.
"Michael."
"Non dovresti chiamarmi. Mi hai accusato di spaccio di droga e due ragazze sono morte... ricordi?" Domandò, buttando un'occhiata veloce al corridoio deserto per assicurarsi che nessuno sentisse.
"Questa linea è sicura. Sai che non avevo altra scelta, figlio. Ma entrambi sappiamo che non ti ho mai costretto a fare niente." La voce di Edward era sempre pacata e ipnotica, come se volesse sempre convincere gli altri che ciò che diceva lui era giusto e tutto il resto sbagliato.
"Perché non ho mai conosciuto altro."
"Possiamo ancora trovare una soluzione. Se torni a lavorare per me, faccio cadere le accuse..."
Michael gli chiuse il telefono in faccia, allontanandosi lungo il corridoio per andare a... godersi un po' di libertà prima di finire in una cella.
Aaron entrò nell'ufficio di Christopher a grandi passi. "L'ho sentito parlare al telefono! E secondo me stava parlando con suo padre."
"Che cosa si sono detti?" Domandò curioso Christopher. "Qualcosa che posso usare?"
"Lui ha detto di non aver conosciuto nient'altro e che lui lo ha accusato di omicidio."
"Ok?"
"Stava parlando con lui! Potremmo... potremmo dire che sta ancora lavorando con suo padre."
"Michael ha acconsentito a testimoniare contro suo padre, Aaron. Ha acconsentito a rivelare tutti i suoi affari per farlo finire in prigione a patto che noi lo aiutiamo. Dire che lavorano insieme sarebbe un po' controproducente, non credi?"
Christopher sospirò: come poteva spiegare a suo figlio Noah che gli avvocati buoni si potevano contare solo sulle dita di una mano?
Aaron rimase in silenzio, ringraziando il ritorno di Noah.
"Abbiamo praticamente vinto la causa."
"Di Michael?" Domandò Aaron.
Noah alzò gli occhi al cielo. "No, Aaron." Si voltò poi a guardare suo padre. "La signora Andrews, quella che mi hai fatto interrogare..."
"Non si dice interrogare, Noah. Si dice raccogliere dichiarazioni."
Noah liquidò l'affermazione con un gesto della mano. "Quello che è..."
"Lei ha detto di aver visto Patterson alle tre e venti del pomeriggio mentre era con il suo club del libro. Ed è sicura che fossero le tre e venti perché ognuna di loro ha venti minuti per esporre il libro ed era il suo turno."
"E allora?" Domandò Aaron.
"Fallo finire."
"Allora sono andato a guardare le... dichiarazioni di Patterson, e in base a quanto dice la polizia, lui ha detto che era fuori a pranzo. E di essere tornato a casa alle cinque, non alle tre."
"Ma non aveva uno scontrino?"
"Gli scontrini non sono nominativi, Aaron. Per quanto ne sappiamo potrebbe averlo preso dalla spazzatura."
Christopher annuì. "Questa sarà una cosa che scriverò nell'arringa. Bravo Noah."
Noah non fece una piegama dentro stava facendo i salti di gioia. Paradossalmente, l'unica cosa che glivenne in mente fu quella di raccontare tutto ad Haylee.
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